Wir stehen an der hecken graden wall:
In reihen kommen kinder mit der nonne.
Sie singen lieder von den himmelswonne
In dieser erde sichrem klarem hall.
Die wir uns in der abendneige sonnten
Uns schreckten deine worte und du meinst:
Wir waren glüclick bloss solang wir einst
Nicht diese hecken überschauen konnten.
Siamo al limite netto delle siepi
Bimbi vengono in fila con le suore.
E cantano con gioia celestiale
Nel chiaro certo suono della terra.
E godevamo il sole della sera
Tremavamo al tuo dire se tu pensi:
Fummo felici solo fino a quando
Non vedevamo oltre queste siepi.
Ich schrieb es auf: nicht länger sei verhehlt
Was als gedanken ich nicht mehr verbanne·
Was ich nicht sage · du nicht fühlst: uns fehlt
Bis an das glück noch eine weite spanne.
An einer hohen blumen welkem stiel
Enfaltest du’s · ich stehe fern und ahne..
Es war das weisse blatt das dir entfiel
Die grellste farbe auf dem fahlen plane.
*
L’ho scritto: che non stia nascosto ancora
Quello che non bandisco dal pensiero
Se non lo dico non lo senti: manca
Per la felicità un gran cammino.
La dischiudi sul calice appassito
Di un alto fiore. Sto lontano e penso…
Era quel foglio bianco a te sfuggito
L’aspro colore sul pallido piano.
*
Wie ein erwachen war zu andrem werden
Als wir wergangenheit in uns gebändigt
Und als das leben lächelnd uns gehändigt
Was lang uns einzig ziel erschien auf erden.
Auf einmanl alle stunden so nur galten:
Ein mühevolles werben um die hohe
Die uns vereinte · die in ihrer lohe
Gestalten um uns tilgte und gewalten.
*
Diventare diversi è risvegliarsi
Come quando avevamo in noi il passato
E la vita ridendo ci teneva
Sembrava in terra l’unico obiettivo.
Di colpo il tempo fu solo così:
Un faticoso tendere all’altezza
Che ci univa · che nella sua fiamma
Figure intorno a noi domina e manda.
(da L’anno dell’anima, trad. di Giorgio Manacorda, Elliot, 2018)
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Stefan George (1868 – 1933) fu artista ed intellettuale singolare ed affascinante, carismatico ed ambiguo. Visse la stagione bruciante del simbolismo e della decadence, conoscendone e frequentandone le voci più importanti, tra cui Verlaine, Mallarmé e Swinburne. Attorno a sé radunò un nucleo di artisti accomunati da una radicale presa di distanza dal naturalismo e caratterizzati da un gusto estetizzante ed elitario; da tale cenacolo nacque una rivista, «Die Blätter für die Kunst», che uscì fino al 1919. Nonostante le palesate simpatie del nazismo verso di lui, George rifiutò gli allori e l’uso propagandistico della sua opera, e nel 1933 emigrò in Svizzera, dove morì.
Come suggerisce Manacorda, è possibile riscontrare nell’opera di George il dono della “classicità nella contemporaneità”: certi atteggiamenti eccentrici e volutamente aristocratici (il punto a mezza riga per spezzare la versificazione, il conservatorismo raffinato e ‘prezioso’ della lingua), tuttavia, non impediscono alla sua poesia di esibire non soltanto lo splendore della forma, ma una tensione alta, quasi spirituale, che proprio nella costruzione e nella parola trovano il loro compimento. E, allo stesso tempo, il loro limite.
Fra le sue opere (che comprendono anche traduzioni di D’Annunzio, Dante, Shakespeare e altri) ricordiamo in particolare Eliogabalo (or. Algabal, 1892), L’anno dell’anima (Das Jahr der Seele, 1897), Il settimo anello (Der siebente Ring, 1907), Il nuovo regno (Das neue reich, 1928).
Emanuele Franceschetti
Davvero sorprendente l’eleganza classicheggiante di questi versi, manifestata particolarmente nella musicalità del testo originale.
“Un classico contemporaneo”, potremmo definirlo così.