Antonio Riccardi, da “Tormenti della cattività”

Antonio Riccardi

Solo una volta ho visto piangere
mio padre, una sola al principio
della sua tenebra e mai più.
Piangere come piange chi si oppone
da solo alla vita che si disfa
inclemente, ormai paurosa.
Nessun armistizio nella discesa
nessun risanamento a portata.
Solo io che mento sul futuro. Continua a leggere

“Turbolence”, Pisanelli, Scolamiero e Popovic

Vincenzo Scolamiero, From the slant shadow, acrylics on canvas, 2018, detail

Mizuma, Kips & Wada Art Presents:

Turbulence, a group exhibition featuring Geppy Pisanelli, Vincenzo Scolamiero, and Aleksandar Popovic

Please join us for our opening reception on July 17th from 6-8pm

Mizuma, Kips & Wada Art
324 Grand St.
New York, NY
10002
Wednesday – Sunday, 12pm – 6pm

Francesco Filia, da “Parole per la resa”

Francesco Filia

Eco – notte – la spiaggia ghiaia e ciottoli
solcano, netti, la pelle. La schiena inarca
il desiderio che ci abita, attende
tra costellazioni e il vortice
di un cielo lontano e adesso sappiamo
che questo contare e ricontare le stelle,
misurarle con le dita a sestante, un gioco non è.
Il gonfiarsi cupo delle onde. L’enorme
abbraccio degli abissi. La vita
primordiale che li abita, noi due lì giù
annegati obliati avvinghiati, cibo
per l’eterno. Il buio abita
il mare, il firmamento oltre le stelle, il solo,
il vero, l’unico buio. La voragine del cielo.
La furia cobalto di questa marea. L’immenso che ci travolge. Continua a leggere

Pier Paolo Pasolini, da “Le ceneri di Gramsci”

Pier Paolo Pasolini

I

Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l’abbaglia

Con cieche schiarite…questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo

alle curve del Tevere, ai turchini
Monti del Lazio…Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,

tra le vecchie muraglie l’autunnale
maggio. In esso c’è il grigiore del mondo
la fine del decennio in cui ci appare

tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…

Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,

quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padre – non padre, ma umile
fratello – già on la tua magra mano

delineavi l’ideale che illumina
(ma non per noi: tu, morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell’umido

giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia

patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d’incudine
dalle officine di Testaccio, sopito

nel vespro; tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude

la sua giornata, mentre intorno spiove. Continua a leggere

Isabella Morra, da “Rime”

Isabella Morra

CANTO PER IL PADRE

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Sotto i colpi inferti da una Fortuna a lei avversa, Isabella Morra cristallizza la sua fulminea esistenza in un piccolo e adamantino canzoniere, composto nell’altissima solitudine di un castello. La condanna al destino dell’abbandono, celebrata dalla sua stessa famiglia, acuisce in lei la sensibilità per la sorte delle Arianne, le fanciulle che nel mito giacciono addormentate su una riva dimenticata, dopo la partenza dell’amato. Nei versi morriani, l’addio è alla figura paterna in fuga: il suo canto filiale si consuma in un funambolico equilibrio tra innocenza e accusa di tradimento. Il tormento che deriva dalla permanenza nel luogo dell’infelicità non impedisce tuttavia alla poetessa di proiettare il suo sguardo oltre il limiite imposto, nella ricerca mai paga di una visione che culli una qualche novella.

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Roberta Dapunt, la libertà del bene

Roberta Dapunt

Piange sottovoce il sangue,
violenta al risveglio un’asfissia di sonno.
Pesa poco l’immensità versata, è ritmo di poca virtú.
Duole la cadenza delle tempie, a favore di questa miseria indifferente
che esce dal mio naso. Che esce.
Guardo ed è rossa vita senza storia, la mia esposta all’aria.
Io credo di poter vedere in questo una serena illusione,
e sono grata al corpo e a ciò che questo incarnato bagaglio
ancora può nell’universo dei versi:
esce in questo sangue il meglio di me.
È l’unica verità che vedo in questo momento,
la libertà del bene che esce. Che esce e finisce in terra,
dritto sangue e senza esitare si conclude. In terra.
Cosí anche il resto di me che cade, si rivolge al suolo questo corpo,
facile orizzonte davanti a me.

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PoesiaEuropa, per una riflessione democratica sull’unità d’Europa

C O M U N I C A T O   S T A M P A
ISOLA POLVESE, LAGO TRASIMENO, Perugia

Dalla necessità di riflettere, soprattutto oggi, sul significato delle radici umanistiche dell’Europa, da un’idea di Maria Borio nasce PoesiaEuropa.  L’iniziativa, realizzata con i membri del Comitato Scientifico e del Comitato di Redazione di UmbròCultura, verrà lanciata il 13 luglio 2019, presso il Centro Arpa dell’Isola Polvese. 

L’evento, che pone come obiettivo primario, la riflessione democratica sull’unità dell’Europa, è sponsorizzato da Umbrò in collaborazione con il Centro ‘Cambiamento Climatico e Biodiversità in ambienti lacustri ed aree umide’ di Arpa Umbria, posto sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo, patrocinato dall’Università degli Studi di Perugia, dalla Provincia di Perugia, da EUNIC Rome, UPTER di Roma, Movimento Europeo Italia, Europe Direct, Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Perugia (i cui studenti hanno lavorato alle traduzioni delle poesie degli autori che parteciperanno ai reading), Ambasciata d’Irlanda, Accademia d’Ungheria, Ambasciata d’Ungheria, Centro di Studi CILBRA, Czech Literature, D. Akademie Darmstadt, Flanders Literature, Georgian National Book Centre, Goethe Institut, Goranovo Proljece, Immagini d’Irlanda in Umbria, Instituto Cervantes, Institut Français, Ireland United Nations Security Council 2021-2022, Printemps des Poètes, Pro Helvetia, RiflessiDiversi, Skudigk (Studentsko kulturno umjetničko društvo ‘Ivan Goran Kovačić’), e supportato dalle associazioni La Balena Bianca, CaLibro, Metanoia, Medium Poesia e SettePiani.

