A giugno 2019 sarà pubblicato in Francia dalla casa editrice Al Manar di Alain Gorius, OLYMPIA di Luigia Sorrentino, Prefazione Milo De Angelis, Postfazione Mario Benedetti, con disegni di Giulia Napoleone. Traduzione in francese di Angèle Paoli.
Proponiamo qui sotto la lettura ad alta voce di Luigia Sorrentino della sezione IL GIARDINO tratta da Olimpia (Interlinea, prima edizione 2013, ristampa 2019), con la composizione musicale Spiegel im Spiegel, di Arvo Pärt, i testi in lingua francese con testo italiano a fronte e uno stralcio della postfazione di Mario Benedetti.
In occasione della Giornata mondiale della Poesia del 21 marzo 2019, il Laboratorio di Fonetica Sperimentale “Arturo Genre” dell’Università degli Studi di Torino, col sostegno e il patrocinio di Università degli Studi di Torino, Ambassade de France en Italie, Institut Français, Alliance Française, Dipartimento di Lingue e L.S. e C.M. dell’Università di Torino e AISV Associazione Italiana Scienze della Voce cura la giornata internazionale di studi e la soirée poétique “La musica della poesia – La musique de la poesie”. La manifestazione, dopo il successo della prima edizione dell’anno scorso, coinvolge in università nel corso della giornata 22 ospiti, tra studiosi e poeti, italiani e francesi. A partire dalle 21 invece la rassegna si sposta al Circolo dei lettori (Sala Giochi), per una lettura corale di tredicipoeti. Continua a leggere→
VIVIAN LAMARQUE PRESENTA OMBRALUCE Un’antologia di poesia al femminile
L’appuntamento con la poesia è per domenica 24 marzo 2019, alle ore 21.00, presso la Biblioteca del comune di Cassina de’ Pecchi. Ospite graditissima e madrina Vivian Lamarque, poetessa e autrice di favole.
PER CONOSCERE DODICI POTESSE CONTEMPORANEE
Si presenta una piccola antologia dal titolo OmbraLuce. Dodici voci della poesia femminile italiana contemporanea, preziosa e bella da aprire anche a caso e sfogliare, gustare, fare propria per saperne di più (o qualcosa) su questo territorio letterario dell’espressione, della sensibilità. Scritto introduttivo della poetessa e monaca buddista Giulia Niccolai. Promossa dall’assessorato alla cultura di Cassina de’ Pecchi, la pubblicazione, di 64 pagine a colori, a cura di Giovanni Bonoldi e dell’associazione milanese dipoesia, è edita da BVS – Edizioni Biblioteca Vittorio Sereni nella collana “i versi”. Continua a leggere→
Il 22 e 23 marzo 2019 a Verona, presso la Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, si terrà la 18esima edizione della Giornata mondiale della poesia promossa dall’Accademia Mondiale della Poesia (www.accademiamondialepoesia.com).
Nata nel 2001 a Verona, la città che diede i natali al poeta latino Catullo, avrà come titolo “Poesia e Viaggio” .
Quest’anno la Giornata intende celebrare il cinquantesimo anniversario della scomparsa del poeta Jack Kerouac, e l’uscita, cinquant’anni fa, del libro di Eugenio Montale “Fuori di casa”.
L’evento, con ingresso libero fino ad esaurimento posti, quest’anno si divide in due giornate e sarà condotto dal regista e attore Alfonso De Filippis.
IL TEMA DEL VIAGGIO
La XVIII^ edizione si aprirà la mattina del 22 marzo, presso la Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, con i saluti delle autorità, a seguire la cerimonia di premiazione del Secondo concorso nazionale di Poesia con Immagine via Instagram che ha come tema “Il Viaggio”; nessuna prospettiva come quella del viaggio ha attirato e incantato i poeti antichi e moderni, dall’autore di Gilgamesh all’Omero dell’Odissea a Dante, da Bashō a Santōka, da Baudelaire a Rimbaud, da Whitman alla Beat Generation. Continua a leggere→
Straziante, densa e visionaria, questa silloge della poetessa polacca Anna Frajlich, figlia di una generazione di emigrati vittime della campagna antisemita del regime comunista del 1968, che costrinse quindicimila ebrei a lasciare la Polonia. Stabilitasi a New York e divenuta docente presso la Columbia University, nel corso degli anni ha composto moltissime liriche, gran parte delle quali il suo traduttore, Marcin Wyrembelski, ha trasposto mirabilmente in italiano, suddividendole in diverse sezioni che non seguono un filo cronologico, ma concettuale ed emozionale. È qui che si annida il crocevia di motivi che attraversano tutte queste poesie: esilio, distacco, memoria, assenza.
