Letterature, “Il domani dei classici”

C O M U N I C A T O     S T A M P A

Torna dal 4 al 28 giugno LETTERATURE – Festival Internazionale di Roma, storica manifestazione della Capitale a cura dell’Istituzione Biblioteche di Roma, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale di Roma e organizzata da Zètema Progetto Cultura.

Al centro dell’edizione 2019 del Festival saranno le otto serate alla Basilica di Massenzio al Foro Romano, ideate e dirette da Maria Ida Gaeta con la regia di Fabrizio Arcuri.

Protagonisti degli appuntamenti saranno gli autori più interessanti della scena letteraria internazionale. Il tema scelto per l’edizione 2019, che farà da filo rosso a tutti gli incontri, è “Il domani dei classici – Quand’è che un testo contemporaneo si dà come classico?” Continua a leggere

La voce dei prediletti

Tutti gli incontri si terranno alle 21 alla Centrale dell’Acqua di Milano, Piazza Diocleziano, 5

A Milano, dal 6 al 27 maggio 2019 alle ore 21, alla Centrale dell’Acqua,  (Piazza Diocleziano, 5) si terrà LA VOCE DEI PREDILETTI, incontri tra i poeti a cura di MILO DE ANGELIS.

Per tutto il mese di maggio, ogni lunedì sera, un importante poeta del nostro tempo parlerà di se stesso e di un altro poeta che è stato essenziale nella sua formazione e nella sua vita. Potremo così assistere a un incontro tra due anime che, lungo i secoli, hanno trovato un’affinità elettiva e una visione del mondo capace di renderle vicine per sempre.

Maurizio Cucchi

Lunedì 6 maggio

MAURIZIO CUCCHI E GUIDO CAVALCANTI Continua a leggere

Qual è la funzione della poesia oggi?

Franco Fortini

FRANCO FORTINI E BERTOLT BRECHT

commento DI FABRIZIO FANTONI

Vi propongo oggi la lettura di due poesie, una di Franco Fortini e l’altra, famosissima, di Bertolt Brecht scritte a vent’anni di distanza l’una dall’altra, in due momenti storici differenti eppure, legate fra di loro, da una potente riflessione sul valore della poesia quale testimonianza.

Scrivere, dice Fortini, è necessario anche se apparentemente sembra inutile: il dibattito nella comunità è ormai sopito; oppressore e oppresso vivono l’uno accanto all’altro; addirittura, scrive, “l’odio è cortese” e non si sa più di chi sia la colpa.

Eppure, compito del poeta è vigilare e testimoniare su quello che accade dentro e fuori gli uomini, per dare loro consapevolezza, per aiutarli a comprendere dove si trovano in quel preciso momento e verso cosa stanno andando.

Fortini, avverte il lettore: “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.” Quindi, il vero mutamento che compie la poesia, sembra dirci, è dentro l’uomo, non fuori di esso.

Invito i lettori del blog a scrivere commenti su qual è la funzione della poesia oggi.

Traducendo Brecht
Franco Fortini

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela guardando.
Ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida niente
gli uomini e le donne
che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli del nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

dalla raccolta Una volta per sempre, Einaudi, 1978

Bertolt Brecht

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Piero Bigongiari, l’amore dentro

Piero Bigongiari

Tempesta

(da Rogo, 1952)

 

Forse è questa l’ora di non vedere
se tutto è chiaro, forse questa è l’ora
ch’è solo di sé paga, ed il tuo incanto
divaga nell’inverno della terra,
nell’inferno dei segni da capire.
Ma non farti vedere dimostrare
ancora le tue formule, è finita
l’orgia dei risultati rispondenti
alle cause. Sei sola, batti i denti
accosto ai vetri nevicati, tetri.
Divergono in un morbido riaccendersi
d’altro sangue i destini che ci unirono.
Tu li ricordi come – in queste tarde
ore che riscoccano dalla pendola –
in un fuoco di tocchi, in un orrendo
scatenarsi, dai tuoi armadi, di bambole.
La nostra vita, catturata, vedi,
mentr’era armata solo di silenzio,
come dai parafulmini ridesti
da un lampo, trova il filo da seguire
per non morire restando se stessa.

 

Pietà

(da Antimateria, 1972)

 

L’amore non fa un passo, ti è d’intorno,
tu intorno a lui, l’amore non fa un passo,
ti è dentro, ma tu sei dentro di lui
e tocchi la rugosa realtà
con mano liscia, alterna, imprevedibile.

Hai l’occhio che s’accentua del guardato
universo, ma l’universo è un occhio
che mi guarda, mi guarda e mi destina:
si fonde, vedi, questa altra mattina
in un punto perché quello io non sia,

ma tutto sia quel punto, tutto sia.
Amica delle mie notti, mia amica
e nemica, distingui, scegli il passo,
avanza del tuo occhio a mezzo, intenso
in questo intero ch’è solo metà. Continua a leggere

Non sprecare il tuo amore

Adrienne Rich

For the dead

I dreamed I called you on the telephone
to say: Be kinder to yourself
but you were sick and would not answer

The waste of my love goes on this way
trying to save you from yourself

I have always wondered about the left-over
energy, the way water goes rushing down a hill
long after the rains have stopped

or the fire you want to go to bed from
but cannot leave, burning-down but not burnt-down
the red coals more extreme, more curious
in their flashing and dying
than you wish they were
sitting long after midnight

Per i morti

Ho sognato di chiamarti al telefono
per dirti: Sii più dolce con te stesso
ma eri malato, non mi hai risposto

Lo spreco del mio amore va per la sua strada
cercando di salvarti da te stesso

Ho sempre pensato ai residui
di energia, a come l’acqua scorra giù da un colle
dopo l’arrestarsi delle piogge

o del fuoco da cui vorresti prendere commiato,
vorresti andare a letto
eppure non puoi lasciarlo,
è sempre lì, pronto a spegnersi ma non si spegne mai
i carboni sempre più vividi, sempre più strani
prima sfolgorano poi s’acquetano
più di quanto tu voglia restare
seduto lì a mezzanotte inoltrata.