PoesiaEuropa intende portare una viva discussione sulla situazione culturale e politica europea a partire dalle voci della poesia, per riconsiderare il valore delle radici umanistiche e spirituali dell’Europa e costruire insieme visioni per il futuro. Continua a leggere

Wallace Stevens, una traduzione

Wallace Stevens

Da “Harmonium”

Why should she give her bounty to the dead?
What is divinity if it can come
Only in silent shadows and in dreams?
Shall she not find in comforts of the sun,r
In pungent fruit and bright green wings, or else
In any balm or beauty of the earth,
Things to be cherished like the thought of heaven?
Divinity must live within herself:
Passions of rain, or moods in falling snow;
Grievings in loneliness, or unsubdued
Elations when the forest blooms; gusty
Emotions on wet roads on autumn nights;
All pleasures and all pains, remembering
The bough of summer and the winter branch.
These are the measure destined for her soul.

Wallace Stevens, da Harmonium, 1923

Perché dovrebbe dare i suoi averi alla morte?
Cos‘è il divino se arriva
soltanto nelle ombre silenziose, nei sogni?
Non troverà forse nel tepore del sole,
nei frutti fragranti e nelle ali, verdi e splendenti, o ancora
in ogni balsamo o dono della terra,
cose da amare quanto il pensiero del paradiso?
La divinità deve vivere di sé:
passioni di piogge o umori di nevicate
cordogli solitari o smodate
esultanze quando il bosco è in fiore; emozioni
a raffica sulle strade umide, notturni autunnali;
Tutti i piaceri e tutti i dolori, ricordando
la fronda dell’estate e il ramo d’inverno.
Sono queste le misure riservate a lei, all’anima.

Traduzione di Giovanni Ibello
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Lo spazio del sacro, lo spazio del testo

NOTE PER UNA RILETTURA di OLIMPIA

di Giuseppe Martella 

  1. Fonti

A una prima lettura, Olimpia (Interlinea, 2013)[1] appare come un diamante: un’architettura splendida e tagliente, immersa nell’azzurro intenso di un cielo mediterraneo. Una creatura di luce: donna, città e dea. Nel corso della lettura, ti rimanda poi figure cangianti in cui ti rifletti ruotandole intorno, come in un assedio senza fine. Una città ben difesa da alti bastioni, sui cui spalti appaiono visioni elusive di larve e di donne, di colossi e di chimere. Una città fuori del tempo, certo, nuova e vecchia insieme, sfuggente visione nel bianco che ti acceca. Un’architettura più che umana che custodisce gelosa i segreti di un mondo e i possibili tempi della sua storia.

Forse per questo, il poemetto ha avuto parecchie, anche lodevoli, recensioni ma a quanto ne so nessun approfondimento critico vero e proprio. Ci si è fermati insomma al miraggio della città e alla superficie del testo. Eppure, nella sua breve e perspicua introduzione, Milo de Angelis ci aveva fornito alcuni validi indizi, se non addirittura le chiavi dell’interpretazione, quando parlava di “libro orfico”, “percorso iniziatico”, “sguardo lungimirante”, “tempo assoluto”, e di quella sensazione del lettore di essere “sempre sulla soglia di una scoperta cruciale”. Questi sono tutti attributi infatti che bene si confanno alla tradizione cui appartiene quest’opera: cioè a quella linea alta, visionaria e veggente, del simbolismo europeo, tra Otto e Novecento, che sfocia poi anche nei migliori esiti del modernismo, secondo traiettorie che vanno da Baudelaire a Rimbaud, da Mallarmé a Valery, in Francia; che in Gran Bretagna, sotto l’influsso congiunto dei classici (greci, latini, rinascimentali) e dei simbolisti francesi, generano le opere memorabili (nel contempo classiche e rivoluzionarie) di Ezra Pound, T.S. Eliot e dell’ultimo Yeats; e che infine in Germania annoverano tutta una schiera di validi poeti, nel lungo arco di tempo che porta da Hölderlin a Rilke, e fino a Paul Celan.

A questa linea appartiene il poemetto di Sorrentino, piuttosto che a quella musicale ed estetizzante che, a partire da Verlaine e attraverso Swinburne in Inghilterra, conduce dritto all’estetismo, al decadentismo e a D’annunzio qui da noi. L’unico poeta italiano che si può dire appartenga a pieno titolo alla linea visionaria di cui dicevo, è a mio avviso Dino Campana. E desta davvero meraviglia che i critici non abbiano osato chiamare in causa l’autore dei Canti Orfici nella lettura di un testo che è stato definito “orfico” nella sua prefazione. Campana è infatti un nume tutelare della poesia di Olimpia molto di più di quanto non lo sia lo Hölderlin evocato in epigrafe. Mi soffermerò perciò in particolare su questo debito, non certo per diminuire il valore della poesia di Sorrentino quanto piuttosto per inquadrarla meglio nel contesto del simbolismo italiano ed europeo, al quale credo fermamente appartenga, e per renderla pertanto più accessibile e significativa. Continua a leggere

Al Madre, “L’amica geniale, visioni dal set”


C O M U N I C A T O   S T A M P A

 

La Film Commission Regione Campania e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee  presentano L’Amica Geniale – Visioni dal Set, una mostra di Eduardo Castaldo, a cura di Silvia Salvati e Andrea Viliani. 

Il progetto rientra nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Regione Campania in occasione dell’Universiade Napoli 2019. 

La mostra si sviluppa tra le sale del Madre, il museo d’arte contemporanea della Regione Campania, la Biblioteca Comunale “Giulio Andreoli” e le strade del Rione Luzzatti a Napoli – che fanno da sfondo alla saga letteraria firmata da Elena Ferrante, pubblicata in Italia da E/O,  e alla prima stagione della serie televisiva diretta da Saverio Costanzo, una serie HBO – RAI FICTION e TIMVISION, prodotta da Fandango e Wildside in collaborazione con RAI FICTION, TIMVISION, HBO Entertainment, in co-produzione con Umedia e distribuita internazionalmente da Fremantle in collaborazione con Rai Com. Continua a leggere

Odisseas Elitis, “Marina delle rocce”

Odisseas Elitis

Η Μαρίνα των βράχων

“Εχεις μια γεύση τρικυμίας στα χείλη —Μα πού γύριζες
Όλημερίς τη σκληρή ρέμβη της πέτρας καί της θάλασσας
Άετοφόρος άνεμος γύμνωσε τούς λόφους
Γύμνωσε τήν επιθυμία σου ως το κόκαλο
Κι οί κόρες των ματιών σου πήρανε τή σκυτάλη τής Χίμαιρας
Ριγώνοντας μ’ άφρό τή θύμηση!
Πού είναι ή γνώριμη άνηφορια τού μικρού Σεπτεμβρίου
Στό κοκκινόχωμα όπου έπαιζες θωρώντας πρός τα κάτω
Τούς βαθιούς κυαμώνες τών άλλων κοριτσιών
Τίς γωνιές όπου οί φίλες σου άφηναν άγκαλιές τα διοσμαρίνια

—Μα πού γύριζες
Όλονυχτίς τή σκληρή ρέμβη τής πέτρας καί τής θάλασσας
Σοΰ ’λεγα να μετράς μές στό γδυτό νερό τίς φωτεινές του μέρες
Άνάσκελη να χαίρεσαι τήν αυγή τών πραγμάτων
“Η πάλι να γυρνάς κίτρινους κάμπους
Μ’ ένα τριφύλλι φώς στό στήθος σου ήρωίδα ιάμβου.

