IL MARE CHE TI HA SPECCHIATA
Dimmi luna del mattino
luna evanescente, scialba, indefinita
di’, perché è così breve la vita
perché ti assomiglia l’umano destino?
Dimmi luna del mattino
luna che te ne stai per andare
di’ cosa senti a te più vicino,
l’agonia di ogni essere? O il mare?
Il giorno che ti sta per cancellare
o il ricordo del mare che ti ha specchiata
tutta la notte e baciata e cullata,
la fine di tutto o il ricominciare?
CHE È SEMPRE LA MIA META
L’Italia era fatta di luna, stamattina.
Di luna la mia Honda tutta coperta di brina
di luna i rami fioriti che la grandine aveva colpito
di luna i giardini, le chiese, le curve a gomito
le vette delle Alpi, le loro lastre, i loro aghi
la foschia orizzontale sospesa sopra i laghi
di luna le vie deserte della città di Varese
le risaie che riquadrano e specchiano distese
di cielo, di luna le turrite alture del Monferrato
di luna il tunnel nero appena attraversato.
L’Italia è fatta di luna, certe mattine
ed è come la luna muta, amica, quieta.
La percorro in alti viadotti, rasento aspre colline.
E poi rivedo il mare, che è sempre la mia meta.
E NON DIMENTICARTI MAI DEL MARE
(Lettera al figlio che non abbiamo mai avuto)
Per Tuğrul Tanyol
Ama la libertà, cerca la gioia
e non dimenticarti mai del mare.
Costruisci. Qualunque sia il tuo fine
– qualunque il fine dell’uomo sulla Terra –
tu costruisci, inventa, narra
la tua vita a te stesso
abbi cura della tua anima
solo così saprai che il tuo corpo è sacro,
saprai che è sacro il tuo sesso.
Non lasciare mai che ti avvicinino
i corrotti, gli ipocriti, i sofisti
quelli che dicono che niente vale
che non esiste nessuna verità
che il bene è indistinguibile dal male
che regnano sul mondo l’avidità e la frode
e frodano per avere, accumulare.
Tu ama la libertà, ama la gioia
e non dimenticarti mai del mare.
Ribellati con quanta forza ha il tuo cuore
ribellati all’ingiusto, al sopraffattore
a chi avvelena per il suo profitto il pianeta
a chi affama per il suo profitto le moltitudini
a chi umilia, a chi disprezza
i deboli, gli inermi, la tenerezza.
Ribellati, già la tua giovinezza è ribellione
è questa la tua stagione
sii un’onda tra le altre della mareggiata
credi sempre che la democrazia
è maestrale, fiori di salino, energia.
La tua sola ricchezza, ragazzo, è la vita
che è sempre mortale e infinita.
Rispettala dovunque la vedi
non calpestare mai una primula
non uccidere mai una lucertola
rispetta gli alberi e la loro saggezza
di avere radici buie e di puntare al cielo
rispetta l’acqua che scorre
la medusa pulsante come fatta di velo
il delfino che guizza sulle onde e ti dice
che vivere è soltanto un salto felice.
Prega, se non sai chi e non sai come
prega lo spirito che soffia nelle cose,
meglio del nulla è anche un Dio senza nome.
Sii fragile con chi è fragile,
sii inflessibile con chi è forte
e apri sempre le tue porte
a chi arriva a te da lontano
non aver paura, dagli la mano
come tua madre e io abbiamo saputo fare
figlio che non abbiamo mai avuto
figlio a cui ora è inutile parlare.
Ma tu, chiunque ti abbia generato,
ama la libertà, cerca la gioia
e non dimenticarti mai del mare.
Marzo 2013
PREGHIERA DEGLI ANNEGATI SENZA NOME
Chiamali per nome, mare
chiamali tu tutti gli annegati
disfatti sui tuoi fondali,
questi non erano marinai,
questi non erano soldati
– erano poveri, erano uomini –
venivano da oltre il Sahara
fuggivano da terre bruciate
da guerre, da fame, sete
domandagli: quanti siete?
e chiamali a uno a uno,
che non manchi nessuno.