Traduzione di Giovanni Ibello Continua a leggere

La poesia che “distrurba” il lettore

SPROVVISTO DI TITOLO

di Davide Cortese

 

[Senza titolo] è l’ultimo volume della collana «Poesia di ricerca», a cura di Alberto Pellegatta, per i tipi di Edb. Il libro, davvero sprovvisto di una titolazione, introdotto da Stelvio Di Spigno, prosegue la scelta editoriale di affiancare un poeta straniero a uno italiano: Manuel de Freitas, portoghese, autore di numerose raccolte poetiche e svariate pubblicazioni di saggi, antologie, pamphlet, e Federica Gullotta, alla seconda prova in volume dopo La bestia viziata (LietoColle, 2016). Gli autori sono accompagnati da tre opere inedite di Davide Mansueto Raggio (1926-2002), esponente dell’art brut: tre cartoni sagomati da scatole da imballaggio riportano figure umane o animali, a pennarello o con il «sasso matto» (argilla rossa). Di particolare interesse è il “cavallino”, posto a mo’ di spartiacque fra i due poeti, quasi a registrare che, alle volte, la follia riesce a esprimersi in modalità più “serene” di quanto non riesca una mente arrovellata in questioni estetiche o personali. Continua a leggere

Amore e Tradimento

Kate Clanchy

Kate Clancky

Men

I like the simple sort, the soft white-collared ones,
smelling of wash that someone else has done,
of apples, hard new wood. I like the thin-skinned,
outdoor, crinkled kind, the athletes, big-limbed,
who stoop to hear, the moneyed men, the unironic
leisured sort who balk at jokes and have to blink,
the men with houses, kids in cars, who own
the earth and love it, know themselves at home
here, and so don’t know they’re born, or why
born is hard, but snatch life smack from the sky,
a cricket ball caught clean that fills the hand.
I put them all at sea. They peer at my dark land
as if through sun on dazzling waves, and laugh.

Franco Buffoni

Franco Buffoni

Uomini

Odorano di bucato quelli che mi piacciono
– Ma di bucati fatti da altre –
Sanno di mela e legno nuovo duro,
Portano il colletto floscio, slacciato.
E’ il genere sportivo d’ossa solide il mio,
Atleti d’aria aperta e pelle fresca
Che protendono il tronco per sentirci meglio,
Un po’ arruffati, con scarso sense of humour,
Non colgono i giochi di parole
Ma hanno i soldi le case le automobili
Coi bambini dentro,
E posseggono e amano la terra.
Lì si sentono a casa e a loro agio
Non sanno d’essere stati partoriti
Né come sia difficile far nascere
Perché colgono la vita
Come venuta giù dritta dal cielo,
Una palla da cricket presa bene
Che ti riempie la mano.
Li manderei tutti per mare, là dove
Tra onde abbaglianti di luce intravedono
La mia striscia di terra nera e ridono. Continua a leggere

Il mondo di Wisława Szymborska

Wisława Szymborska

Un incontro inatteso

Siamo molto cortesi l’uno con l’altro,
diciamo che è bello incontrarsi dopo anni.

Le nostre tigri bevono latte.
I nostri sparvieri vanno a piedi.
I nostri squali affogano nell’acqua.
I nostri lupi sbadigliano a gabbia aperta.

Le nostre vipere si sono scrollate di dosso i lampi,
le scimmie gli slanci, i pavoni le penne.
I pipistrelli già da tanto sono volati via dai nostri capelli.

Ci fermiamo a metà strada della frase,
senza scampo sorridenti.
La nostra gente
non sa parlarsi.

La pozzanghera
Ricordo bene quella paura infantile.
Scansavo le pozzanghere,
specie quelle recenti, dopo la pioggia.
Dopotutto qualcuna poteva non avere fondo,
benché sembrasse come le altre.

Farò un passo e d’improvviso sprofonderò tutta,
comincerò a volare verso il basso
e ancora più giù verso il basso,
verso le nuvole riflesse
e forse anche oltre.

Poi la pozzanghera si asciugherà,
si chiuderà su di me,
ed eccomi rinchiusa per sempre – dove –
con un grido non arrivato in superficie.

Solo in seguito ho capito:
non tutte le brutte avventure
rientrano nelle regole del mondo
e se anche lo volessero,
non possono accadere.

(Traduzione a cura di L. Rescio)

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L’innocenza di Caravaggio

LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO

 

commento di luigia sorrentino

 

Voi, cari lettori, siete interessati all’Opera di un artista che più di ogni altro al mondo ha influenzato la cultura visiva europea, da Rembrant a Velasquez, fino a Vermeer?

Qualcuno forse vi dirà che Caravaggio era nato a Milano nel 1571 […] e fin qui niente da ridire… A un certo punto, parlando della sua vita, aggiungerà che “tra l’ottobre del 1606 e il giugno del 1607 l’artista si rifugiò a Napoli in fuga da Roma dove era ricercato per omicidio“, e voi vi spaventerete pensando che Caravaggio sia stato un bieco assassino, una specie di anima nera. Ma non è così, le cose non stanno esattamente così.  Leggendo qui, su news-art.it ad esempio – ma saprete dove meglio documentarvi –  vi è un altro punto di vista sulla vicenda. Forse dopo aver letto l’articolo subentrerà in voi una progressiva umanizzazione dell’artista Michelangelo da Merisi, detto Caravaggio e si aprirà davanti ai vostri occhi, il dramma umano del genio dotato di un’innocenza che si è manifestata senza alcun timore.

Prima di definire Caravaggio un assassino, è tempo – è tempo – di riflettere su come lui sentiva e vedeva il mondo, perché il cambio di percezione della realtà che ci ha indicato, è la sola vera eredità che ci ha lasciato. Continua a leggere

Poesie dal margine

Vittorio Bodini

VITTORIO BODINI, LA LUNA DEI BORBONI

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Nel biancore della porosa pietra pugliese sono scalfiti i versi di Vittorio Bodini – si fanno ambasciatori delle atmosfere del sud, dei riti della controra, del sole impietoso che fa ardere il barocco leccese e inaridire le zolle. Eppure questo canto che viene dal margine rifiuta il limite e cerca rimandi in altri meridioni, finché una eco madrilena risponde e due voci ancestrali rivelano le analogie di un comune sentire. La lingua bodiniana, poeticamente e poieticamente intrisa di nostalgia, risente della preziosa esperienza della traduzione, straordinario veicolo di incontri e visioni; anche così il sangue antico continua a scorrere, fedele a se stesso e alle sue molte anime.

Viviamo in un incantesimo,
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi
– qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme la vita
le cose che crediamo di meritare.

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Seamus Heaney, “Traversare l’inverno”

Seamus Heaney © Tutti i diritti riservati / photo by Luigia Sorrentino, Roma, Casa delle Letterature, 7 maggio 2013

ANTEPRIMA EDITORIALE

Dopo Janet Frame è il turno di Seamus Heaney, poeta irlandese, premio Nobel per la letteratura nel 1995. Curato e tradotto da Marco Sonzogni, in Traversare l’inverno Heaney ci consegna un’opera perfettamente riassunta dalla motivazione del Premio Nobel assegnatogli nel 1995: “un lavoro di lirica bellezza ed etica profondità che esalta i miracoli quotidiani quanto il vivente passato”.

