Carnet di viaggio poetico
di Fabio Izzo
L’identità è la concezione che un individuo ha di se stesso nell’individuale e nella società, l’insieme di caratteristiche, secondo la definizione presa in prestito da Wikipedia, che rendono l’individuo unico e inconfondibile. L’identità nazionale è quindi il concetto che una nazione ha di se stessa, ma tutto ciò vale per i poeti? Che identità assume un poeta? Un’identità linguistica, animata da valori patri? Forse sì, forse no, in maniera salomonica, ogni poeta ha la sua individualità espressa per lingua. La lingua quindi, potrebbe essere uno dei principali identificatori identitari. Ma la lingua, la forma di espressione scelta, cambia associazione a pari merito con la storia, come nel caso di Mickiewicz, o Mickiewicius, e Czesław Miłosz.
Vilnius, definita dal premio Nobel polacco, città senza nome, è un crogiolo di strade calde e piccole, un formicaio che si anima di giorno per dormire di notte, appesantita dalle prime nevi di novembre.
Salite e discese collinari ne delineano il panorama e in vetta si trova quasi sempre una chiesa, di ogni credo. La tolleranza è una delle virtù locali, il baltico si dimostra accogliente e aperto ai viaggiatori.
La città ha cambiato così tanti nomi nel corso della sua storia che finisce con non conservarne nemmeno uno per lungo tempo. La città dalle molte identità, ebrea, polacca, lituana, russa finisce con lo specchiarsi attualmente nell’improbabile monumento a Frank Zappa, che poco o nulla ha a che fare con questa parte di mondo, salvo l’aspetto universale della musica. L’originalità spigolosa di Zappa, musicista esemplare, ben si rispecchia nell’animo lituano. Eppure Vilnius è il centro focale della poesia polacca e non solo di questa.
Anche la letteratura tutta e la storia sono sorelle gemella in questi due paesi.
Basti pensare che il cuore di Pilsudski, il federmaresciallo che riportò la Polonia sulla cartina geografica dopo anni di sparizione, nella parentesi storica aperta e chiusa tra le due guerre mondiali, riposa proprio nel cimitero di Vilnius e non nella capitale polacca. Usanza, quella della tumulazione del cuore, che forse può apparire violenta oggi ma che all’epoca, alimentato da uno spirito romantico grandguignolesco, era riservata come segno di rispetto ai grandi di una nazione. Sempre restando in questa area geografica troviamo il cuore di Frederyk Chopin, musicista simbolo dell’anima polacca, tumulato a Varsavia in una colonna della chiesa varsaviana.
Esco dal centro di Vilnius e trovo un viale era lungo e alberato, che presto perderà tutte le foglie, l’inverno, come nemico, o per meglio dire, come il nemico, è alle porte. I colori della vegetazione, tigli e compagnia, avanzano nella loro marcia verso la caduta finale, dal verde lituano della giovinezza patria citata da Miłosz, si è già passati al rosso e al giallo. Questi non a casi sono i colori della bandiera nazionale. Strano però, come nessuno conosca più il nome degli alberi e delle stelle, tutti sanno a memoria, come filastrocche le sigle dei cellulari ultimi modello, delle vetture appena uscire ecc.. Qualcosa si è perso per strada, ci si è persi lungo tragitti che sembravano eterni per tuffarsi nella validità contemporanea. Una validità che dovrebbe avere il valore di identità ma che no, non ce l’ha. Quello che vale è ora, l’adesso, proprio come questo vestito lungo, grigio, di lana grigia, che irrita la pelle e fa grattare. Di produzione italiana, è l’unica cosa che cambia il colore della pelle sotto questo sole declinato. Quando arrivo vicino all’ambasciata italiana c’è un palazzo vecchio, troppo nuovo per essere antico e troppo popolato per essere solo. Si tratta dello squat di Vilnius, loro, i lituani, ci aggiungono Riot giusto per tenere in alta la guardia, da queste parti la diffidenza è sovrana vista l’aggressività dei vicini. Non parlo dell’ambasciata italica ovviamente ma dei russi e dei polacchi, tutti qui hanno voluto imporsi in una terra che, a dirla tutta, è stata prevalentemente ebraica, eredità quasi completamente cancellata, salvo per il museo del genocidio che ne spita il ricordo. Cammino verso il centro e attraverso un ponte. Su una sponda hanno scritto “Ti amo”, sull’altra hanno replicato nella maniera più imprevedibile possibile scrivendo ” Ti amo anche io”. La bandiera lituana che mi accompagna un po’ ovunque garrisce al forte vento di oggi, di ieri e di domani. L’aria sferzante è qualcosa che ti accompagnerà sempre da queste parti. La collina di Gediminas, simbolo di una città e di una nazione, è crollata a metà. Un accesso è chiuso, franato, bisogna fare il giro lungo per salire in cima a vedere castello e rovine coperte da un telo nero che rende tutto simile a un immenso cestino dei rifiuti. Ingiustamente. Passeggio per il centro storico e finisco con il pensare che forse, qui, davanti a questa chiesa scarlatta non mi sono mai sentito così a casa che altrove. Secondo leggenda Napoleone Bonaparte passando di qui voleva portarsi via la chiesa di mattoni rossi che proprio oggi vede affacciarsi il monumento dedicato al poeta Adam Mickiewicius.