“Εχεις μια γεύση τρικυμίας στα χείλη
Κι ένα φόρεμα κόκκινο σαν τό αίμα
Βαθιά μές στό χρυσάφι τού καλοκαιριού
Καί τ’ άρωμα τών γυακίνθων —Μα ποϋ γύριζες

Κατεβαίνοντας πρός τούς γιαλούς τούς κόλπους μέ τα βότσαλα
Ήταν εκεί ένα κρύο αρμυρό θαλασσόχορτο
Μα πιό βαθια ένα άνθρώπινο αίσθημα πού μάτωνε
Κι άνοιγες μ’ έκπληξη τα χέρια σου λέγοντας τ’ όνομά του
‘Ανεβαίνοντας ανάλαφρα ως τη διαύγεια των βυθών
“Οπου σελάγιζε ο δικός σου ο αστερίας.

“Ακουσε, ο λόγος είναι των στερνών η
Κι ο χρόνος γλύπτης τάν ανθρώπων παράφορος
Κι ο ήλιος στέκεται από πάνω του θηρίο ελπίδας
Κι εσύ πιό κοντά του σφίγγεις έναν έρωτα
“Εχοντας μια πικρή γεύση τρικυμίας στα χείλη.

Δέν είναι για να λογαριάζεις γαλανή ως τό κόκαλο άλλο καλοκαίρι
Για ν’ αλλάξουνε ρέμα τα ποτάμια
Καί να σέ πάνε πίσω στή μητέρα τους
Για να ξαναφιλήσεις άλλες κερασιές
“Η για να πάς καβάλα στόν μαΐστρο.

Στυλωμένη στούς βράχους δίχως χτές καί αύριο
Στούς κινδύνους τάν βράχων μέ τή χτενισια της θύελλας
Θ’ άποχαιρετήσεις τό αίνιγμά σου.

Οδυσσέας Ελύτης

Marina delle rocce

Hai un sapore di tempesta sulle labbra − Ma dove vagavi
Tutto il giorno nel duro sogno della pietra e del mare
Vento da aquile ha spogliato i colli
Ha spogliato fino all’osso il tuo desiderio
E le pupille dei tuoi occhi hanno accolto il segnale della Chimera
Rigando di schiuma il ricordo!
Dov’è la consueta erta del breve settembre
Nella rossa terra dove giocavi guardando in basso
I profondi faveti delle altre fanciulle
Gli angoli dove le tue compagne lasciavano bracciate di rosmarino Continua a leggere

Nadia Fusini, “María”

«Sono venuta a confessare un delitto». È una creatura docile e gentile a proferire questa frase terrificante. Si chiama María, ha la fissità di una statua e negli occhi una luce ardente, la stessa dell’isola da cui proviene. L’agente di polizia che in Questura redige la confessione, pur intuendone la pericolosa ambiguità, resta ammaliato e desidera immediatamente conoscere ogni cosa di lei – forse perché, a volte, orientarsi nella vita di una donna significa per un uomo avvicinarsi con ostinazione a se stesso. Fra l’aspirazione al divino e la condanna di avere un corpo, María racconta la sua storia. E rievoca quando rinunciò a tutto per andare a vivere con quello che sarebbe diventato suo marito e insieme il suo carceriere: le loro notti di amore accanito e la vergogna del giorno dopo, la gabbia della gelosia e il miracolo della libertà che non si compie mai. Ammette di essere finita nel labirinto di una passione tanto ineluttabile quanto assassina. Adesso sta scappando, alla ricerca del suo unico figlio. Continua a leggere

La ricerca multiforme di Elio Pagliarani

Elio Pagliarani

da Tutte le poesie (1946-2005), a cura di A. Cortellessa, Garzanti, 2006

Che ci portiamo addosso il nostro peso
lo so, che schermaglia d’amore è adattamento,
guizzo, resistenza necessaria perché baci
la nostra storia i nostri uomo-donna
non solo all’ombra dei parchi
lo imparo ora, forse.
Oh, ma scompagina come il vento
freddo di viale Piave i giorni scorsi, e spaura,
quanto di me non solo porto
sulle spalle, ma mi tocca travasare
adattare al tuo flusso flessibile
e scontroso.
Io che speravo
necessario e sufficiente solo il fiore
che affiora, tocco con le carezze oltre che il tuo
fusto flessibile lo specchio la certezza
di come sia insufficiente il mio amore
per la tua capacità di comprenderlo,
per la tua capacità di comprenderlo
come sia immane il mio bisogno d’amore. Continua a leggere

La mostra “Caravaggio Napoli” al Real Museo di Capodimonte

Figura 1

DENTRO CARAVAGGIO

DI RICCARDO PRENCIPE

“Caravaggio Napoli”, titolo essenziale, che tende quasi a fondere i due nomi, senza preposizioni.

Entrando in mostra ci si rende subito conto della cura scenografica che vi hanno riposto i curatori: ospitare i dipinti di Caravaggio e dei caravaggeschi, in sale completamente scure,“dipinte di negro”. Era così infatti che il maestro lombardo colorava le pareti delle sale studio dove lavorava. Egli Lo faceva in modo da far cadere la luce dalle alte finestre sui soggetti, lo stesso effetto ottenuto oggi artificialmente nei teatri, evitando dispersioni visive, mettendo gli accenti giusti sui chiaroscuri ed enfatizzando i colori. L’intento è chiaro: ricreare un’atmosfera simile agli ambienti in cui queste opere hanno visto la luce.