SERENADES

The Irish nightingale
is a sedge-warbler,
a little bird with a big voice
kicking up a racket all night.

Not what you’d expect
from the musical nation.
I haven’t even heard one —
nor an owl, for that matter.

My serenades have been
the broken voice of a crow
in a draught or a dream,
the wheeze of bats

or the ack-ack
of the tramp corncrake
lost in a no man’s land
between combines and chemicals.

So fill the bottles, love,
leave them inside their cots.
And if they do wake us, well,
so would the sedge-warbler.

SERENATE

L’usignolo irlandese
è il forapaglie,
un uccellino dalla voce forte
che fa un gran chiasso tutta la notte.

Non ciò che ti aspetteresti
dalla nazione musicale.
Non l’ho neanche mai sentito —
e un gufo nemmeno, se è per quello.

Le mie serenate sono state
la voce spezzata di un corvo
in un vento leggero o in un sogno,
il sibilo dei pipistrelli

o la mitragliata
del re di quaglie vagabondo
perso in una terra di nessuno
fra trebbiatrici e sostanze chimiche.

Perciò riempi i biberon, amore,
lasciali dentro le loro culle,
e se ci svegliano, be’,
farebbe altrettanto il forasiepi. Continua a leggere

Antoine Emaz, con pochissime parole

Antoine Emaz

Dall’introduzione di Fabio Pusterla

I frammenti poetici di Emaz sono in lento movimento, proliferano l’uno dall’altro, fissandosi sulla pagina. Una costante auscultazione di profondità li suscita, li anima, li dirige: la parola, l’immagine si fissano in un primo frammento, e subito l’interrogazione di quella prima manifestazione poetica induce a continuare, trasformando e precisando: perché la parola era insufficiente, inesatta; oppure perché la parola schiudeva nuove zone del linguaggio e nuove risonanze interiori; e soprattutto perché il senso, la verità, rifiuta di lasciarsi compiutamente afferrare, e chiama al viaggio, all’indagine, all’esplorazione. Come il lichene, “il più multiforme dei vegetali” (Sbarbaro), anche le parole della poesia prolificano e si dirigono dunque verso un orizzonte, lungo un cammino appartato e intenso, che non nasconde il debito contratto con alcuni grandi maestri del Novecento (si potranno nominare Reverdy, René Char, Francis Ponge, Eugène Guillevic, André du Bouchet, Philippe Jaccottet, e altri ancora), ma sa trasformarlo in voce originale e ormai inconfondibile, facendo di Antoine Emaz uno dei rappresentanti più significativi e particolari della poesia contemporanea.

on pourrait peut-être sortir
on n’est plus très sûr de pouvoir
encore

si blanc le blanc
et le rouge si rouge

si potrebbe forse uscire
non si è più molto sicuri di potere
ancora

così bianco il bianco
e il rosso così rosso Continua a leggere

Adonis, Da “Prendimi, Caos, nelle tue braccia”

Adonis

Adonis

“La guerra è all’esterno ma si svolge dentro le mie viscere”
dice la poesia.
E tu lettore, non nasconderti dietro la lingua. Nasconditi
dentro di lei e non temere. La paura offende la tua identità.
È meglio per il poeta in un mondo come questo invadere
le sue fortezze e attaccare i suoi sogni.
È come se sentissi un uomo gridare: no, non ho bisogno
di essere uomo.

Amiamo i riflessi dell’ombra, ci vediamo ciò che traduce
i nostri fini:
la vita è vana, la lingua è casa della saggezza.
Ma
nessuno padroneggia questa lingua.

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La via del domani

Mariella Mehr credits pf. Dino Ignani

La patria redenta di Mariella Mehr

Di Andrea Galgano

La poesia di Mariella Mehr (1) (1947) è un annidamento splendente di scogli e ferite, paesaggi che gridano, come la sua storia di sopraffazione e annullamento e che trovano nella parola che si scrive non una liberazione dal dolore, ma un’apertura alla profondità e nella profondità:

Ancora ti prospera il fogliame intorno al cuore
e una fresca presa di
sale
impregna il tuo sguardo.
Di me nessuno vuol sapere,
di chi io

sia la spezia
e di quale amore la durata.
Spesso canta il lupo nel mio
sangue
e allora l’anima mia si apre
in una lingua straniera.
Luce, dico allora, luce di lupo,
dico, e che non venga nessuno a tagliarmi i
capelli.
Mi annido in briciole straniere / e sono a me parola sufficiente.

Effimero, mi dico,
perché presto cesserà ogni annidare,
e scorre

via il resto di ogni ora.

Nata a Zurigo da madre zingara di etnia Jenisch, diffusa prevalentemente tra Svizzera e Svezia, fu vittima assieme ad altri seicento ragazzini rom, di un programma eugenetico (una violentissima pulizia etnica vera e propria) chiamato Enfants de la grand-route «Opera di soccorso per i bambini di strada» (in tedesco Kinder der Landstrasse) promosso dal governo svizzero e attivo tra il 1926 e il 1972, con cui si proponeva un processo di sedentarizzazione verso i figli appartenenti a famiglie di etnia nomade, sottraendo i bambini ai loro genitori e affidandoli a famiglie svizzere, orfanotrofi o ospedali psichiatrici.

Mariella Mehr fu portata via a due anni, nel 1949 e chiusa in un istituto per ritardati mentali. Segregata in un mutismo volontario, come la bambina del suo romanzo, «La bambina si rifiuta di parlare, si chiude nel silenzio», dirà a Maurizio Cecchetti su “Avvenire”, in un’intervista del 9 settembre 2006,

Ed è anche una difesa contro le violenze che la società le riversa addosso. Questa bambina in realtà è il riflesso della stessa società in cui anche noi viviamo: soltanto nel nostro mondo la vita di una bambina come questa è possibile. Solo una società individualista come la nostra, dove ciascuno bada a se stesso, può esistere una bambina che ormai è una sorta di essere autistico, uno specchio da cui la bambina stessa non riesce ad uscire se non uccidendo. Così possiamo dire che nella nostra società ogni vittima, se vuole liberarsi, è costretta a diventare anche carnefice. Ma il suo futuro, certo, non è roseo. Il comportamento degli adulti, la loro violenza, genera in lei altra violenza. (2)

Venne affidata a sedici case famiglia e tre diversi istituzioni educative, subendo diversi elettroschock. Quando ebbe diciannove anni le tolsero il figlio, come racconta a Paolo Di Stefano sul “Corriere”: Continua a leggere

Alida Airaghi, da “L’attesa”

Alida Airaghi

Io, in attesa
e ferma, come una cosa
qualunque, trascurata, inessenziale
(non mi avesse vista,
un mattino; oppure subito
– così! – cancellata).
Ad aspettare
un nuovo sguardo,
nuovo davvero, non educato;
o la mano che osa alzarsi
sulla mia. Poi resta
sospesa, senza appoggiarsi,
turbata. Continua a leggere

Napoli nel segno di Caravaggio

Caravaggio Napoli, è il titolo della mostra curata da Maria Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger al Museo di Capodimonte.

