El sarà vera fors quell ch’el dis lu,
che Milan l’è on paes che mett ingossa,
che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,
e che nun Milanes semm turlurù.
Impunemanch però el mè sur Monsù
hin tredes ann che osservi d’ona cossa,
che quand lor sciori pienten chì in ista fossa
quij benedetti verz no i spinten pù.
Per ressolv alla mej sta question,
Monsù ch’el scusa, ma no poss de men
che pregall a addattass a on paragon.
On asen mantegnuu semper de stobbia,
s’el riva a mangià biava e fava e fen
el tira giò scalzad fina in la grobbia.
Carlo Porta
Sarà anche vero il suo gran dirci su:
che Milano è una città stomacosa,
l’aria malsana, umida, gravosa,
noi milanesi fessi senza più.
Ad ogni modo messer Vulevù,
son tredici anni che osservo una cosa:
se lor signori qui prendono posa
le loro tende non le spiantan più.
Per risolvere meglio la questione,
Monsieur, mi scusi, posso quantomeno
pregarla di adattarsi a un paragone.
Un asino tenuto sempre a stoppia,
se arriva a mangiar biada, fave e fieno
tira calci perfino nella greppia.
Traduzione di Patrizia Valduga
Carlo Porta (Milano 1775-1821) è uno dei più importanti poeti italiani, e anche uno dei meno letti perché ha scritto versi in dialetto milanese, difficile da comprendere ormai per gli stessi milanesi, per i non milanesi quasi una lingua straniera che non si sa neppure come pronunciare. E sí che è un poeta molto divertente, molto narrativo: come ha scritto Giovanni Raboni, «Porta e Belli non sono stati “soltanto” dei grandi poeti; sono stati anche – all’insaputa dei loro contemporanei e, forse, di loro stessi – i nostri Gogol, i nostri Dickens, i nostri Balzac». Dunque questo libro nasce dal desiderio di far conoscere Porta al di fuori della cerchia dei filologi e degli specialisti in cui è finito. E nasce soprattutto dalla grande passione portiana di Patrizia Valduga, che ha selezionato i testi più belli del poeta milanese e ha saputo riprodurne in italiano il verso e le rime mantenendone la straordinaria espressività.