L’altra novità: non inserire la mostra nell’ambito del percorso museale, bensì trattarla come un organismo autonomo rispetto al museo. La mostra ha infatti un ingresso a sé stante, un’isola di chiaroscuro nella sala Causa, a piano terra. Continua a leggere

Tre poesie di Paul Muldoon

Paul Muldoon

Pelt

Now rain rattled
the roof of my car
like holy water
on a coffin lid,
holy water and mud
landing with a thud

though as I listened
the uproar
faded to the stoniest
of silences… They piled
it on all day
till I gave way

to a contentment
I’d not felt in years,
not since that winter
I’d worn the world
against my skin,
worn it fur side in.

 

Rovescio

Tamburellare di pioggia
sul tettuccio della mia auto
come acquasanta
sul coperchio di una bara,
acquasanta e fango
che s’abbatte con un tonfo

benché mentre ne ascoltavo
il frastorno
quello s’affievolì nel silenzio
più spietato… L’ammucchiarono
per tutto il giorno
fin quando non m’abbandonai
a una contentezza

non avvertita da anni,
non da quell’inverno
in cui avevo indossato il mondo
sulla pelle nuda,
indossato la pelliccia verso l’interno.

Traduzione di Luca Guerneri
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Premio Poesia Città di Fiumicino

L’Associazione Culturale “CORTE MICINA”, con l’alto patrocinio del Comune di Fiumicino, del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Lazio e di Città Metropolitana di Roma Capitale, bandisce la 5a edizione del “Premio Poesia Città di Fiumicino.

Il Premio è riservato a libri di poesia in lingua italiana di autori viventi editi nel biennio

1 giugno 2017 – 31 luglio 2019

La sempre crescente richiesta di partecipazione di poeti al Premio è a conferma dell’alto profilo di credibilità ed autorevolezza assunto dalla manifestazione negli ambienti culturali italiani e nel mondo delle Case editrici, grazie all’eccellenza dei componenti la Giuria Tecnica (Milo De Angelis, Fabrizio Fantoni, Luigia Sorrentino, Emanuele Trevi) – nomi tra i più significativi della cultura italiana.

Il Premio si articola nelle seguenti sezioni:

  • “Premio Poesia Città di Fiumicino” – riservato a libri di Poesia in lingua italiana di autori viventi pubblicati in un periodo compreso nel biennio 1 giugno 2017 – 31 luglio 2019 (vedi art. 2 del bando);
  • “Premio Opera Prima” – riservato alle “opere prime” di autori italiani viventi pubblicate nel biennio 1 giugno 2017 – 31 luglio 2019 (vedi art. 3 del bando);
  • “Premio Poesia Inedita”volto a valorizzare giovani – di età non superiore ai 35 anni – autori di una raccolta inedita di poesia in lingua italiana (vedi art. 4 del bando);
  •  “Premio alla Traduzione”riservato ai traduttori in lingua italiana di opere di poesia di autori stranieri, viventi e non viventi (vedi art. 5 del bando);
  • “Premio alla Carriera” dedicato all’alto valore culturale della produzione poetica di un noto autore italiano (vedi art. 6 del bando);
  • “Premio Fotografa una poesia” – concorso dedicato agli amanti della fotografia capaci di rappresentare con immagini fotografiche il valore poetico di una poesia scelta (vedi art. 7 del bando).

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Maria Luisa Spaziani, lo stile e la saggezza

DALLA QUARTA DI COPERTINA

Due elementi si impongono in modo netto in questo finale e compostissimo messaggio poetico di Maria Luisa Spaziani: l’impeccabile maestria elegante dello stile e la saggezza riflessiva sulle cose del mondo, sempre filtrate dalla sensibilità acuta e dall’estro della propria esperienza, della propria articolatissima memoria. Una memoria, appunto, quanto mai ricca di episodi e dettagli pronti a riaffiorare. «Le duemila poesie che ho scritto / sono graniglia di vasto fiume», ci dice la Spaziani, che se ne andò consegnando ai posteri questo libro, senza dubbio uno dei suoi esiti più elevati e limpidi. Un libro che parla ancora, anche, dell’amore, che ragiona sulla precarietà dell’umano percorso, che indugia sui luoghi, come la Roma dove l’autrice a lungo visse, o come la sua Torino. Ma che sa non di meno soffermarsi in abbandono sul «mistero di un fiore», o che provvisoriamente si appaga nella vitale apertura di chi è consapevole che «bellezza, gioia, e giovinezza irrompono / rovesciando ogni diga». In questa poetica e preziosa realizzazione di un consapevole e pacato consuntivo, Maria Luisa Spaziani sa bene che «il tempo passa di ora in ora», in una sorta di «pallottoliere cosmico», eppure a noi resta la vantaggiosa sorte dello scavo in profondo e della mirabile testimonianza che, in un’avventura poetica come la sua, trapassa il tempo stesso e ci perviene, ad alimentare e confortare il senso del nostro complesso esistere. Continua a leggere

Semplicemente Emily

Emily Dickinson nel dagherrotipo ripreso fra il 1846 e il 1847. La traduzione delle poesie è di Gabriella Sobrino. Lettura ad alta voce di Luigia Sorrentino. Musica di Johann Sebastian Bach.

 

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Da giovane, nella metà degli anni Ottanta, m’imbattei in una delle tante e mirabili traduzioni delle poesie di Emily Dickinson.  La trasposizione in italiano che maggiormente catturò la mia attenzione, fu quella di Gabriella Sobrino, poetessa, sceneggiatrice e autrice di programmi culturali per la Rai, recentemente scomparsa.
Qualche mese fa, per puro caso, mentre cercavo di mettere in funzione un vecchio mangianastri, ho riesumato alcune registrazioni  su nastro, realizzate in quegli anni, ritrovando, fra le altre cose, la mia lettura di una dozzina di poesie della Dickinson.

Ho riascoltato la lettura, ma non riuscivo proprio a ricordare qual era il libro dal quale i testi erano tratti, né il nome del traduttore o della traduttrice. Alla fine, dopo aver molto cercato, ho scoperto che il libro s’intitolava  DICKINSON Poesie, pubblicato dalla Newton Compton nel 1978 e che la traduzione era di Gabriella Sobrino.

Eppure il libro era lì. Giaceva dimenticato fra gli scaffali della mia libreria. Ma io non lo ricordavo più, né sapevo di aver segnato appunti con la matita accanto alle poesie di Emily.