Promossa dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dal Pio Monte della Misericordia, con la produzione e organizzazione della casa editrice Electa, la mostra Caravaggio Napoli, visitabile fino al prossimo 14 luglio 2019, approfondisce il periodo napoletano di Caravaggio e l’eredità lasciata nella città partenopea. Continua a leggere

Lo spirito tragico di Michelstaedter

Carlo Michelstaedter

Aprile

Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri che al novello amore
han fatto schermo della terra antica
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta
– se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.
Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia per che, pur fiduciosi.
Ché pur in me natura si nasconde
insidiosa e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
e mi toglie da me sì ch’io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo
lontano e solo, anco s’a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna. Continua a leggere

La miseria del Sud

Rocco Scotellaro

LE SCENE MINIME DI SCOTELLARO

commento di Federica Giordano

In un interessante saggio sulla poesia di Rocco Scotellaro, Franco Fortini arriva a porre a sé stesso e ai lettori degli interrogativi cruciali: “la comprensione dei motivi storici della nostra azione politica è o non è essenziale per valutare ed intendere la poesia di Scotellaro? E inversamente, la poesia dei nostri tempi e quella di Rocco ci può dire qualcosa sulla direzione della nostra azione politica e della politica in genere?”. Indirettamente, la poesia di Scotellaro, con le sue scene minime, la sua delicatezza descrittiva e il fiato disincantato delle piazze spopolate di un paese che si “desertifica”, rende indispensabile una considerazione: tanto più una poesia è autentica e onesta, tanto più essa avrà il potere di plasmare profondamente la nostra vita pratica, i nostri valori e quindi, la nostra politica. L’amore e l’interesse per gli uomini e per la loro vita non può che sfociare, nella sua più alta declinazione, in una sfera della politicità.

Una dichiarazione di amore a una straniera

Non ti ho saputo dire una parola.
Senti le nostre donne
il silenzio che fanno.
Portano la toppa
dei capelli neri sulla nuca.
Hanno tutto apparecchiato
le mani sul grembo
per l’uomo che torna dalla giornata.
Silvia vuoi coricarti con me?
Tanto buio s’è fatto tra noi,
vedi, che fingono le nozze
anche i fanciulli raccolti negli spiazzi.
Vuoi sollevare per favore il sacco,
accendere il cerogeno
minuscolo sul lare,
vuoi quieta lasciarti prendere, amare?
Le nostre donne allora sono in vena
i giorni d’altalena in mezzo ai boschi. Continua a leggere

Bellintani, il poeta che scelse di rimanere nell’ombra

Umberto Bellintani nel 1940

Per un bambino che non conosce più i passeri

Urlavan lungi dei cani (o eran gufi?).
Urlavan lungi dei cani e c’eran gufi;
e come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri del cimitero
quando il ragazzino si trovò
solo solo nella notte.

E allora egli aveva un urlo strozzato nella gola,
ché un fruscio d’erbe lo soffocava come un serpente
e la luna veramente era cupa tra le fronde degli alberi.
Come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri e i fianchi degli argini,

e fu allora che il bambino perse l’uso della parola,
e perse la vista comune delle viole e dei giocattoli
e il senso naturale delle cose.

Così ora tentenna il capo e nei suoi occhi è una nuvola,
ma pare un angelo divino contemplante
profonde luci assorte in se stesso.

Povera madre che lo sorvegli lungo i sentieri del tuo orto
e ora lacrimi al suo riso ebete sugli asparagi,
io non so dirti s’è sfortuna a lui toccata
o s’è migliore la sua sorte, più benigna
che al fanciullo intento a suddividere
in bianchi e neri i dadi del suo gioco. Continua a leggere

L’inflessibilità della lingua

Marianne Moore

MARIANNE MOORE, GLI ACULEI DELLA POESIA

 

Commento di Bianca Sorrentino

 

Visionaria e affilata, audace nella difesa strenua del metafisico, Marianne Moore dà voce all’esperienza universale ammantandola di mondi altri. Imperdonabile per la sua tensione verso la perfezione, la sua poesia è “meticolosa, speciosa, inflessibile”, nelle parole di Cristina Campo: nei bestiari che con accuratezza e fantasia allestisce, la scrittrice americana accorda un dialogo tra visibile e invisibile, senza mai cedere al ricatto della facilità. Fiero e inaccessibile, il suo “cantare vigoroso” si guadagna tra le miserie dei mortali uno spazio nobile di eternità.

 

POSSO, POTREI, DEVO

Se mi direte perché la palude
appare insuperabile,
allora vi dirò perché io credo
di poterla passare se ci provo.

 

I MAY, I MIGHT, I MUST

If you will tell me why the fen
appears impassable, I then
will tell you why I think that I
can get across it if I try. Continua a leggere

Marina Cvetaeva, “Sette Poemi” nella traduzione di Paola Ferretti

Marina Cvetaeva

LA LINGUA FEBBRILE DI MARINA CVETAEVA

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

I Sette Poemi scritti da Marina Cvetaeva fra il 1924 e il 1926 tentano di tracciare una Storia, quella di Marina, durante la prima fase dell’emigrazione. I poemi scelti, Sette su Ventuno, disegnano il mondo interiore della poetessa con una lingua febbrile, eretta, tramata da premonizioni.

OGNI PAROLA DETTA COME SE FOSSE L’ULTIMA 

Marina Cvetaeva ha descritto la poesia lirica come una linea tratteggiata, fatta di lacune bianche che mozzano il fiato, in cui manca l’aria e si mima la morte. 

Ecco che qui, l’inconfondibile voce di Marina si espande nella linea tratteggiata che va  nella direzione dell’assoluto, un assoluto costretto, fra estasi e indignazione, come respiro sincopato “coacervo di ferite“.

