Giovanni Perri, rabdomante della parola

Giovanni Perri

COMMENTO E SCELTA DEI TESTI DI GIOVANNI IBELLO

Giovanni Perri, classe 1972, vive a Napoli. E’ laureato in lettere presso l’ateneo fridericiano con una tesi in storia dell’arte medievale. Lavora in Stazione centrale, gestisce un’edicola, luogo archetipico di incroci e fughe. Vende magazine, quotidiani, biglietti da viaggio, souvenir per i turisti. E non è un caso che la nella parola di Perri, regni il senso dell’attraversamento, del luogo precario dove non è concesso ristoro. Giovanni è un rabdomante della parola, uno sregegolatore che fiuta il segno, che parte dal “segno” della cosa reale per sfigurare e tradire ogni legge. Le poesie qui proposte sono tratte da un volume di prossima pubblicazione.

 

Dev’esserci un nome
per dire dove sono quando scrivo
scavando, un nome, che
porti con sé l’odore forse
di qualche campagna bruciata
un nome di donna o di città
che abbia ai fianchi una collera antica
e nella bocca un rudere coperto di sterpaglie;
un nome che entri nella parola casa
e si nasconda per sempre in un punto impreciso del soffitto
nella tenda lì in basso macchiata
da una qualunque ora di paura
uno per dire è sera se le luci rientrano nei tuoi capezzoli
è giorno se l’incendio l’ho visto partire dai capelli o dalla voce.

*

Per il poco che posso mi rivaluto una tua penna d’oca
costata ad occhio e croce dieci franchi al mercato del baratto e dell’usato;
una spilla conficcata nel tempo d’un bacio ed un ritorno
col treno delle 10 dalla gare de Lyon;
mi rivaluto il profilo scolpito nel fumo
del vecchio suonatore di foglie che sono
quando esco da un formato A4 e sogno le vertigini di Pollock
la marmellata santa rosa, i pesciolini rossi della fontana del nettuno
in una sua pazzia definitiva di colombe e nuvole;
mi rivaluto le ossa di mio nonno e Ottorino Respighi
per quel po’ di galline e ottoni verso sera, che salivano mentr’io scendevo
dentro le comode poltrone in pelle
della sezione del partito socialista di via martiri d’Ungheria;
i miei lavori in gesso alla scuola materna
il paniere dorato
il terremoto a novembre e centomila lire vinte con un dodici alla schedina
di cui ricordo un due, catanese, in zona cesarini, e Paolo Valenti felice ma triste
i vetri rotti col super santos
i quaderni di Gramsci sfiorati con un dito
il pane burro e zucchero e il braciere sotto il tavolomondo
e rivaluto i coni gelato di gigino e i coni d’ombra di marzo:
geografie di lucertole e bruchi e talpe che sfondano stuoie
ed entrano nella parola pioggia con un fluire di femmine tagliate nell’albero
per questo rivaluto e mi svesto- svirgolo- svolgo e mi ravvivo: e mi raggiro:
per ogni galleria nel cuore
per ogni alba d’africa nel sangue se mi vedi piangere
se mi vedi ridere
scrivendo.

*

Poi ognuno prese la sua strada
la lucertola scomparve nel prato
e io sciolsi il cappio
recitai la mia sopravvivenza di bambino
diviso in sentieri:
ogni strada una faccia
di legno che scricchiola negli occhi e sotto
un lago pieno di cefali, anguille, topi;
misi la coda nella lattina della Fanta
per agitare l’estate in cui cresceva
la lingua del poeta
il rumore dell’occhio che dice che ha trovato.

*

Oggi vengono i matti,
occorre legna buona
un dolce crepuscolo,
qualcuno che dica:
-buongiorno, sente anche lei il vento nella testa?
e gli alberi li vede e il fumo che sale oltre le case?
Li porterò alla torre
sul pendolo di marzo
a toccare la rondine che passa
e la pietra che grida cadendo.

*

C’è una parte che viene, sembra, dal vento, che non so dove inizi:
per esempio quando sei felice. Là finisce gennaio, sfiori la neve.
Allora io ti parlo di un lontano inverno dove toglievi la polvere ai rami
e ti riservo una finestra da quest’occhio che ti sia leggera fioritura il ricordo
di un odore di ardesia e albicocco
quando i bambini ti salivano sui piedi e tu piangevi il figlio per ogni gessetto spezzato.
– Alba pratàlia aràba – ripetevi, e non indovinavi il bianco
che un po’ alla volta ti copriva le parole
e il colore che avrebbe avuto agli occhi
e il suono della voce.
Ora è così sottile l’aria
tu scrivi sempre poesie di treni che si perdono
e notti piene di cesarei e aliti sui vetri e scrivi e cancelli col maglione i nomi
che più avresti voluto
e fuori c’è una luce che non so dove inizi
ed è un sussurro che galleggia nel tempo: come quando mi guardi senza occhi
e senza parole dici:
guarda come finisce bene questa pioggia.

Nota biografica

Giovanni Perri nasce a Napoli nel 1972. Consegue la laurea in lettere moderne con una tesi in storia dell’arte medievale. Fa parte della redazione di “Bibbia d’Asfalto- Poesia urbana e autostradale” e di “Inverso –Giornale di poesia”; collabora a “Menabò quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria”. Nel 2017 pubblica “e mi domando la specie dei sogni”, sua prima raccolta di poesie, per le edizioni Terra d’ulivi. Vince diversi premi letterari. E’ presente in diverse riviste e antologie. Sta per andare in stampa, sempre per Terra d’Ulivi edizioni, una sua seconda raccolta di poesie.

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