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Alessandro Anil, “Versante d’esilio”

Alessandro Anil

Ti hanno condotto i tuoi passi in un luogo aperto,
sul bordo di una strada, hai respirato, oltre il vuoto
di una corsa, l’erba, il richiamo, l’antica scorza di un albero…
Hai lasciato che l’ombra entrasse a gocce
fino all’ultimo sangue, la strana gioia dei margini ti ha seguito
lungo una pendenza… hai atteso, la maturazione lenta del frutto
per immolare il cielo al silenzio, tu… che hai amato
la mancanza e la pienezza nella distruzione
fino al tendersi dell’arco nel suo limite preciso, il corpo flesso
nell’estremo controllo, il grande occhio che mira.

 

 

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Yves Bonnefoy, l’avvenire della poesia

Yves Bonnefoy

da Quel che fu senza luce (1987, trad. Einaudi 2001)

Sauf, c’est vrai, que le monde n’a d’images
Que semblables aux fleurs qui trouent la neige
En mars, puis se répandent, toutes parées,
Dans notre rêverie d’un jour de fête,

Et qu’on se penche là, pour emporter
Des brassées de leur joie dans notre vie,
Bientôt les voici mortes, non tant dans l’ombre
De leur coleur fanée que dans nos cœurs.

Ardue est la beauté, presque une énigme,
et toujours à recommencer l’apprentissage
De son vrai sens au flanc du pré en fleurs
Que couvrent par endroits des plaques de neige.

*

Se non che, è vero, il mondo ha solo immagini
simili a fiori che bucano la neve
di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
nel nostro sognare un giorno di festa.

E non appena ci chiniamo là, a raccogliere
bracciate della loro gioia nella nostra vita,
eccoli subito morire, non tanto nell’ombra
del loro colore appassito ma nei nostri cuori.

Ardua è la bellezza, quasi un enigma,
e sempre da ricominciare è l’apprendistato
del suo vero senso sul pendio sul prato in fiore
coperto qui e là da chiazze di neve. Continua a leggere

Nanni Cagnone, “La genitiva terra”

Nanni Cagnone e Sandra Holt, © Eric Toccaceli 2019 -All rights reserved

ANTEPRIMA EDITORIALE

Dopo TORNARE ALTROVE (2015), CAMMINA MARE (2016) e INGENUITAS (2017) PARMENIDE REMASTERED (2019) tutti pubblicati da La Finestra Editrice, è appena uscito di Nanni Cagnone, con lo stesso editore LA GENITIVA TERRA (2019).
Cagnone ci consegna qui fin dal titolo, un’opera di poesia dotata di un’urgenza tutta sua: genitiva, generativa, appunto. Al centro di questo  lavoro la madre Terra, la generante, dalla quale tutto perviene.

ESTRATTI

I

In un giorno
che spiffera colori,
tu destinato oscuro.
Vorresti dire
anzianamente addio,
e pur c’è un seme
rimasto seme—
rivolgiti alle spighe
(quelle d’un tempo,
prima del progresso),
chiedi se maturità
a noi convenga.

Cover design by Sandra Holt

II

Qui—sciupata
anche la parola,
se abbattuto
si toglie all’amicizia
un altro albero—
non ha patria
la candida violenza.

E tu, diversamente
umano, a cosa
potresti appartenere?
Sei spinto nell’intrico,
generato senza materia
da una figlia, le tue parole
non vogliono pensare.

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La poesia di Antonia Pozzi

Antonia Pozzi

DESIDERI BIANCHI DI NEVE

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

La poesia, e dunque la vita, di Antonia Pozzi ruotano attorno alle ombre della parola ‘desiderio’, si nutrono degli slanci legati alla volontà di donarsi e soffrono al contempo un destino di spietati rifiuti e subìte solitudini. Nei suoi versi immaginifici i fotogrammi di assoluta levità parlano spesso di quiete e pace: colori pastello, azioni appena annunciate e mai compiute, distanze che non sanno scatenare passioni irruente. Una sola è la preghiera che si leva – leggerezza. Il cuore pesa come un macigno, e il placido paesaggio che si stende davanti agli occhi non sa stemperare questo stato dell’anima. Eppure resta un confidente immaginare il futuro: una sera che verrà, l’anima ormai libera saprà – senza far rumore, muovendosi appena – farsi beffe della lontananza e intraprendere un cammino ancora inesplorato.

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Vincitori Premio Maconi 2019

Il 20 giugno 2019 presso il Belvedere di Palazzo Lombardia, Piazza Città di Lombardia, Milano alla presenza del Presidente della Regione Attilio Fontana si è svolta la cerimonia di Premiazione della IX edizione del Premio Maconi.

La giuria del Premio “Mauro Maconi”, composta da Maurizio Cucchi, Presidente, Giuliana Nuvoli, Giancarlo Pontiggia, Mario Santagostini, Mary Barbara Tolusso, Valeria Poggi, Segretaria con diritto di voto ha proclamato vincitori:

Sez. A – Premio per un’opera poetica in lingua italiana edita nel periodo intercorrente tra il 1 gennaio 2018 e il 30 aprile 2019.

– Valerio Magrelli, Le cavie. Poesie 1980-2018, Einaudi 2018

Sez. B –Premio Giovani da conferirsi a un autore nato dal 1° gennaio 1979 per un’opera poetica edita nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2018 e il 30 aprile 2019.

Matteo Bianchi, Fortissimo, Minerva 2019 Continua a leggere

Carlo Bordini, “Difesa berlinese”

E’ in distribuzione, dopo essere stato ristampato recentemente, “Difesa berlinese” di Carlo Bordini, che contiene gran parte della sua produzione in prosa: “Memorie di un rivoluzionario timido”, “Gustavo – una malattia mentale”, “Manuale di autodistruzione”, tutti testi introvabili e esauriti, più numerosissime pagine di testi brevi e inediti di carattere saggistico. Il volume, pubblicato da Luca Sossella Editore, è curato da Francesca Santucci e preceduto da un lungo saggio di Guido Mazzoni che restituisce a Bordini il posto che merita nella letteratura italiana contemporanea.

Riportiamo qui una parte dell’introduzione di Memorie di un rivoluzionario timido:

“Questo romanzo totalmente legato all’autobiografia è una sorta di bilancio di circa vent’anni della mia vita. Poiché sono stati anni pieni di traumi, la stesura di questo libro è stata una lotta con me stesso. Per questo ci ho messo un tempo lunghissimo a finirlo. Un bilancio, un esame di coscienza su due temi fondamentali: il rapporto con la politica e i grovigli affettivi che hanno caratterizzato i miei rapporti col mondo femminile. Il tutto preceduto da un’adolescenza vissuta tra depressioni, cambi di facoltà, fughe e sedute dallo psicanalista. Una normale figura di disadattato, quindi, alla ricerca di un equilibrio. Scritto in periodi diversi e con stili diversi, abbandonato e ripreso, questo libro non poteva che assumere una struttura disordinata e barocca, che accettava, come inevitabile, un fluire profondamente disomogeneo.

