Piero Bigongiari, l’amore dentro

Piero Bigongiari

Tempesta

(da Rogo, 1952)

 

Forse è questa l’ora di non vedere
se tutto è chiaro, forse questa è l’ora
ch’è solo di sé paga, ed il tuo incanto
divaga nell’inverno della terra,
nell’inferno dei segni da capire.
Ma non farti vedere dimostrare
ancora le tue formule, è finita
l’orgia dei risultati rispondenti
alle cause. Sei sola, batti i denti
accosto ai vetri nevicati, tetri.
Divergono in un morbido riaccendersi
d’altro sangue i destini che ci unirono.
Tu li ricordi come – in queste tarde
ore che riscoccano dalla pendola –
in un fuoco di tocchi, in un orrendo
scatenarsi, dai tuoi armadi, di bambole.
La nostra vita, catturata, vedi,
mentr’era armata solo di silenzio,
come dai parafulmini ridesti
da un lampo, trova il filo da seguire
per non morire restando se stessa.

 

Pietà

(da Antimateria, 1972)

 

L’amore non fa un passo, ti è d’intorno,
tu intorno a lui, l’amore non fa un passo,
ti è dentro, ma tu sei dentro di lui
e tocchi la rugosa realtà
con mano liscia, alterna, imprevedibile.

Hai l’occhio che s’accentua del guardato
universo, ma l’universo è un occhio
che mi guarda, mi guarda e mi destina:
si fonde, vedi, questa altra mattina
in un punto perché quello io non sia,

ma tutto sia quel punto, tutto sia.
Amica delle mie notti, mia amica
e nemica, distingui, scegli il passo,
avanza del tuo occhio a mezzo, intenso
in questo intero ch’è solo metà.

 

È l’istante che è eterno

(da Il silenzio del poema. Poesie 1996-1997, 2003)

 

È l’istante che è eterno: non ha fine
che fuori di sé; esplode nel suo interno
il segno, il sogno, di ciò che non è
il tempo, la cui aureola già si attenua.
Il vento che s’è fatto impetuoso
mescola fuoco e cenere, intriga
nel suo più ingeneroso antiattimo
il suo ormai impossibile riposo.
Sono qui, tu gli gridi, sono qui,
i nidi sono pieni degli implumi
che attendono le ali tra i barlumi
della tempesta. E’ ciò che di me resta
degli istanti fatali di una festa
racchiuso nei suoi numeri immortali.
Il piede già non calpesta le orme
della sua ultima mutazione.
Tutto dorme, anche la felicità
in questo tramutarsi delle forme
nella loro forse ultima realtà.

 

Piero Bigongiari, nato in provincia di Pisa nel 1914, è morto a Firenze nel 1997. Critico, scrittore, docente, poeta ed intellettuale eclettico, la sua copiosa produzione poetica e saggistica (e, in un certo senso, gran parte della sua esperienza individuale) è nata e si è sviluppata nell’alveo dell’ermetismo fiorentino, insieme a Luzi, Parronchi, Macrì, Gatto e altri, diventandone forse la voce più densa, tesa e complessa. Sempre in questo contesto prende forma la sua collaborazione con alcune delle grandi riviste letterarie del ventesimo secolo («Il Frontespizio», «Letteratura», «Campo di Marte»). Profondo conoscitore – tra le altre cose – di Leopardi, del barocco e del novecento poetico francese, è stato anche prolifico traduttore (Conrad, Rilke, Ponge, Thomas, René Char).

La scelta dei testi qui presentati di Piero Bigongiari è di Emanuele Franceschetti

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