TRA REALTA’ E INVISIBILE
COMMENTO DI FEDERICA GIORDANO
“Soltanto tu ti levi, come la luna”. In questa lirica del 1914, Rilke assegna a Friedrich Hölderlin, per consanguineità, il compito di rappresentare il Poeta, colui che, lontano dai “miseri accordi” e dai “comodi versi indulgenti”, si fa anello di congiunzione tra la realtà e l’invisibile. “Siamo le api dell’invisibile. Raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile”. Il compito dell’umano è quello di operare questa Verwandlung (una trasformazione) del mondo caduco in modo che esso faccia risorgere in noi l’invisibile.
La traduzione è una terra infida e “tremblante”, sempre provvisoria dal momento che le lingue sono reciprocamente inafferrabili. Eppure, facendo proprie le parole di Walter Benjamin, il traduttore ha la responsabilità di creare almeno una eco dell’originale nella lingua di arrivo. Per fare questo, Ulderico Pomarici ha cercato una fedeltà al testo programmatica, che conservasse anche le ambiguità interpretative per dare funzione attiva al lettore e per regalare un testo quanto più possibile vicino al suo originale.
A Hölderlin
Irschenhausen, settembre 1914
Sostare a noi non è dato, neppure
al più confidente; dalle immagini
compiute trabocca lo spirito così d’improvviso
verso altre ancora incompiute;
laghi saranno solo nell’eternità. Qui la rinunzia
è suprema virtù. Dal sentimento conosciuto
cadere a precipizio al presagito e oltre.
A te, Magnifico, a te che l’evocavi,
l’immagine che t’invadeva era un’intera vita
quando le davi parola: il verso si chiudeva come fosse destino,
anche nel più dolce c’era una morta e tu vi entrasti; ma
il dio che ti guidava te ne trasse fuori, al di là.
Tu, spirito inquieto, tra tutti il più inquieto! S’acquietano
Tutti in comodi versi indulgenti,
e s’attardano in miseri accordi. Diligenti. Soltanto tu
ti levi, come la luna. E quaggiù
il tuo paesaggio notturno s’illumina e s’oscura
nel sacro terrore degli addii da te presentiti. Mai nessuno li ha
più nobilmente donati, restituendoli integri
al Tutto, di nulla mancanti. Così
con gioia infinita, giocasti anche tu il gioco sublime
perdendo il conto degli anni, come non fosse dentro di te
ma giacesse, cosa di nessuno, nella tenera zolla di terra,
abbandonata lì intorno da fanciulli divini.
Ah quel che ambiscono i sommi tu, senza desiderio alcuno,
l’hai edificato pietra su pietra: e stava. Ma neppure
il suo crollo ti smarrì.
Perché se un tale spirito Eterno è stato, ancora
e sempre diffidiamo di quel che è della terra? Invece
d’apprendere dall’Impermanente, pazienti,
il sentire, per quale possibile vocazione futura?
An Hölderlin
Irschenhausen, September 1914
Verweilung, auch am Vertrautesten nicht,
ist uns gegeben: aus den erfüllten
Bildern stürzt der Geist zu plötzlich zu füllenden; Seeen
sind erst im Ewigen. Hier ist Fallen
das Tüchtigste. Aus dem gekonnten Gefühl
überfallen hinab ins geahndete, weiter.
Dir, du Herrlicher, war, dir war, du Beschwörer, ein ganzes
Leben das dringende Bild, wenn due es aussprachst,
die Zeile schloβ sich wie Schicksal, ein Tod war
selbst in der lindesten, und du betratest ihn; aber
der vorgehende Gott führte dich drüben hervor.
O du wandelnder Geist, du wandelndster! Wie sie doch alle
wohnen im warmen Gedicht, häuslich, und lang
bleiben im schmalen Vergleich. Teilnehmende. Dud nur
ziehst wie der Mond. Und unten hellt und verdunkelt
deine nächtliche sich, die heilig erschrockene Landschaft,
die du in Abschieden fühlst. Keiner
gab sie erhabener hin, gab sie ans Ganze
heiler zurück, unbedürftiger. So auch
spieltest du heilig durch nicht mehr gerechnete Jahre
mit dem unendlichen Glück, als wär es nicht innen, läge
keinem gehörend im sanften
Rasen der Erde umher, von göttichen Kindern verlassen.
Ach, was die Höchten begehren, du legtest es wunschlos
Baustein auf Baustein: es stand. Doch selber sein Umsturz
irrte dich nicht.
Was, da ein solcher, Ewiger, war, miβtraun wir
immer dem Irdischen noch? Statt am Vorläufigen ernst
die Gefühle zu lernen für welche
Neigung, künftig im Raum?
Rainer Maria Rilke
Le api dell’invisibile
I quattro requiem e altre poesie
1897- 1926
Traduzione e cura di Ulderico Pomarici
Edizioni Artem
Rainer Maria Rilke, nasce nel 1875 a Praga, da famiglia tedesca. Fu profondamente influenzato dall’atmosfera suggestiva e incline al gusto occultistico della città. Condizionato da questa coloritura cui era intimamente predisposto, fuggì a Monaco dove conobbe Lou Salomé, scrittrice, intellettuale, amica di Nietzsche e una delle prime psicoanaliste, che lo introdusse nella cultura europea del tempo, spingendolo a viaggiare in Italia e in Russia, dove conobbe Tolstoj. Nel 1900 si stabilì a Worpswede (Brema) presso una comunità di artisti di cui faceva parte la scultrice Clara Westhoff, divenuta poi sua moglie (1901). Nel 1902, dopo essersi separato, si stabilì a Parigi ed effettuò alcuni viaggi in Italia e in Scandinavia. Nella capitale francese per circa un anno fu segretario di Rodin. Tra il 1910 e il 1913 viaggiò in Nordafrica e in Spagna e nel 1911-12 soggiornò al castello di Duino, ospite della principessa Maria von Thurn und Taxis. Durante la prima guerra mondiale fu per lo più a Monaco, poi in Svizzera, nel castello vallese di Muzot. Morì di leucemia nel 1926 ed è sepolto a Raron.