Wallace Stevens, una traduzione

Wallace Stevens

Da “Harmonium”

Why should she give her bounty to the dead?
What is divinity if it can come
Only in silent shadows and in dreams?
Shall she not find in comforts of the sun,r
In pungent fruit and bright green wings, or else
In any balm or beauty of the earth,
Things to be cherished like the thought of heaven?
Divinity must live within herself:
Passions of rain, or moods in falling snow;
Grievings in loneliness, or unsubdued
Elations when the forest blooms; gusty
Emotions on wet roads on autumn nights;
All pleasures and all pains, remembering
The bough of summer and the winter branch.
These are the measure destined for her soul.

Wallace Stevens, da Harmonium, 1923

Perché dovrebbe dare i suoi averi alla morte?
Cos‘è il divino se arriva
soltanto nelle ombre silenziose, nei sogni?
Non troverà forse nel tepore del sole,
nei frutti fragranti e nelle ali, verdi e splendenti, o ancora
in ogni balsamo o dono della terra,
cose da amare quanto il pensiero del paradiso?
La divinità deve vivere di sé:
passioni di piogge o umori di nevicate
cordogli solitari o smodate
esultanze quando il bosco è in fiore; emozioni
a raffica sulle strade umide, notturni autunnali;
Tutti i piaceri e tutti i dolori, ricordando
la fronda dell’estate e il ramo d’inverno.
Sono queste le misure riservate a lei, all’anima.

Traduzione di Giovanni Ibello

Wallace Stevens (1879-1955) è da molti considerato il maggiore poeta americano del Novecento; certo non è secondo a nessuno dei massimi coetanei (Eliot, Frost, Pound, Williams), e oggi è il più frequentato e universalmente ammirato, a livello di cultura diffusa come da parte di lettori, studiosi, artisti e poeti; i libri a lui dedicati sono ormai centinaia. Stevens, che nella vita fu dirigente in una importante compagnia di assicurazioni del Connecticut e non visitò mai l’Europa, ha fama di poeta difficile, addirittura impenetrabile, ma i suoi testi hanno la limpidità glaciale di uno specchio in cui i lettori non cessano di trovare immagini e parole per dire la loro condizione (post)moderna. «La poesia» affermò «è una risposta alla necessità quotidiana di afferrare bene il mondo.» Ne esce quasi un manuale di sopravvivenza dove, come nei capolavori della musica e della pittura, la forma sovrana permette al lettore di entrare in un universo più vivido e libero, e così vivere pienamente la propria misteriosa umanità.

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