Tredici, numero della nebbia,
lo smarrire direzione, la strada
per l’edificio abbandonato,
il luogo della danza,
tenersi per mano, poi sedere
a lungo e aspettare, cos’è la sera,
di chi è il corvo, di chi è la tartaruga,
il fuoco in lontananza?
Non rispondere è sempre una risposta,
la carpa diventa poi una balena,
il piccolo diventa grande
e accudisce il piccolo
finché morte non sopravviene.
Dertien, een getal van de nevel,
het verlies van de richting, de weg
naar het verlaten gebouw,
de plaats van de dans,
handen in handen, dan langdurig
zitten en wachten, was is avond,
van wie is de kraai, van wie is de schildpad,
het vuur in de verte?
Geen antwoord is altijd een antwoord,
de karper wordt later een walvis,
het kleine wordt groot
en koestert het kleine
tot de dood erop volgt.
da: L’occhio del mondo, di Cees Nooteboom, traduzione Fulvio Ferrari, Einaudi, 2019
Trentatré poesie, tutte con lo stesso schema metrico. Ognuna è la descrizione di un sogno. Immagini ricorrenti provengono dal luogo dove sono state scritte: una piccola isola del mare del Nord battuta da un forte vento e illuminata da un faro isolato. Un’isola reale ma anche archetipica: scenario ideale per il flusso di materiali onirici.
Cees Nooteboom, nato a L’Aja nel 1933. Tra i suoi titoli più recenti, In viaggio verso Jheronimus Bosch (Jaca Book); Lettere a Poseidon; Tumbas; Tombe di poeti e pensatori e Cerchi infiniti. Viaggi in Giappone, tutti e tre pubblicati da Iperborea. Letterato fra i più importanti del panorama europeo, l’11 settembre 2016 gli è stato conferito il Premio “Lerici Pea” Alla Carriera.