Continua a leggere

Fabio Pusterla, lo sguardo del bambino

Fabio Pusterla

da PIETRA SANGUE (Marcos y Marcos, 1999)

A Nina che ha paura

Gli scricchiolii notturni e quel silenzio
irreale: foglie, voci lontane, uno sciacquío
forse di grossi pesci nel lago. Anche la luna
che passa ha la sua voce
lunare, di capra gialla. Ed è il tuo turno,
stavolta, di vegliare
su me, sul mio respiro
che ogni poco svanisce nel buio.
Ma non pensarci, se puoi,
non preoccupartene;
so troppo bene cos’è svegliarsi di notte,
tendere invano l’orecchio, maledire
il nulla che ti attornia,
un muro inerte. Continua a leggere

Addio a Alberto Toni

addio a Alberto Toni

Alberto Toni / Credits photo Dino Ignani

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

 

Si è spento a Roma dopo una breve malattia, il poeta e amico, Alberto Toni.

Domenica scorsa alle 14.58 sul suo profilo facebook era comparsa questa scritta: “Cari amici, credo che dovrò per un po’ sospendere i miei impegni letterari. Mi trovo infatti, per un problema serio, ricoverato al Policlinico Umberto I. In attesa di tempi migliori un saluto caro a tutti, scusate se non potrò rispondervi.”

C’eravamo visti e salutati con un bacio, l’ultima volta a Roma, il primo marzo, alla Casa delle Letterature, in occasione della presentazione del libro di Maurizio Cucchi, “Sindrome del distacco e tregua” (Mondadori, 2019). In quella occasione Alberto mi aveva portato il suo ultimo libro di poesie “Non c’è corpo perfetto” (Algra Editore, dicembre 2018). Avevo letto il libro tutto d’un fiato colpita dal cambio di registro della sua poetica, millimetricamente scandita da una pronuncia aspra, ampia, transitoria. Ero entrata nei frammenti di un corpo poetico senza più alcuna protezione.

da Non c’è corpo perfetto
di Alberto Toni

[…]

Una furia,
la fretta di andar via,
casa mia, casa mia,
mettere radici,
cercare le radici, la carta mancante, la calligrafia dello stupore
e la vaghezza, il respiro fino all’ultimo, la pietà è discesa,
non rendo, non colgo, soltanto mi approssimo per tentativi.

Ora il nostro compito è ricordare Alberto Toni, rileggendo la sua poesia con umanissima pietas. E pensare che lui ci parlava di “corpi da proteggere”, quelli che Alberto vedeva alla stazione, “denti su denti/crani su crani”. Continua a leggere

Parmenide, nella lettura di Cagnone

 copertina del libro

ANTEPRIMA EDITORIALE – Parmenide e la modernità –

Dopo TORNARE ALTROVE (2015), CAMMINA MARE (2016) e INGENUITAS (2017) tutti pubblicati da La Finestra editrice, Nanni Cagnone esce con lo stesso editore con PARMENIDE REMASTERED (2019).
Il libro, che vi mostriamo in anteprima, è  di difficile classificazione, come spiega lo stesso autore in una breve nota qui sotto. Pensato e ripensato alla maniera di Cagnone. Continua a leggere

Contatti poetici

Eugenio Montale

 

 

MONTALE E KAVAFIS

Commento di Fabrizio Fantoni

 

 “A una prima occhiata Kavafis sembra autore di poemi conviviali come ne scrissero Pascoli e Rilke: poemetti d’intonazione neoclassica, e sia pure con sentimento moderno. Ma le somiglianze si fermano all’esteriorità perché Kavafis è un vero alessandrino nello spirito e nella carne, del tutto alieno da quei ripensamenti umanistici che sono sempre alle radici di ogni classicismo autentico”.
 
In queste parole, tratte da un articolo di Eugenio Montale apparso sul Corriere della sera nel 1955 è possibile rintracciare le ragioni che spinsero il grande poeta italiano – premio Nobel nel 1975 – ad interessarsi, in modo sempre più crescente, dell’opera di  Kavafis.
 
Costantino Kavafis è, per Montale, un autore in grado di coniugare il passato con il presente, un vero “alessandrino” capace di rinnovare la letteratura greca sottraendola a “quei ripensamenti umanistici che sono sempre alle radici di ogni classicismo autentico”.

In questa  prospettiva la poesia di Kavafis si fa specchio del modo con cui Montale guarda alla Grecia contemporanea, considerandola non tanto come patria di un’antica e perduta cultura ma come una civiltà in continua evoluzione che ricopre un ruolo essenziale nello sviluppo culturale europeo.

Costantino Kavafis

In un famoso testo dedicato alla Grecia dal titolo “Sulla via sacra”, contenuto nella raccolta di racconti di viaggio  “Fuori di casa” edita nel 1969, Montale afferma: ” è un errore venire qui con l’animo di chi entra in un museo. Bisognerebbe diradare la cortina affascinante, e talvolta paurosa, delle immagini che si vedono, delle forme che si toccano, per entrare nel vivo di questa Grecia d’oggi, per conoscere gli uomini, per apprendere com’essi vivano, che cosa possano ancora darci e che cosa possiamo apprendere da loro. Per conoscere, insomma, se c’è una Grecia viva accanto alla terra dei morti che si può studiare e amare stando chiusi in una biblioteca”.  Continua a leggere

Da “Proclama sul fascino”

Dario Bellezza / Credits photo Dino Ignani

Dario Bellezza, due poesie da Proclama sul fascino (Mondadori, 1996)*

Ti aspetto col buio, nel buio.
E se la tregua convince le bellezze
davanti a me – nel letto sfatto
saranno – o come presente
il cuore vandalo verso la fine
trova la tregua al nascere
e al morire – sintassi estrema
prima di morire, morire.
Unica parola vietata, sincope,
deragliata, la fine, di tutto… Continua a leggere

Rilke, la trasformazione del mondo

Rainer Maria Rilke

TRA REALTA’ E INVISIBILE

COMMENTO DI FEDERICA GIORDANO

Soltanto tu ti levi, come la luna”. In questa lirica del 1914, Rilke assegna a Friedrich Hölderlin, per consanguineità, il compito di rappresentare il Poeta, colui che, lontano dai “miseri accordi” e dai “comodi versi indulgenti”, si fa anello di congiunzione tra la realtà e l’invisibile. “Siamo le api dell’invisibile. Raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile”. Il compito dell’umano è quello di operare questa Verwandlung (una trasformazione) del mondo caduco in modo che esso faccia risorgere in noi l’invisibile.

