“Le esploratrici non sono personaggi dentro le poesie, ma le poesie stesse: che avanzano caute e sole – ciascuna di esse è responsabile soltanto per sé – in un territorio sconosciuto. Mi viene in mente un termine tecnico – e poetico, e drammatico – che si mantiene dal Medio Evo fino alle due Guerre mondiali: Enfants perdus. Che non sono certo “Bambini perduti” (la connotazione fiabesca non c’entra nulla), ma “Ragazzi persi” o “dispersi”. Una volta (ma forse ancora adesso…) pare che fossero semplicemente ragazzi che prendevano a sassate i soldati e i macchinari nemici; poi divennero piccoli reparti militari o semi-militari impegnati in operazioni di sabotaggio o di estrema difesa; soldati, appunto, dati per perduti in anticipo, dentro la strategia generale della battaglia. (Del resto, gli enfants perdus sono, in un senso estremo, truppe scelte.) Queste poesie, dunque, sono esploratrici così avanzate da aver abbandonato il contatto con il grosso dell’esercito (cioè con una tradizione poetica di base). Mirano semplicemente a raccontare la loro propria, irriducibile, storia; e parleranno per se stesse. […] Vedo questa raccolta come un libro in quanto, prima di tutto, vi è in esso una sorta di narrativa, di trasferimenti da luogo a luogo (paesaggi che si specificano in città e si concentrano in dimore); ma soprattutto, libro in quanto questo insieme di poesie si attua come discorso, di volta in volta ricominciato e ri-definito come serie di “squadrate” costruzioni metriche – in un continuo gioco di stasi versus movimento.”
Preghiera della torera, 1
Per Pedro Almodóvar
(Hable con ella)
Ti aspetto inginocchiata sull’arena
prego le mie mammelle
costrette nel corpetto
prego le mie spalle larghe
sotto lustrini e mostrine.
Ecco irrompi, toro – locomotiva
della coscienza esterna e schiacciante.
Preghiera della torera, 2
In memoria di Victor Barrio, ucciso nella Plaza de
Toros di Teruel (Valencia) il 9 luglio 2016
Ognuno sente a tratti nella vita a momenti
(son quelli dirimenti)
l’impulso a far regalo di se stessa.
In questo taglio estremo d’orizzonte –
come la stretta striscia rosseggiante
che attraversa lo schermo abbrunente
quando la televisione
sta per morire di un guasto interno –
io prego le mie piccole mammelle
costrette nel corpetto rutilante
prego le larghe spalle, le platoniche,
coperte di mostrine e di lustrini
mentre cado in ginocchio nel centro
dell’“O” di sabbia.
Ecco la vivente
locomotiva che irrompe dalla cavea
sta per inclinare
senza malizia il corno e trapassarmi
ma prima c’è un istante
di equilibrio: le corna
son bracci che sostengono
simmetricamente
le mie braccia spalancate
nella posa prevista in eterno
dell’Uomo dei Dolori.
Beati e benedetti
l’uno contro l’altra inginocchiati
croce di carne incastonata
nella croce di corno.
Laghetto di Linsley
North Branford (Connecticut)
25-29 luglio 2003
***
Allettamenti
Per Stéphane Mallarmé
“Ayant peur de mourir lorsque je couche seul”
risulta ormai pensiero incomprensibile
per l’eremita delle città.
La morte è sempre un morbido sospetto,
sia in comune o solitario il letto.
(“Il letto è una rosa:
chi non dorme, si riposa.”)
Ma a questo punto di vita
dormire a fianco altrui
è così ossimorico –
dormire soli: plurale come illusivo
ombrello della coppia –
da esser quasi blasfemo.
È una disperdizione un brulichìo
febbricitante e banale
che può battere il colpo fatale.
Diverso,
il notturno viaggio in un letto
veramente solo e stretto:
il soggetto raccoglie le energie
nel principio del suo individuarsi.[1]
[1] Si allude all’idea di un principium individuationis (Carl Gustav Jung).
