Sono cresciuti insieme a te i miei capelli,
io meno. Ancora sono tentata dallo svanire
se ogni giorno scavo un lembo di pensiero
e mi riduco a un liquido vischioso, irriflessivo,
che non lascio bere a nessuno. Potremmo
davvero esserci tutti senza nient’altro
– solo nutrirsi ogni tanto – umane necessità.
Cosa riempirebbe allora le coscienze,
quale commento, quante penose idee.
***
Rispondendo sempre a una sete
mi attardavo, era il tuo l’ultimo profilo
inarrestabile, mentre ad uno ad uno
si spegnevano i vicoli e moriva
l’autofficina. Pochi ragazzi e alcuni
operai si nascondevano nelle cucine,
idratavano la gola, poi si concedevano
ore di fantasia, annegavano al telefono
e fuori un altro secolo, un’altra storia,
la preistoria delle voci senza lingua,
senza bugia, la destra immacolata.
***
Si apparta il sole sulla punta
del giorno, ammalato celebra
un contatto da niente, nessuno
penserebbe a quel bacio
selvatico, nessuno scioglierebbe
le trecce nel fiume stanotte
nascosto com’è dietro il piacere,
madre delle febbri, principio
di dolore. Sotto la terra danza
aggressiva la gioia
la stringi tra i denti, si
sfila come saliva, prosciuga
il sangue negli alveoli, rende
felice anche l’ombra pigra
del male.
***
Verrà un giugno accaldato
ed io sarò in qualche maniera
nel nido dove abiti, forse senza
voce, o nuda, ti preparerò la cena,
darò delle briciole di pane
al pigolio dei passerotti
e non dovrò chiederti lì com’è
il tempo, se hai dormito, se
qualcuno ha bussato: arriverò
come un’onda e aggrappata
alle travi mi opporrò alla risacca,
rimarrò senza fare domande
nel silenzio del paese assopito.
***
Getta le carte vecchie, i vestiti:
nella casa serve più luce, più aria
entrerà dalle fessure attraverso
le tende bianche, quella calda
che asciuga lacrime, vernice.
Serve qualcosa per saldare il vuoto,
una libreria più larga, un complice
che metta in tavola il pane, un figlio
che con tenerezza ti versi l’acqua
lasciando seccare il bucato
sotto la canicola che ci brucia la faccia,
che ci scalda nella bocca la cenere,
briciole amare, ustione di voci.
Eleonora Rimolo, da La terra originale, LietoColle 2018
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Eleonora Rimolo (Salerno, 1991), laureata in Lettere Classiche e in Filologia Moderna, è dottoranda in Studi Letterari presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato il romanzo epistolare Amare le parole (Lite Editions, 2013) e le raccolte poetiche Dell’assenza e della presenza (Matisklo, 2013), La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi) e Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva). Con alcuni inediti ha vinto il Primo Premio Ossi di seppia (Taggia, 2017). È Direttore per la sezione online della rivista Atelier.
Poesia che in chiarita’ visionaria e sapiente scelta lessicale riesce a riflettere l’enigma dell’oggi, tra sensazioni di mancanza e vertiginosi tratti di vera comunicazione. Una scrittura da tenere d’occhio.
Ti ringrazio di cuore, davvero. Generose parole.