Ridaglieli tu, mare
i loro volti, le loro fronti
i loro occhi che i pesci han spolpati
questi non erano marinai,
questi non erano soldati
– erano esuli, erano uomini–
cercavano la Terra Promessa
senza una spada, senza un timone
per bussola avevano la disperazione
ora giacciono come relitti
nel buio corrosi, disfatti
tra alghe, meduse, coralli.
Piangili tu con un mare di lacrime
perché nessuno sa dove piangerli
i naufragati, i mai più ritrovati,
questi non erano marinai,
questi non erano soldati
– erano profughi, erano uomini –
Chiamali tu mare per nome
chiamali tutti ad uno ad uno
che siano le tue dolci correnti
preghiere per gli innocenti
e le tue nere, aspre tempeste
atti d’accusa per chi li ha uccisi
nel tuo Paradiso, nei tuoi Campi Elisi
tu mare incolpevole accoglili
i senza nome, i dimenticati
morti come navigando i marinai
morti come combattendo i soldati
loro che stavano solo cercando
di fuggire da guerre, fame e sete,
domandagli: quanti siete?
e chiamali a uno a uno
ridagli gli occhi e i capelli,
erano come noi, ricordacelo,
– erano uomini, erano fratelli –
31 dicembre 2016-1° gennaio 2017
Si ritrova in questo libro, come è sempre più raro che accada, l’ampio respiro di una poesia che riesce a oltrepassare i limiti inevitabilmente angusti dell’io, per muoversi in una ben più ampia libertà di canto. Giuseppe Conte realizza un vero e proprio poema sul mare, nel suo perenne, inesorabile mutare e ricominciare: «La mer, la mer, toujours recommencée!» scriveva Paul Valéry; e nei capitoli di questo sorprendente libro, pur nell’estrema varietà degli scenari, domina la centralità assoluta del mare nella sua immensa energia reale e simbolica, negli impulsi che sa offrire a un’alta o profonda riflessione lirica. Il mare che inquadra, nella sua dinamica bellezza, il senso dell’esistere, che nel suo essere e nel suo moto, splendidamente anarchico, appare come un testimone impareggiabile. E lo è nei suoi colori stagionali, nei vari luoghi in cui il poeta stesso, dalla propria terra di nascita ai diversi porti delle sue esplorazioni, può contemplarne la meraviglia. Epico e quotidiano, il mare è come «la musica di ciò che accade» ed è una presenza totale e misteriosa nel passaggio di figure anonime, come nella vicenda del poeta che ne ammira e vorrebbe imitarne il movimento e ne resta ammaliato come da una divinità: «Mare la tua misura è l’infinito/ e l’abisso, l’alto e il basso». Giuseppe Conte ha il merito di farsi e farci coinvolgere da una realtà a tutto campo, dove la vastità del mare trova eco nelle innumerevoli presenze vitali del circostante paesaggio, tra il veloce andare ridente dei bambini e lo zampettare dei passeri, che si tratti della Riviera Ligure o della baia di San Francisco. Quello che conta, ci suggerisce il poeta, è farsi catturare e assorbire dall’incessante rigenerarsi del mondo, di cui il mare è il più nobile e generoso emblema.
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Giuseppe Conte (Imperia 1945) è una delle figure più apprezzate e in vista della poesia italiana d’oggi. Ha già pubblicato: Dialogo del poeta e del messaggero (Mondadori 1992, premio Montale) e L’Oceano e il Ragazzo, (BUR, 1983, TEA, 2002). Ha inoltre scritto romanzi, tra i quali L’impero e l’incanto (Rizzoli 1995), I senza cuore (Giunti, 2019) e ha curato l’antologia La lirica d’Occidente (Guanda 1990).