Il “Punto Alfa” di Luigia Sorrentino: per una lettura di “La nascita, solo la nascita”

Luigia Sorrentino /credits photo Gerardo Sorrentino

di Marco Pavoni 

Vorrei una città che accolga una sola persona e tutte le altre persone”. Così ha scritto alcuni anni fa Luigia Sorrentino nell’ambito della sua pagina Facebook, auspicando una consapevolezza problematica di se stessa e dell’umanità in generale. Perché “problematica”? Forse perché l’autrice è convinta del fatto che, per arrivare a un pieno possesso del Sé più autentico, la sua persona, e il consorzio umano, devono passare attraverso dei dolorosi stadi di purificazione: tali stadi coinvolgono l’autrice che, come gli altri esseri umani impegnati nel cammino lungo il sentiero dell’arte, ha il compito e il dovere di tradurre, in versi letterariamente degni di nota, gli effetti devastanti che la realtà molto spesso produce. Ciò, nell’ambito del libro “La nascita, solo la nascita, è reso evidente nella sezione intitolata “Le onde della terra”: il lettore si trova di fronte a un poemetto liberamente ispirato al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, che colpì la Campania e la Basilicata.

Ma procediamo con ordine. “La nascita, solo la nascita” è dedicato, in epigrafe, “a coloro che soffrono, agli esiliati”, che trovano posto in una sacra e laica cattedrale che coincide, per Luigia Sorrentino, con il mondo in cui lei si trova a vivere. Il libro è articolato in sette sezioni intitolate rispettivamente “In quella vertebra”, “Le onde della terra”, “Lo slancio della rosa”, “Forte è la mano”, “Questa infuriata materia”, “Il peso della terra” e, appunto, “La cattedrale”. Non credo che il numero sette sia stato scelto casualmente. Tralasciando i significati che tale numero ha nella tradizione occidentale, giova, probabilmente, evidenziare il fatto che le sezioni dell’opera sono disposte secondo un ritmo ascendente: sembra quasi che l’autrice voglia salire una scala che la porta a confondersi con l’infinito. Partendo dalla constatazione che, su questa terra, si sta “come granello / infinitamente o pulviscolo / confusamente, al freddo”, Luigia Sorrentino giunge alla conclusione in base alla quale “noi che torneremo, noi che saremo” dobbiamo aspirare a un rapporto non distruttivo con la natura, rappresentata nello scultoreo verso “qui dove ora siamo”. L’infinito e la natura, dunque. Il rapporto che si sviluppa tra questi due concetti è, lungo tutto il corso dell’opera, stretto e di estrema attualità. Mescolando la spiritualità indiana, permeata dal profondo rispetto verso tutto ciò che ci circonda, con una giornalistica e quindi pragmatica attenzione verso i dati che l’esperienza quotidiana le pone dinanzi, Luigia Sorrentino arriva a fondere, in modo mirabile, il suo microcosmo con ciò che sfugge sempre, cioè il macrocosmo.

Con un segreto e meditatissimo linguaggio, l’autrice raggiunge quello che, a mio parere, può essere chiamato un vero e proprio “Punto Alfa”: la volontà di svelare il mistero della propria persona, che coincide con la presa di coscienza di ciò che tale persona è veramente. Avendo come stella polare la riflessione di Milo De Angelis, Luigia Sorrentino tenta di puntellare le zone d’ombra proprie, e del mondo attuale, con una consapevolezza composta da vari elementi: “la gioia del filo d’erba”, l’affetto di chi ci vuole bene, la “luce” di una spiritualità laica che non acceca mai l’autrice, ma la spinge a cercare, attraverso la poesia, un’immagine coerente di se stessa e del suo viaggio in questo mondo. Tale immagine viene costruita attraverso un rapporto costante, e dialetticamente interessante, con la coralità propria, ad esempio, del mondo greco. Ciò mi sembra reso evidente dal “noi” che risplende spesso nei versi, dove una metrica magmatica orienta il lettore attraverso “questa infuriata materia” che è il mondo reale, in cui “il peso della terra” e il corrispondente “morire” si spiritualizzano in quella cattedrale vivente che è l’uomo, componente intangibile di un Disegno inafferrabile.

Che cos’è, dunque, “La nascita, solo la nascita”? Una vigile e totale presa d’atto del proprio essere che, attraverso “il silenzio” e lo “slancio” propri di una “rosa” forse identificabile con l’autrice stessa, può avvenire solamente se l’autrice e gli uomini sono disposti, qui ed ora, ad accettare e superare le sfide inevitabilmente lanciate dal pensiero e, soprattutto, dalla realtà quotidiana, pregna di una negatività che l’arte di Luigia Sorrentino trasforma in un dono poetico di caratura superiore.

 

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