Le Soleil en laisse
à Pablo Picasso
Le grand frigorifique blanc dans la nuit des temps
Qui distribue les frissons à la ville
Chante pour lui seul
Et le fond de sa chanson ressemble à la nuit
Qui fait bien ce qu’elle fait et pleure de le savoir
Une nuit où j’étais de quart sur un volcan
J’ouvris sans bruit la porte d’une cabine et me jetai aux pieds de
la lenteur
Tant je la trouvai belle et prête à m’obéir
Ce n’était qu’un rayon de la roue voilée
Au passage des morts elle s’appuyait sur moi
Jamais les vins braisés ne nous éclairèrent
Mon amie était trop loin des aurores qui font cercle autour d’une
lampe arctique
Au temps de ma millième jeunesse
J’ai charmé cette torpille qui brille
Nous regardons l’incroyable et nous y croyons malgré nous
Comme je pris un jour la femme que j’aimais
Nous rendons les lumières heureuses
Elles se piquent la cuisse devant moi
Posséder est un trèfle auquel j’ai ajouté artificiellement la
quatrième feuille
Les canicules me frôlent comme les oiseaux qui tombent
Sous l’ombre il y a une lumière et sous cette lumière il y a deux
ombres
Le fumeur met la dernière main à son travail
Il cherche l’unité de lui-même avec le paysage
Il est un des frissons du grand frigorifique
Da Clair de terre
(1923)
Il sole al guinzaglio
a Pablo Picasso
Il grande frigorifero bianco nella notte dei tempi
Che distribuisce brividi alla città
Canta solo per se stesso
E il fondo della sua canzone somiglia alla notte
Che fa bene quello che fa bene e piange sapendolo
Una notte che ero di guardia sul vulcano
Aprii senza far rumore la porta di una cabina e mi gettai ai piedi
della lentezza
Finché l’ho trovata bella e pronta a obbedire
Non era che un raggio della ruota velata
Al passaggio dei morti si appoggiava a me
Mai i vini sulla brace ci illuminarono
La mia amica era troppo lontana dalle aurore che fanno cerchio
intorno a una lampada artica
Al tempo della mia millesima giovinezza
Ho affascinato questa torpedine che brilla
Noi guardiamo l’incredibile e ci crediamo nostro malgrado
Come ho preso un giorno la donna che amavo
Noi rendiamo le luci felici
Loro si pungono sulla coscia davanti a me
Possedere è un trifoglio al quale ho aggiunto artificialmente la
quarta foglia
Le canicole mi sfiorano
come gli uccelli che cadono
Sotto l’ombra c’è una luce e sotto la luce ci sono due
ombre
Il fumatore mette mano per l’ultima volta al suo lavoro
Cerca l’unità di se stesso con il paesaggio
È uno dei brividi del grande frigorifero
(Traduzione di Luigia Sorrentino)
André Breton nasce a Tinchebruy nel 1896. A Parigi studia medicina, interessandosi soprattutto di neuropsichiatria. Nello stesso periodo inizia a scrivere poesie.
Durante la grande guerra presta servizio in un ospedale psichiatrici, legge Freud (che conoscerà nel 1921) e incontra Apollinaire. Alla fine del conflitto bellico fonda, con Philippe Soupault e Louis Aragon, «Littérature», una rivista sulla quale intraprende la teorizzazione della dissociazione psichica e dell’automatismo dell’espressione, avviando le prime esperienze di scrittura automatica.
Nel 1920 escono i Campi magnetici, composti in collaborazione con Soupalt. Ha dei contatti con Tzara, ma presto si allontana dall’esperienza dadaista, per dare vita a Parigi, nel 1924, alla «Centrale di Ricerche Surrealiste», i cui obiettivi vengono formulati nei due manifesti del Surrealismo (1924 e 1930).
Fra le sue opere più importanti Nadja (1928); Vasi comunicanti (1932); L’amour fou e l’Antologia dell’humor nero, del 1937.
Nel periodo del nazismo che coinvolge anche la Francia, si rifugia negli Stati Uniti e a New York fonda nel 1941 la nuova rivista, «VVV», insieme a Max Ernst, Marcel Duchamp ed altri.
Ritorna in Francia alla fine della guerra. Alla raccolta delle sue poesie, uscita nel 1948, seguono i Sentieri della libertà (1953). Muore a Parigi nel 1966.