[…]

Poiché negli ultimi decenni i cambiamenti della vita sono stati uguali a quelli che una volta avvenivano in due secoli, voglio dare qui una serie di piccole spiegazioni, quasi un glossario, o meno di un glossario, per permettere di orientarsi nelle pagine di questo libro a chi si trova in un mondo completamente diverso da quello narrato. Il Parco Lambro era un raduno annuale, a Milano, di ribelli, freak, drogati, rivoluzionari più o meno convinti e giovani in cerca di una qualsiasi
identità. La psicanalisi fu considerata per un periodo un metodo per risolvere i propri problemi psicologici di adattamento alla realtà. Luglio ’60 è stato un episodio, oggi volutamente dimenticato, in cui una grande rivolta, che ebbe inizio tra i portuali di Genova, impedì all’Italia di ritornare, sotto forme diverse, al fascismo. Il PCI era un vecchio partito politico il cui nome completo era Partito Comunista Italiano, dal quale sono stato espulso; la FGCI era la federazione giovanile di quel partito. Trotsky lottò contro la burocratizzazione staliniana dell’Unione Sovietica, fondò la IV Internazionale, che come molte organizzazioni minoritarie si divise in tanti pezzettini, e fu ucciso da un sicario di Stalin. Il Sessantotto fu l’anno delle rivolte studentesche in tutto il mondo; gli anni Settanta sono stati gli anni delle rivolte giovanili; i reichiani erano seguaci di Reich, psicanalista allievo di Freud, che faceva della rivoluzione sessuale il cardine del suo pensiero. I cinque di Burgos erano dei militanti antifranchisti che furono garrottati (ossia strangolati) proprio nel periodo in cui il dittatore della Spagna, Francisco Franco, stava tirando le cuoia. Il mondo, nel periodo narrato, non stava per esplodere, o almeno c’era qualche ragione per sperare che non esplodesse, e c’era qualcuno che credeva che si potesse creare un mondo un poco meno merdoso di quello che c’è adesso. Ho narrato la storia di un uomo che cercava l’amore ed era in sostanza incapace, anche se in apparenza ne era ben capace, di amare qualsiasi persona. Ho cercato di parlare quindi infine il più possibile male di me stesso.”
(Carlo Bordini) Continua a leggere

Incontri poetici a Bologna

Sesta Edizione
Incontri poetici 
a cura di Guido Monti
Organizzazione Fondazione Palazzo Magnani
dal 21 giugno al 12 luglio
ore 21.30, Palazzo da Mosto

PROGRAMMA

MAURIZIO CUCCHI

VENERDI 21 GIUGNO

Maurizio Cucchi (Milano, 1945), poeta tra i più rappresentativi (premio Montale, premio Bagutta), traduttore, in dialogo con Alberto Bertoni, docente di Letteratura nell’Università di Bologna, presenta il suo ultimo libro Sindrome del distacco e tregua (Lo Specchio, Mondadori)

Giancarlo Pontiggia (Seregno, 1952), voce poetica tra le più seguite (premio Montale), fine saggista, traduttore, in dialogo con Gino Ruozzi, docente di Letteratura nell’Università di Bologna e collaboratore al domenicale de Il sole 24 ore, presenta la sua ultima raccolta Il moto delle cose (Lo Specchio, Mondadori)

PAUL MULDOON

GIOVEDÌ 27 GIUGNO

Paul Muldoon (Portadown, Irlanda del nord, 1951), uno dei maggiori poeti in lingua inglese, già editor per la poesia al «The New Yorker», in dialogo con Luca Guerneri (Ferrara, 1967), traduttore di saggistica, narrativa e poesia, presenta il suo libro Poesie (Mondadori). Continua a leggere

Stasera saranno proclamati i vincitori del Premio di Poesia Mauro Maconi

Stasera giovedì 20 giugno alle ore 18.30 a Milano, presso il Belvedere al 39° piano di Palazzo Lombardia si svolgerà la cerimonia di conferimento del Premio intitolato alla memoria di Mauro Maconi, poeta varesino scomparso a soli 43 anni nel 2001.

Il Premio, patrocinato da STAMPA 2009, casa editrice che ha proseguito il progetto editoriale nato nel 1999 da un’idea dello stesso poeta condivisa da Maurizio Cucchi e Marco Andrea Borroni, ha cadenza annuale ed è alla nona edizione.

Obiettivo del premio, a fini esclusivamente filantropici, è quello di sensibilizzare l’interesse verso la letteratura contemporanea, nonché di rendere omaggio alla memoria e al valore artistico del poeta Mauro Maconi, scomparso 17 anni fa.
La Giuria del Premio, presieduta dal poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, è composta da Giuliana Nuvoli, Giancarlo Pontiggia, Mario Santagostini, Mary Barbara Tolusso e Valeria Poggi (segretaria con diritto di voto).

La giuria, riunitasi in data 28 maggio 2019, all’unanimità ha individuato i finalisti di seguito indicati per questa edizione, riguardante opere poetiche in lingua italiana edite tra il 1° gennaio 2018 e il 30 aprile 2019: Continua a leggere

Al Madre, conversazioni con Rushdie

Salman Rushdie

Venerdì 21 giugno, alle ore 19.00, sarà il grande scrittore indiano Salman  Rushdie ad inaugurare il debutto de Le Conversazioni, a Napoli, sul terrazzo del Madre, il museo d’arte contemporanea della Regione Campania, e la nuova partnership con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee. L’autore, intervistato da Antonio Monda, converserà sul “Pregiudizio”, il tema 2019 del festival, e attraverso film, libri, luoghi, personaggi storici e musiche, da lui scelti, si racconterà al pubblico presente. Continua a leggere