La traduzione è una terra infida e “tremblante”, sempre provvisoria dal momento che le lingue sono reciprocamente inafferrabili. Eppure, facendo proprie le parole di Walter Benjamin, il traduttore ha la responsabilità di creare almeno una eco dell’originale nella lingua di arrivo. Per fare questo, Ulderico Pomarici ha cercato una fedeltà al testo programmatica, che conservasse anche le ambiguità interpretative per dare funzione attiva al lettore e per regalare un testo quanto più possibile vicino al suo originale.
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Teresa Maresca, “Song of Myself”

Ventotto giovani si bagnano lungo la spiaggia,
ventotto uomini giovani e tutti così amici
ventotto anni di vita femminile e tutta così sola

(Song of Myself, 11, Walt Whitman)

 

Dal 3 aprile sino al 5 maggio 2019, l’elegante edificio liberty di inizio Novecento che ospita
l’Acquario Civico di Milano accoglierà tra le sue pareti e le sue vasche la mostra TERESA
MARESCA, Song of Myself, promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura e
dall’Acquario – Civica Stazione Idrobiologica di Milano.

L’esposizione, a cura di Raffaella Resch, è parte del programma Milano Art Week 2019 (1-7 aprile), palinsesto del Comune di Milano dedicato all’arte moderna e contemporanea.

TERESA MARESCA, con Song of Myself pone al centro dell’indagine il rapporto tra uomo e Natura, traendo il suo titolo dalla raccolta poetica del poeta americano Walt Whitman (1819-1892), di cui proprio nel 2019 si celebrano i 200 anni dalla nascita.

L’omaggio a Whitman è duplice, in quanto oltre al poemetto undicesimo di Song of Myself, in cui ventotto uomini si bagnano di notte nel fiume, Teresa Maresca si ispira anche al “Canto della Sequoia”, la Red Oak Tree che nel testo di Whitman prende la parola in prima
persona, come simbolo della sterminata e incontaminata natura americana.

Artista dedita alla pittura, al disegno e all’incisione, mossa da un motivo ispiratore non di rado mutuato dalla poesia e dalla filosofia, Maresca elabora composizioni di grande impatto richiamando gestualità e cromatismi dei Neue Wilden, il movimento neoespressionista berlinese dei Nuovi Selvaggi, ma anche il Realismo Magico di Peter Doig, tendenze che si contraddistinguono entrambe per una costante riflessione sul ruolo dell’uomo nell’ambiente. Continua a leggere

La furia analogica di Dylan Thomas

Dylan Thomas

DYLAN THOMAS LO SCIAMANO

Commento e traduzione di Alessandro Bellasio

Poeta degli elementi e delle linfe segrete della natura, voce accorata del contatto magico e primordiale con il mondo, Dylan Thomas (Swansea, 1914 – New York, 1953) è autore di un corpus poetico in cui la dirompente furia analogica è disciplinata da un bagaglio retorico accuratamente scelto e limitato, fedele alle figure amate (antitesi semantiche, sinestesie, assonanze, allitterazioni), e capace di dare vita a potenti architetture visive, culminanti in improvvise accensioni visionarie.

Vere avventure percettive, le liriche di Thomas si condensano preferibilmente intorno a pochi nuclei psichici ricorrenti, descrivendo un moto centrifugo, rotatorio, privo di sviluppo e, piuttosto, immortalato nell’attimo estatico di contemplazione della propria sorgente interiore.

Con il suo ritmo ipnotico, con la sua voce antica e sciamanica, il grande poeta gallese, prima di affondare per sempre negli abissi dell’alcol, ci ha consegnato una folgorante testimonianza di cosa sia la poesia ispirata, e di quale forza arcaica e rovinosa sia portavoce il poeta “entheos”, il poeta “posseduto dal dio”, per cui tramite ci giunge la voce perduta e panica di un’inattingibile origine.
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L’assenza della madre nella poesia di Roberto Carifi


ESPERIENZA DELLA MADRE

commento di Luigia Sorrentino

 

Nelle poesie qui presentate Roberto Carifi mette in piedi un’esperienza estrema, senza via di fuga. Nella luce la memoria incontra l’abbandono nella notte. La madre che qui abbandona non è solo “colei che ci mise al mondo”, ma una figura più complessa, archetipica. E’ una donna che incarna la condizione  luminosa e, al tempo stesso, notturna. Pretende il legame anche nella separazione, nel giorno che si decompone.

 

DA IL GELO E LA LUCE, (2003)

Parlavo d’amore alla morte,
indossavo la notte,
un ciuffo di capelli intirizzito,
tenevo nel palmo della mano
l’occhio materno,
gelò in piena estate vestito di pietra
lo volle la notte,
la morte abitò come un’alba il suo giorno,
facevo battere un cuore
con le poche parole rimaste
e al nulla parlavo d’amore. Continua a leggere

Le figure del mito in Ghiannis Ritsos

Ghiannis Ritsos

GHIANNIS RITSOS, QUARTA DIMENSIONE

commento di Bianca Sorrentino

Il fascino struggente della rovina, il passato che si sgretola e solo nel ricordo conserva il suo splendore, due donne che imbiancano, ma la cui nobiltà non avvizzisce. La Signora in Nero ed Elena, arcane figure del mito, rivivono in una Grecia muta e arrugginita; come fantasmi di una libertà lontana, le creature di Ritsos non rinunciano alle parole e travolgono con il loro dire l’interlocutore silenzioso, riscattando così quel gravoso tacere che la dittatura impone al poeta.

 

Estratto da LA SONATA AL CHIARO DI LUNA

Lasciami venire con te. Che luna stasera!
La luna è buona – non si vedrà
che si sono imbiancati i miei capelli. La luna
me li farà di nuovo biondi. Non te ne accorgerai.
Lasciami venire con te.

Con la luna ingrandiscono le ombre nella casa,
mani invisibili tirano le tende,
un dito pallido scrive sulla polvere del piano
parole dimenticate – non le voglio sentire. Taci.

Lasciami venire con te
poco piú avanti, fino al recinto del mattonificio,
fin dove la strada svolta e appare
la città d’aria e di cemento, calcinata dal chiaro di luna,
cosí indifferente e immateriale,
cosí positiva, quasi metafisica,
che puoi finalmente credere che esisti e non esisti
che non sei mai esistito, non è esistito il tempo con la sua rovina.
Lasciami venire con te.

Ci sederemo un poco sul muretto, sull’altura,
e rinfrescandoci al vento di primavera
forse immagineremo pure di volare,
perché spesso, e perfino ora, sento il fruscío della mia veste
che pare il battito di due ali forti,
e quando ti chiudi in questo rumore del volo
senti irrigidirsi il collo, i fianchi, la tua carne,
e cosí stretto nei muscoli del vento azzurro,
nei nervi robusti dell’altezza,
non ha importanza che tu parta o torni
né conta che i miei capelli siano bianchi,
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).
Lasciami venire con te.

Lo so, ciascuno cammina da solo verso l’amore,
solo verso la gloria e la morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova a niente.
Lasciami venire con te.