***
In the Dead of Night[2]
La cupa notturna assonanza
di ricordo e rimorso
emerge a preferenza
nel cuore (dentro il morto) della notte
e forse il possibile riscatto
o spiraglio di speranza
è fra i due la divaricazione:
il rimorso è una pianta
che cresce soprattutto nelle notti
ma il ricordo spirala uno spiraglio
scavandosi un cunicolo
verso il barlume in cui la luce diurna
può diventare (anche se accidentata)
consolazione diaria.
Hamilton Hall
8 novembre 2012
[2] In the dead of night, in inglese, equivale a: “nel cuore della notte”.
***
“Attenzione Le Immagini Che Seguono Potrebbero
Urtare La Vostra Sensibilità”[3]
Per Cesare Pavese
C’era un tempo un leone scavernato
e scatenato
che poi si è sempre più incavernato
e ingrigito e invecchiato
e quando lo hanno visto male in zampa
alcuni asini antico-europei
gli hanno sferrato calci
e un branco di lupi lo ha finito.
Ora il canto dei lupi s’innalza:
“Oh oh oh siamo in crisi identitaria –
non vogliamo essere lupi-àscari
né lupi capo-bastone
sotto lo schiaffo
di questi altri e di quegli altri
ma vogliamo riuscire a essere noi
scorribandando dentro il nostro diritto
(come ombre ma più solidi di ombre)
controllando in energico zigzag
il nostro deserto”.
E il coro
degli avvoltoi filosofi risponde:
“Ogni vittoria è pirrica
(e dunque una sconfitta risucchiata),
ogni guerra è una guerra civile,
ogni guerra civile
s’internazionalizza e si spirala”.
Hamilton Hall
20 ottobre 2011
[3] La frase titolare appare in testa a un video che mostra l’esecuzione di Muammar Gheddafi.
Il sogno dell’impero
Un giovane-incerto-se-votare
a un tavolino di caffetteria.
Giornale del mattino dispiegato.
I problemi rispettabili
scorrono in crawl:
– aumentare
produttività e competenze
– che fare
con il debito e con le tasse
con l’energia e il clima e la migra.
Questo yakyakyak lo appisola, e sogna –
La scala alta e angusta rossiccia di deserto
nuovomessicano e arizoniano
che porta alla piramide del tempio
ma il tempio ha ingoiato la piramide
e la statua del dio ha mangiato il tempio:
dio cannibale bocca-sempre-aperta
con gli angoli delle labbrone
che grondano di sangue –
Risvegliato, riscosso di colpo, esclama:
“È lui il sottaciuto e il celato
dietro i problemi,
esso è che dissangua i cittadini!”
Gli altri scaffettanti stornano gli occhi
imbarazzati da questo
gridìo improvviso
tranne la sua ragazza seduta lì di fronte:
“Ehi ciccio ma che cosa ti è successo?
Hai visto un incubo?”
E gli dà uno spintino
lui risponde con una spintarella
e cominciano a fare mucci mucci
e l’incubo principia a affievolirsi.
Hamilton Hall
agosto-settembre 2012
Le poesie che qui riportiamo sono tratte da Esploratrici solitarie (Raffaelli Editore 2018).
Paolo Valesio ha pubblicato 20 volumi di poesie, in italiano e in versioni in lingua spagnola e inglese. È vincitore, fra l’altro, del “Premio Speciale” nella XXIX edizione del “Premio Letterario Camaiore” (giugno 2017), e del Premio “Civetta di Minerva” (Starze di Summonte, Avellino, maggio 2018) per il complesso della sua opera poetica. Critico letterario, saggista e narratore, Paolo Valesio dirige la rivista “Italian Poetry Review – IPR”, presso Columbia University (di cui egli è professore emerito). È Presidente di giuria del Premio Internazionale di poesia “Piero Alinari” a Firenze. Ha fondato e presiede il Centro Studi Sara Valesio – CSSV a Bologna.