Per un bambino che non conosce più i passeri
Urlavan lungi dei cani (o eran gufi?).
Urlavan lungi dei cani e c’eran gufi;
e come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri del cimitero
quando il ragazzino si trovò
solo solo nella notte.
E allora egli aveva un urlo strozzato nella gola,
ché un fruscio d’erbe lo soffocava come un serpente
e la luna veramente era cupa tra le fronde degli alberi.
Come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri e i fianchi degli argini,
e fu allora che il bambino perse l’uso della parola,
e perse la vista comune delle viole e dei giocattoli
e il senso naturale delle cose.
Così ora tentenna il capo e nei suoi occhi è una nuvola,
ma pare un angelo divino contemplante
profonde luci assorte in se stesso.
Povera madre che lo sorvegli lungo i sentieri del tuo orto
e ora lacrimi al suo riso ebete sugli asparagi,
io non so dirti s’è sfortuna a lui toccata
o s’è migliore la sua sorte, più benigna
che al fanciullo intento a suddividere
in bianchi e neri i dadi del suo gioco.
Umberto Bellintani, poeta italiano, nasce a San Benedetto Po (Mantova) nel 1914 e muore nel 1998. Studia alla scuola d’arte di Monza per diventare scultore, ma è richiamato alle armi nel ’40 e viene fatto prigioniero in Germania dal ’43 al ’45. Rientrato in Italia, abbandona l’arte, lavora come segretario in una scuola e si dedica alla poesia. Pubblica la prima plaquette, Forse un viso tra mille nel ’53, seguita da Paria due anni dopo; nel ’63 appare la sua raccolta riassuntiva E tu che m’ascolti. Nonostante gli autorevoli consensi (tra gli altri di Parronchi, Montale, Chiara, Luzi, Fortini, Bàrberi Squarotti, Forti, Caproni), decide di non pubblicare più, tenendo fede all’impegno preso con se stesso fino agli ultimi anni della sua vita. Nel 1998, infatti, esce Nella grande pianura, che è la sua opera più importante, comprendente la raccolta del ’63 e un’ampia scelta di inediti dei trentacinque anni successivi.
Selezione del testo a cura di Fabrizio Fantoni
Questo suo quasi inneggiare alla cecità del bimbo. Quanto di autobiografico ci sarà in questo poema? La cecità gli permette un mondo che può creare ,se pur dolorosamente, da solo.
Leggendo l’interessante commento di Fabrizio Fantoni rispecchia molto la volontà del poeta di ritrarsi e continuare a scrivere senza sovraesposizione. Grazie Fabrizio Fantoni.
Cara Doriana, hai ragione. Il poeta Bellintani scrive senza sovraesposizione non avendo altro desiderio se non evocare una realtà minima e quotidiana che sicuramente gli appartiene. Da questo punto di vista Umberto Bellintani si fa esponente di quesll’angica cultura della realtà che è nata molti secoli fa in Lombardia e che ha riguardato non solo la letteratura, ma anche le arti figurative: si pensi ad esempio alle opere di Savoldo, Moroni e soprattutto Ceruti detto il Pitocchetto. E in questa ampia e variegata cultura lombarda che vanno letti i poeti della realtà del secondo Novecento di cui Bellintani è un massimo esponente. Grazie per la tua attenzione.
Fabrizio Fantoni