Mickiewicz, epigono del nostro Dante Alighieri, è di fatto il poeta nazionale della Polonia. Il suo Pan Tadeusz (Pan Tadeusz, czyli Ostatni zajazd na Litwie. Historia szlachecka z roku 1811 i 1812 we dwunastu księgach wierszem, in lingua polacca: Il signor Tadeusz, ovvero l’ultima incursione armata in Lituania. Storia di nobiltà degli anni 1811 e 1812 in dodici libri di versi) è un poema composto da 12 volumi narranti l’epopea nazionale polacca. Si tratta di uno degli ultimi grandi poemi epici europei la cui prima pubblicazione avvenne nel 1834 all’estero, a Parigi. Si tratta di 12 volumi dedicati a cinque giorni de 1811 e a uno del 1812 scelti dal poeta per raccontare un momento storico particolare, cioè il crepuscolo della Confederazione Polacco Lituana, già divisa tra Russia, Prussia e Austria, eventi storici che hanno fatto sparire per anni la Polonia da ogni mappa politica d’Europa, salvo l’eccezione del napoleonico ducato di Varsavia del 1807. Tutto, nel suo poema, avviene in terra lituana, all’epoca russa, nel paese di Soplicowo dove il signor Taddeo racconta la storia di due nobili famiglie feudali e l’amore che lega Tadeusz stesso a Zosia, appartenente all’altra famiglia. In questa cornice si trovano anche le vicende storiche dell’epoca come ad esempio la rivolta degli abitanti del luogo contro la guarnigione russa. L’incipit del Pan Tadeusz che ogni polacco conosce a memoria sembrano sfiorare il paradosso identitario:
(PL)
« Litwo! Ojczyzno moja! ty jesteś jak zdrowie;
Ile cię trzeba cenić, ten tylko się dowie,
Kto cię stracił. Dziś piękność twą w całej ozdobie
Widzę i opisuję, bo tęsknię po tobie. »
(IT)
« Lituania! Patria mia! tu sei come la salute.
Quanto ti si deve apprezzare, può solo testimoniarlo
Chi ti ha persa. Oggi la bellezza tua nei suoi ornamenti tutti
Vedo e descrivo, poiché a te anelo.
Questo è l’inizio,incomprensibile ai più, tanto da essere equivocamente definito paradossale dalle moderne enciclopedie online. Infatti ai più sembrerà strano che il poema nazionale polacco invochi fin da subito un’altra nazione attualmente confinante ma che, come abbiamo già accennato ha per lungo tempo condiviso il proprio destino e la propria anima storica con l’altro stato. Per molti anni Polonia e Lituania sono stati sinonimi, uniti in una confederazione. Lo stesso Mickiewicz o Mickiewicius si formò nell’ambiente cosmopolita della Confederazione Polacco Lituana. A dirla tutta l’autore del Pan Tadeusz nacque in un paese ora chiamato Zavosse, Завоссе, Завосьсе, attualmente in Bielorussia che è conosciuto come Zaosie in polacco e Zaosė in lituano. Mickiewicz stesso invoca quindi un paese non più suo, mai più esistente ma che fa parte della sua vita e della sua identità, attualmente contesa tra i vari paesi, ovviamente per i lituani è lituano, per i bielorussi è bielorusso e per i polacchi è polacco . Prossima destinazione? Bielorussia.