DALLA QUARTA DI COPERTINA
Due elementi si impongono in modo netto in questo finale e compostissimo messaggio poetico di Maria Luisa Spaziani: l’impeccabile maestria elegante dello stile e la saggezza riflessiva sulle cose del mondo, sempre filtrate dalla sensibilità acuta e dall’estro della propria esperienza, della propria articolatissima memoria. Una memoria, appunto, quanto mai ricca di episodi e dettagli pronti a riaffiorare. «Le duemila poesie che ho scritto / sono graniglia di vasto fiume», ci dice la Spaziani, che se ne andò consegnando ai posteri questo libro, senza dubbio uno dei suoi esiti più elevati e limpidi. Un libro che parla ancora, anche, dell’amore, che ragiona sulla precarietà dell’umano percorso, che indugia sui luoghi, come la Roma dove l’autrice a lungo visse, o come la sua Torino. Ma che sa non di meno soffermarsi in abbandono sul «mistero di un fiore», o che provvisoriamente si appaga nella vitale apertura di chi è consapevole che «bellezza, gioia, e giovinezza irrompono / rovesciando ogni diga». In questa poetica e preziosa realizzazione di un consapevole e pacato consuntivo, Maria Luisa Spaziani sa bene che «il tempo passa di ora in ora», in una sorta di «pallottoliere cosmico», eppure a noi resta la vantaggiosa sorte dello scavo in profondo e della mirabile testimonianza che, in un’avventura poetica come la sua, trapassa il tempo stesso e ci perviene, ad alimentare e confortare il senso del nostro complesso esistere.
ESTRATTI
E’ una pianura sacra il capelvenere,
lo dice la parola, e dolcemente
scioglie il vento le chiome della dea
nate fra le macerie al primo sole.
Le capre non brucano e non sanno
certo il perché. Ne colsi un giorno un esile
rametto per tenerlo a segnalibro.
Non riesce a incanutire.
**
Sotto la terra vibra l’officina
febbrile di gennaio. In superficie
nessun orecchio si impressiona. Eppure laggiù
il fermento ci riguarda.
In noi inavvertito scorre il sangue
dall’alba della nascita al morire.
Non si lascia vedere se non quando
dalla ferita urla il suo colore.
**
Guardàti di fronte, guardàti di profilo,
gli alberi hanno corna ricurve,
mimano angeli che spiccano il volo.
Bella giostra. M’invitano a salire.
Un viaggio senza meta in tutto il mondo:
resteremmo lì immobili, legati
a radici inflessibili. Ma il cielo
senza radici ruoterebbe per noi.
Maria Luisa Spaziani, (Torino, 1922-Roma, 2014) è stata a lungo docente di Letteratura francese ed è autrice di importanti traduzioni, da Racine, Yourcenar, Tournier. Fondatrice del Centro Internazionale Eugenio Montale e del premio Montale, ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: Le acque del sabato(1954), Il gong (1962), Utilità della memoria (1966), L’occhio del ciclone (1970), Transito con catene(1977), Geometria del disordine (1981, premio Viareggio), La stella del libero arbitrio (1986), I fasti dell’ortica (1996). Autrice del poema-romanzo Giovanna D’Arco (1990), di Donne in poesia (1992), di racconti (La freccia, 2000), lavori teatrali (La vedova Goldoni, La Ninfa e il suo re) e di critica letteraria. Tutti i suoi libri di versi sono stati pubblicati nello Specchio e poi raccolti in un Meridiano (2012)
Per me una delle più intense poetesse contemporanee. Da “Transito con catene” in poi.