Ghiannis Ritsos nella traduzione di Nicola Crocetti (Crocetti Editore, 2013) Continua a leggere

“Scrivi sempre a mezzanotte”

Virginia Woolf

«Sono ridotta a una cosa che desidera Virginia. Stanotte avevo composto per te una lettera bellissima, nelle ore insonni, piene di incubi, ma è tutta sparita: mi manchi e basta, in un modo piuttosto semplice, disperato, umano. Mi manchi più di quanto potessi credere; ed ero preparata a sentire la tua mancanza, parecchio. Così, in verità, questa lettera è solo un grido di dolore».
Vita Sackville-West a Virginia Woolf

«Creatura carissima, era molto molto bella la lettera che hai scritto alla luce delle stelle a mezzanotte. Scrivi sempre a quell’ora, perché il tuo cuore ha bisogno del chiaro di luna per liquefarsi. Da qualche parte ho visto una pallina che continuava a saltare su e giù sul getto di una fontana: tu sei la fontana, io la pallina. È una sensazione che mi dai solo tu».
Virginia Woolf a Vita Sackville-West

Il volume raccoglie oltre un centinaio di lettere, le più significative, di questa storia, che culminerà per Virginia nella scrittura di Orlando: la biografia di un essere meraviglioso che vive per quattro secoli passando da un sesso all’altro, e che ha le fattezze della bella Sackville-West, è un omaggio a lei, un tentativo di rendere eterna una relazione minacciata dalle tante avventure di cui Vita non riesce a fare a meno. Con gli anni, la passione travolgente si trasforma in amicizia profonda.

Vita Sackville-West e Virginia Woolf

Vita sarà sempre l’«adorata creatura» di Virginia, l’amazzone dalle gambe lunghe e affusolate che attraversa a grandi falcate le strade del mondo. Allo stesso tempo, Vita non lascerà mai la sua amata, la riempirà di regali e attenzioni, e sarà proprio lei l’unica persona – oltre a Leonard e alla sorella Vanessa – a cui Virginia consentirà di avvicinarsi nei momenti più cupi delle sue malattie.

Il loro amore, scrive Nadia Fusini nel suo saggio, «si tramuta in gelosia e in abbandono e trapassa in tradimento e in rimpianto, ma non finisce mai. Le due donne si incontrano, si separano, si scrivono, smettono di scriversi, riprendono a scriversi, e sempre la tenerezza, l’amicizia, la nostalgia riemergono, e tornano la luce e l’incanto». Continuano a cercarsi e a incontrarsi, fino alla fine: «con ogni probabilità, fecero ancora l’amore. Si abbracciarono, si baciarono ancora. E forse così, abbracciando Vita, Virginia tornò a sentire di abitare nel cuore dell’esistenza, e si sentì di nuovo in contatto con la vita, mentre si stava ormai allontanando nel mondo dell’irreale». Due scrittrici, due donne indipendenti, un grande amore. Queste lettere raccontano una storia la cui forza risplende ancora oggi, sfidando i canoni e il conformismo. Continua a leggere

Napoli città Libro 2019


SALONE DEL LIBRO A NAPOLI

Dal 4 al 7 aprile 2019 a Napoli si terrà il Salone del Libro e dell’editoria. Oltre cento gli eventi in programma. Tanti rappresentanti del mondo della cultura e dello spettacolo si ritroveranno a Castel Sant’Elmo per la seconda edizione di Napoli Città Libro.


CONSENTIRE IL CAMBIAMENTO

La manifestazione è promossa dall’Associazione Liber@Arte fondata dagli editori Alessandro Polidoro, Diego Guida e Rosario Bianco, in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura e il Polo museale della Campania del Ministero per i beni e le attività culturali, con il patrocinio di AIE Associazione Italiana Editori.


LA CULTURA COME APPRODO

Il filo conduttore di questa seconda edizione sarà “Approdi. La cultura come porto sicuro”, un tema che coniuga la natura della città partenopea come snodo del mediterraneo, aperta a tutte le culture.  Una cittadinanza senza confini attraverso i libri e per i lettori.

I GRANDI INTERPRETI DELLA CONTEMPORANEITA’

Nelle sale di Castel Sant’Elmo i visitatori potranno incontrare grandi nomi della letteratura contemporanea.

Tra gli ospiti più significativi, lo scrittore Raffaele La Capria, che ripercorrerà le sue molte vite e il rapporto fra verità e trasfigurazione narrativa. E ancora: Ruggero Cappuccio,  Gianrico Carofiglio,  Maurizio Cucchi, Giancarlo De Cataldo, Francesco Piccolo, Davide Rondoni, Sandra Savaglio, Ilaria Tuti, Licia Troisi,  Viola, Andrea Tarabbia e molti altri.

ROTTA SU NAPOLI
Tradizione e napoletanità

La sezione intitolata “Rotta su Napoli” sarà dedicata a tradizioni, storie e protagonisti della città e della napoletanità.

IL SALONE

La manifestazione si articola in più sezioni che coinvolgeranno il pubblico a livelli diversi a cominciare dalla sezione ANCORE in cui si affronteranno i temi della contemporaneità, dell’attualità e della società e dalla sezione SIRENE dedicata invece alla figura mitologica e al significato simbolico di voci ingannevoli. E poi conferenze, presentazioni e dibattiti nella sezione UN’ORA CON… dove i visitatori potranno ascoltare e dialogare con grandi nomi della letteratura e dello spettacolo.

LA LETTERATURA COME INCLUSIONE SOCIALE
L’assorbimento della cultura

Il Salone prevede poi altri appuntamenti tra i quali, il convegno Libri e lettura per l’inclusione sociale e il seminario per gli aspiranti librai sul valore dell’assortimento a cura del Centro per il Libro e la lettura, la presentazione del torneo letterario “IoScrittore” e della nuova serie tv Food Wizard fino agli spot sul made in Italy realizzati dagli studenti per il Pmi Day.

 

PROGRAMMA  Continua a leggere

Giovanni Raboni, da “Barlumi di storia”

Giovanni Raboni

1.

O forse la felicità
è solo degli altri, d’un altro tempo,
d’un’altra vita e a noi non è possibile
che recitarla come viene viene,
a soggetto, ostinandoci a inseguire
la parte di noi stessi
in un vecchio, bizzarro canovaccio
senza capo né coda…

2.

Infinitamente mi piacerebbe
suonare il pianoforte, e qualche volta
con poca modestia considero
che se in tempo di guerra
non avessi, causa i bombardamenti,
interrotto per sempre le lezioni
tanto volute da mia madre
a compenso o rivalsa, ora lo so,
d’un suo remoto sacrificio
a quest’ora, chissà… Ma poi mi dico
che è di un’altra delle sue passioni
che mi sono, come ho potuto,
fatto carico – e penso che a rifletterci
in ogni caso è proprio questo
da quando lei è morta
il modo in cui amo le cose
che amo di più, restandone alla larga,
avendone un po’ di paura,
credendoci ma sempre di sfuggita,
come credo all’esistenza di Dio.