Emily Dickinson & Silvia Bre

Dopo Centoquattro poesie e Uno zero piú ampio, Silvia Bre prosegue con questo terzo libro nel suo corpo a corpo con la poesia di Emily Dickinson. Un impegno traduttorio basato sul rispetto del testo e del ritmo originale, a cui la poetessa aderisce cercando di non togliere e di non aggiungere nulla. Ma c’è un’adesione più profonda, di tipo empatico, che permette di riprodurre il più possibile le ambiguità e i molteplici significati delle parole e dei versi del testo inglese. La scelta di questa terza centuria di poesie è stata fatta come sempre dalla traduttrice, nel segno del suo personale scandaglio delle vastità dickinsoniane. Ma i temi della Dickinson ci sono tutti, in primis la natura e la morte, annunciate e intrecciate fin dalla prima poesia Ancora non l’ho detto al mio giardino. Continua a leggere

Sergej Stratanovskij, “fino in fondo”

Sergej Stratanovskij

Niente è più terribile che vivere
La vita intera e al suo margine
Sentire a un tratto – brusca luce –
Il proprio essere mediocre

Quasi che non avessi avuto vita
Né inghiottito il sale del mondo
E non amato né stretto amicizie
Ma solamente perso giorni

Quasi che avessi avuto un’esistenza
A mezzo cuore, a mezza faccia
Non conosciuto guai né gioie
Con tutto il corpo, fino in fondo

Ed ecco: credi agli occhi!
Si erge come sale un muro
Non eri quello, non te stesso
Ed è, la colpa, come sale Continua a leggere

Federica Giordano, da “La luna è un osso secco”

Federica Giordano

Gli oceani intonano distanze sopra il fuoco

e le lontananze asiatiche cambiano la mente.

Gli uomini camminano, si parlano, si annientano:

un animale deforme con milioni di teste

che fa confusione e che sporca e che si fustiga da solo.

Invece nel verso dell’orso polare resta una pietà

dopo che ha macchiato di un sacrificio rosso

la santità del ghiaccio. Continua a leggere

Mimmo Paladino, video intervista di Luigia Sorrentino

Mimmo Paladino intervistato da Luigia Sorrentino, Paduli (BN) 11 maggio 2019

MIMMO PALADINO

«L’Arte è qualcosa che arriva in maniera casuale. E’ qualcosa che arriva da un’altra parte, ma i riferimenti non sono ideali, sono reali, fisici.»

MIMMO PALADINO

«L’opera d’arte sottolinea con delle date la propria epoca. Poi passano i secoli  e la data la si può dimenticare, perché  non potremmo guardare nella contemporaneità le opere di un artista come Caravaggio che le ha realizzate molti secoli prima.»

Mimmo Paladino e Luigia Sorrentino, nello studio dell’artista a Paduli (Bn) l’11 maggio 2019

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Per Mimmo Paladino, nato a Paduli nel 1948 ma vissuto a Napoli,  l’arte è un combattimento: un corpo a corpo con la materia da forgiare, plasmare, modellare. Fin dagli anni ’80  l’artista mette in scena e in dialogo pittura e scultura, introducendo nella superficie del quadro forme e oggetti di recupero della memoria. Le sue sculture rimandano a una statuaria primordiale assorta in una calma straniante, una metafisica ancestrale, sciamanica, arcaica, ricca di riferimenti al mito, all’immaginario archetipico.  Ecco dunque apparire frammenti di figure, mani, teste, elementi di una poetica che fonde spazi e epoche diverse, definendo un alfabeto di segni molto riconoscibili, che però non hanno un significato di senso univoco. Per Paladino l’artista dà vita a una materia informe che preesiste a lui. E’ un demiurgo, un essere dotato di capacità creatrice e generatrice, senza la quale “è impossibile che ogni cosa abbia nascimento”. Il demiurgo per eccellenza per Paladino è Don Chisciotte: “colui che vede cose che altri non vedono”.

IL MONDO DI MIMMO PALADINO
di Luigia Sorrentino
(durata 12’40”)
Paduli, 11 maggio 2019

L’INTERVISTA A MIMMO PALADINO TRASMESSA DA RAINEWS24

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Norman MacCaig: stelle, pianeti, mucche e un caprone

Norman MacCaig

Goat

The goat, with amber dumb-bells in his eyes,
The blasé lecher, inquisitive as sin,
White sarcasm walking, proof against surprise,

The nothing-like-him goat, goat-in-itself,
Idea of goatishness made flesh, pure essence
In idle masquerade on a rocky shelf –

Hangs upside-down from lushest grass to twitch
A shrivelled blade from the cliff’s barren chest,
And holds the grass well lost; the narrowest niche

Is frame for the devil’s face; the steepest thatch
Of barn or byre is pavement to his foot;
The last, loved rose a prisoner to his snatch;

And the man in his man-ness, passing, feels suddenly
Hypocrite found out, hearing behind him that
Vulgar vibrato, thin derisive me-eh.

da “A Common Grace” (1960)

*

Caprone

Il caprone, l’ambrata ottusità nei suoi occhi,
il satiro menefreghista, curioso come il peccato,
bianco sarcasmo su quattro zampe, a prova di stupore,

il non-sembra-affatto un caprone, di-per-sé-caprone,
l’idea di lascivia fatta carne, pura essenza
in maschera indolente rizzata su una roccia –

si appende a testa in giù dove l’erba è più verde per strappare
uno sterpo dalla gola arida del dirupo,
ci tiene a quel quel filo d’erba macilento. La nicchia più stretta

è cornice perfetta per il volto del diavolo, il tetto più ripido
del granaio o della stalla è un marciapiede per i suoi zoccoli,
l’ultima rosa, la più amata, un prigioniero per la sua razzia.

E l’uomo nel maschio passa in secondo piano, improvvisamente
si scopre ipocrita, all’udire dietro a sé quel
vibrato primitivo, sottilmente canzonatorio, beeh-eeh. Continua a leggere

Premio Camaiore “Francesco Belluomini”

COMUNICATO STAMPA

 

XXXI Premio Letterario Camaiore – Francesco Belluomini Prima rosa dei libri e degli autori scelti tra oltre 160 in concorso

È stata designata la prima rosa dei libri e degli autori candidati al prestigioso “XXXI Premio Letterario Camaiore – Francesco Belluomini”, scelti tra oltre 160 partecipanti, rosa dalla quale verranno decisi i titoli delle 5 opere finaliste, del vincitore del Premio Internazionale, del Camaiore Proposta, il Premio speciale e le menzioni speciali, queste ultime due selezionate su indicazione del Presidente.

