Aprile
Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri che al novello amore
han fatto schermo della terra antica
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta
– se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.
Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia per che, pur fiduciosi.
Ché pur in me natura si nasconde
insidiosa e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
e mi toglie da me sì ch’io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo
lontano e solo, anco s’a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.
Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Già trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole ch’ei rispenga tosto:
passano i giorni e già sarà qui ‘1 verno
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade.
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sé ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello che nemico
le amica il vicendevole disio,
nemica a quelli pur quando li ami
e ancora a sé per più voler nemica.
Così nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene –
ed il tempo travolge – e mentre viva
vivendo muor la diuturna morte.
Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi tramuto e mi dissolvo
e mentre assisto al mio dissolvimento
ad ogni istante soffro la mia morte.
E così attendo la mia primavera
una ed intera ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso e spero senza fede.
Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l’indifferente tramutar del tutto.
Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi
o sano o tristo, ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Che ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto
e se morir non sia che continuar
la nebbia maledetta
e l’affanno agli schiavi della vita –
– purché alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga
e più non sappia questo ch’ora soffro
vano tormento senza via né speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest’occhio che sa di non vedere,
sì che l’oscurità per me sia spenta.
Carlo Michalstaedter
Notte 16-17 Aprile 1910
Carlo Michelstaedter, goriziano di nascita e morte prematura (1887-1910), crebbe nell’agio della borghesia colta e vivace della mitteleuropa fin de siècle. Oltre alla formazione classica (greco-latina) e agli studi filosofici – che saranno determinanti per la sua opera – ‘gravano’ sul suo apprendistato e sul suo pensiero la lettura di – tra gli altri – Schopenhauer, Nietzsche, Tolstoj, Leopardi e Ibsen, che contribuiscono alla definizione di uno spirito tragico e lucidamente irrisolto. È più che palese, nelle liriche, la lezione leopardiana, di cui è pienamente informato il suo sguardo rivolto all’ineluttabilità del dolore e della morte. A tal proposito sono puntuali e illuminanti le parole di Sergio Campailla in chiusura del suo commento delle poesie (Adelphi, Milano, 1992): “[sott. All’Isonzo, l’ultima poesia] la morte agognata non è, come era in Leopardi, la bellissima giovinetta che offre rifugio nel suo virgineo seno, non è più, come in Aprile, il «benevolo porto sicuro», è invece estinzione e distruzione concessa dal «dio nemico»”. Nel 1910 si toglie la vita con un colpo di pistola, dopo aver assistito alla medesima fine del fratello Gino e di Nadia Baraden – da lui amata in passato. La sua produzione poetica e La Persuasione e la Rettorica (la tesi di laurea di Michalstaedter, mai discussa proprio a causa della prematura scomparsa) sono disponibili presso l’editore Adelphi, sempre a cura di Sergio Campailla.
La scelta dei testi è a cura di Emanuele Franceschetti