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Fabio Izzo, “Consigli dalla Punk Caverna”

Fabio Izzo

SINOSSI

Nel Salento, dove la gente preferisce ascoltare le previsioni del tempo piuttosto che il proprio vicino, troviamo il protagonista di questa insolita storia di disamore, cioè Heyjoe, cantante e chitarrista del locale gruppo punk chiamato White Rubbish (Spazzatura bianca), animato da una insana passione per i libri e deluso dal sogno infranto di poter diventare un giorno amministratore di condominio ( in una terra dove i condomini non abbondano di certo.). Il giovane punk si ritrova faccia a faccia con la peggiore delusione amorosa che potesse mai capitargli: cioè quella di essere mollato dalla propria donna andata a cercare fortuna e occasioni migliori nella lontana Milano.

Così tra mille espedienti, come il contrabbando di rari e preziosi numeri dell’Uomo Ragno delle Edizioni Corno, e tanta, tantissima music  Heyjoe e la sua scalcinata punk band (formata assieme gli amici di sempre cioè lo il Spino, Ruscio e Pripri, personaggi che imparerete presto ad amare) si ritrovano, volenti o nolenti, l’occasione per dare una svolta alle proprie vite: peccato che non si tratti del concerto che dei punk duri e puri come loro hanno sempre sognato! Continua a leggere

L’armonia ritrovata ne “I fiumi”

02/10/1957
Nella foto: il poeta Giuseppe Ungaretti a una conferenza
@ArchiviFarabola [258605]

LA POTENZA DELL’ARCHETIPO NELLA POESIA DI UNGARETTI

commento di Fabrizio Fantoni

Sono evidenti nella lirica “I fiumi” due opposizioni fondamentali nell’immaginario di Giuseppe Ungaretti: quella fra il deserto e l’oasi – fra l’aridità e l’acqua, fra la morte e la vita- e quella fra il buio e la luce. Al centro è il tema dell’armonia ritrovata nel fiume da cui si sviluppa l’itinerario memoriale alla ricerca di un’identità storica smarrita nella condizione alienata del soldato.

L’ACQUA, ARMONIA PERDUTA

L’elemento che veicola il viaggio di ritorno ad una perduta armonia è, appunto, l’acqua.

È stato Macrì ad aver individuato nella poesia di Ungaretti la “ potenza di archetipico” dell’acqua nelle sue specificazioni figurale del mare – barca – bara così inglobante da ricondurre a sé anche gli aspetti che parrebbero più crepuscolari come “l’abbandono” di Malinconia che non è, come spiega Macrì, “malinconia – abbandono post romantica né languore o consunzione decadentistici e crepuscolari, ma senso originario dell’acqua – madre”.

 

IL RITORNO AL NIDO

Viaggio sacrale, dunque, che ha come meta il ritorno al “nido”.

Di questa sacrale integrità la poesia “i Fiumi” offrono subito il corrispettivo simbolico dell’urna, alvo parentale e insieme custodia sacra, “reliquia” immersa nel principio vitale dell’acqua: “stamani mi sono disteso / in un’urna di acqua/ e come una reliquia /ho riposato”.

E’ il ritorno fiducioso al riposo nel grembo materno l’immersione purificatrice nell’alveo del fiume da cui ha inizio il viaggio di ritorno alle origini. Continua a leggere

Il segno scarlatto dell’amore

Cristina Campo

CRISTINA CAMPO, PASSO D’ADDIO

commento di Bianca Sorrentino

Nel segno dell’attenzione e della grazia adamantina, la poesia di Cristina Campo è una danza lieve che accoglie le suggestioni fiabesche dell’Oriente e la lezione altissima del misticismo. Se l’assenza divora ogni cosa con la ferocia di una tigre, non resta che barattare l’amore con le parole, in un solenne e dignitoso autodafé del passato. Sulla soglia dell’essere, estranea e forse mai così coinvolta, l’imperdonabile poetessa ci insegna quali “colme presenze possa donarci un coraggioso distacco”.
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Daniel Calabrese, “Ruta Dos”

Daniel Calabrese

PRODIGIO

Il lavoro odierno consiste
nel portare una pietra da qui a là.
È una roccia molto pesante,
più d’un bue,
più d’un sacco pieno di pioggia.
È un buco preistorico,
uno specchio nero
che sta per divorarsi il mondo.

Il lavoro odierno consiste
nel sollevare la pietra con gli occhi e collocarla
con dolcezza in mezzo alla strada
così da bloccare i ciclisti,
bloccare la musica di sottofondo,
bloccare la Ruta Dos
all’ora indicata dalle arterie rosse.

E quando ogni cosa sarà sbarrata,
intorpidita dalla pietra,
bloccate le generazioni istruite e caritatevoli,
bloccato l’amore tra le cose naturali
e quelle evidenti,
il lavoro, allora,
consisterà nel tirarla fuori da quel luogo,
sollevare di nuovo la pietra con gli occhi affaticati
e seppellirla da quella parte, lì, nel nulla,
in quel lago di chiusa indifferenza
dove il letto scricchiola, il televisore illumina,
brillano i motori,
il vino scivola dentro la luce,
marciscono la memoria e i dialoghi tristi,
e tutto affonda, con la pietra,
nella più completa delle estinzioni.

PRODIGIO

El trabajo de este día consiste
en llevar una piedra de aquí para allá.
Es una roca muy pesada,
más que un buey,
más que una bolsa cargada de lluvia.
Es un agujero prehistórico,
un espejo negro
a punto de tragarse el mundo.

El trabajo de este día consiste
en alzar esa piedra con los ojos y depositarla
suavemente en el medio del camino
para que se detengan los ciclistas,
se detenga la música de fondo,
se detenga la Ruta Dos
a la hora señalada por las arterias rojas.

Y cuando todo esté detenido,
entorpecido por la piedra,
detenidas las generaciones ilustradas y piadosas,
detenido el amor entre las cosas naturales
y las cosas manifiestas,
el trabajo, entonces,
consistirá en sacarla de ese lugar,
levantar la piedra nuevamente con los ojos cansados
y enterrarla por ahí, en la nada,
en ese lago de cerrada indiferencia
donde cruje la cama, alumbra el televisor,
brillan los motores,
cae el vino adentro de la luz,
se pudren la memoria y las conversaciones tristes,
y se hunden, con la piedra,
en la más completa extinción. Continua a leggere