La Giuria Tecnica, presieduta dal Rosanna Lupi, è formata da Corrado Calabrò, Emilio Coco, Vincenzo Guarracino, Paola Lucarini, Renato Minore e Mario Santagostini e si riunirà sabato 15 giugno alle 11.30 presso l’Hotel Bixio di Lido di Camaiore, per designare i 5 libri finalisti e conferire gli altri riconoscimenti, in vista della serata finale in programma il 14 settembre. Continua a leggere

Patrizia Cavalli, “Con passi giapponesi”

COMMENTO DI ALFONSO BERADINELLI

Credevamo di sapere tutto di Patrizia Cavalli dopo aver letto i suoi libri di versi, ma questo libro di prose è una rivelazione. La genialità visionaria e realistica che qui sorprende non ha precedenti fra gli scrittori del Novecento, se non in grandi maestri come Roberto Longhi, Elsa Morante e Goffredo Parise. Eppure sembra che questo libro di abbagliante virtuosismo letterario sia nato fuori dalla letteratura, per ubbidire a un solo personale imperativo: «Devo capire». Continua a leggere

La poesia minimalista di Charles Simic

Many Zeros

The teacher rises voiceless before a class
Of pale, tight-lipped children.
The blackboard behind him as black as the sky
Light-years from the earth.
It’s the silence the teacher loves,
The taste of the infinite in it.
The stars like teeth marks on children’s pencils.
Listen to it, he says happily.

Molti Zero

Senza voce l’insegnante si alza davanti a una classe
di bambini pallidi, con labbra serrate.
La lavagna alle sue spalle, tanto nera quanto il cielo
distante anni luce dalla terra.
È il silenzio ciò che anela l’insegnante,
il sapore dell’infinito in esso contenuto.
Le stelle come segni di dentini sulle matite.
Ascoltatelo, dice con gioia. Continua a leggere

Giuseppe Conte, da “Poesie 1983-2015”

AUTUNNO

L’Amante
Devoto deve essere l’amante
all’autunno. Non ai venti
torbidi, che fiaccano e fanno bianchi
di meli e di susini i cieli
né alla bonaccia nuda, distesa,
dalle grandi braccia di quiete.
È devoto all’autunno perché rimane
nei raggi obliqui e lunghi di ottobre
negli orti che si spogliano
lenti tra i muri delle case
in ombra, nell’odore
nuovo di pioggia tra i pini e gli allori
qualcosa della fervida spinta cieca,
qualcosa della placata vampa
ma come assottigliato, come fatto
finalmente nitido, in una stanca
matura ricchezza, acini dorati
dimenticati sulla vite, abbaglianti
soltanto l’attimo che incontrano
il sole.
Da ragazzo, ogni sera, mi strangolava
l’ossessa primavera di carezze
cercate.
Poi, inondante, venne l’estate
con lei. Lei incolpevole, mite e
così tenue, così ardente, come
la corolla purpurea del papavero
di california, come un canneto arso d’agosto.
Ora, da molto, molto non conosco
più quelle due stagioni.
Io sono l’inestinguibile.
In me l’amore è passato
per rapide rovinose e per lente
acque alte: ora va sicuro, veloce
come su una piroga verso isole
di tramonto. Ora è devoto
agli dei, devoto a Zeus
che fu per Leda un fulmine
bianco-piumato, un capo
teso sopra un collo troppo
lungo, insensato in quella
vertigine polverulenta. Devoto
ad Atena, ad Artemide che non
è facile scorgere sulle rive
di un fiume o tra le superstiti
cerve di un bosco, e che nessuno
può possedere. Amore in me
è solenne, spietato come una danza
guerriera, o è appena
futile, delicato,
come geranei in una fioriera.
Io e te non esistiamo: non
chiedermelo: e forse
staremo ancora insieme, correremo
come daini alla fonte
risaliremo il torrente
come trote
sapremo nell’energia che ci muove,
nel respiro delle stelle nuove
la nostra essenza.
Amore è questo
riconoscersi in tutto, nella prima
rosa del mondo, nell’ultimo
ranuncolo, nella bassa marea, nel profondo

oceano.

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Stefan George, da “L’anno dell’anima”

Stefan George

 

Wir stehen an der hecken graden wall:
In reihen kommen kinder mit der nonne.
Sie singen lieder von den himmelswonne
In dieser erde sichrem klarem hall.

Die wir uns in der abendneige sonnten
Uns schreckten deine worte und du meinst:
Wir waren glüclick bloss solang wir einst
Nicht diese hecken überschauen konnten.

Siamo al limite netto delle siepi
Bimbi vengono in fila con le suore.
E cantano con gioia celestiale
Nel chiaro certo suono della terra.

E godevamo il sole della sera
Tremavamo al tuo dire se tu pensi:
Fummo felici solo fino a quando
Non vedevamo oltre queste siepi.

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Andrea Zanzotto, “Haiku”

L’estrema acutezza intellettuale, inquieta e curiosa, di Andrea Zanzotto lo condusse a sperimentare le più diverse forme, a percorrere con successo i più vari sentieri, a entrare nel corpo espressivo di lingue e dialetti. Negli anni Ottanta questa sua capacità – o meglio necessità – di aprirsi al molteplice del reale lo portò alla composizione di una serie di frammenti lirici in inglese, una lingua per lui tutt’altro che abituale. Ma quei versi non furono abbandonati alla spontaneità della loro crescita, bensì composti secondo le forme di un genere quanto mai affascinante e insieme, per noi, in parte misterioso, e cioè l’haiku giapponese.

Successivamente Zanzotto decise di autotradursi in italiano, realizzando testi, come testimonia Marzio Breda, «inaspettatamente “cantabili”, rispetto a quella che fino ad allora era la sua cifra letteraria», e trovando nella forma-haiku incanto fonico e limpidezza di pensiero racchiusi in movimenti di nitida essenzialità e di sintesi lirica dall’efficacia memorabile. Il tutto in piena coerenza con la presenza attiva e vigile, tipicamente sua, nel paesaggio, dove «un “Io” rifà come film il suo “Io”», e dove il poeta avvista, restituendoli nella sua inconfondibile pronuncia, «Vulcanelli, papaveri qua e là, / doni per devastate dimenticate colline— / per la nostra dimenticanza, i doni più dolci». Il messaggio che Zanzotto ci trasmette con questa raccolta, pubblicata nel 2012 negli Stati Uniti, ci appare oggi di una sorprendente attualità, per il coraggio e l’estro, per la capacità di andare al cuore delle cose con lo strumento vivo di una parola che si fa immagine e pensiero nella fulminea concisione della più alta poesia.
(Maurizio Cucchi) Continua a leggere