Il filo che le collega tutte è quello di un’invincibile nostalgia, che però non è solo una forma di tensione verso ciò che manca, ma anche lo specchio nel quale si riflette la possibilità di un’alternativa storica vista da una prospettiva personale: l’occasione di una vita diversa, che non c’è stata e che, pur tuttavia, di là da quel confine immateriale continua a irradiare immagini quasi olografiche, dense di senso perché cariche di un intenso portato percettivo.
La città
Una luce forte da ovest
colpisce le palpebre
era diversa la vista dalle finestre
della mia infanzia
da un lato i giardini
a perdita d’occhio
dall’altro l’imboccatura di una strada
fiancheggiata dai tigli così folti
che le loro corone creavano un baldacchino
s’intravedeva in fondo come in un tunnel
una luce rotonda
e promettente
la città non era nostra
ma tolta agli altri
che nella furia bellica
ne fuggirono lasciando tutto
o seppellito nei giardini
oppure sotto le macerie
o proprio sul tavolo
i bicchieri di cristallo
con del vino rosso
ancora rimasto dentro
con macchie sul vetro
la città non era nostra
ma fioriva per noi
con i lillà a i meli
nei mille giardini
con le viole e i mughetti
all’ombra delle siepi
fioriva la città sul fiume
che scorreva sul confine
e si sentivano in città
diverse lingue
che sembravano arbusti
trapiantati da est a ovest
qualcuno aveva la parlata di Vilnius
un altro faceva il baciamano come a Leopoli
qualcuno sottovoce
parlava ancora il tedesco
e si udiva per le strade lo yiddish
dei pochi sopravvissuti
e sulle rive del fiume
il gergo portuale
spuntava come l’erba
da sotto i sassi
ed è questa l’immagine che
permane nel mio ricordo
a volte buia
a volte piena di afa estiva
ricordo della primavera e dell’autunno
in mezzo ai fumi delle frasche bruciate
la città della mia infanzia
tolta a qualcuno
per far passare l’infanzia a un altro
da un’altra parte.
La dodicesima edizione delNapoli Teatro Festival Italia, la terza diretta da Ruggero Cappuccio, realizzata con il sostegno della Regione Campania, presieduta da Vincenzo De Luca, e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, guidata da Alessandro Barbano, presenta, dall’8 giugno al 14 luglio, una ricca programmazione che si declina tra teatro, danza, letteratura, cinema, video/performance, musica, mostre e laboratori. Oltre 150 eventi, per 37 giorni di programmazione, distribuiti in 40 luoghi tra Napoli e altre città della Campania (Salerno, Benevento, Caserta, Carditello, Baia, Amalfi, Pietrelcina e Mercogliano), dove andranno in scena creazioni mai presentate in Italia — prime nazionali e internazionali —, e coproduzioni che confermano l’attività produttiva del Festival.
Ruggero Cappuccio
RIMETTERE IL TEATRO AL CENTRO DELLA VITA CIVILE
Il Napoli Teatro Festival Italia si pone come organismo di crescita culturale e sociale, in tal senso favorirà la partecipazione del pubblico, continuando a proporre un’oculata politica di prezzi, con biglietti popolari (da 8 a 5 euro) e agevolazioni assolute per le fasce sociali più deboli.
L’edizione 2019 presenta 29 eventi internazionali, di cui 19 prime in Italia tra prosa e danza, e 44 prime di spettacoli italiani. Il NTFI amplia anche la sua struttura e diventano 12 le sezioni del festival. Alle 11 già consolidate del progetto artistico di Ruggero Cappuccio (Italiana, Internazionale, Osservatorio, Danza, SportOpera, Musica, Letteratura, Cinema, Mostre, Laboratori, Progetti Speciali) si aggiunge la nuova sezione dedicata al Teatro Ragazzi, che quest’anno propone Puglia Showcase Kids, una vetrina di spettacoli e momenti di approfondimento rivolta alla migliore produzione per ragazzi, promossa dalla Regione Puglia, ideata e realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese. Continua a leggere→
A TRIESTE E DUINO GIOVANI POETI DA TUTTO IL MONDO PER UNDICI GIORNATE DEDICATE ALLE CULTURE DEL NOSTRO PIANETA
Con l’arrivo della primavera Duino e il suo splendido castello a picco sul mare, e Trieste, città di Umberto Saba, Italo Svevo e James Joyce, ospiteranno nuovamente la “Festa della Letteratura e della Poesia”, che in questi luoghi ha trovato già da molti anni dimora.
L’edizione 2019 si preannuncia ricca d’iniziative, con undici giorni di incontri letterari, spettacoli teatrali e musicali, workshop, mostre e flash mob poetici. Sarà un nuovo modo per scoprire questo affascinante territorio nell’estremo lembo orientale d’Italia e una città letteraria per vocazione storica, perché i vari appuntamenti saranno dislocati nei diversi luoghi cittadini in cui si fa cultura: dai più celebri caffè letterari triestini (Tommaseo, Antico Caffè San Marco, Caffè degli Specchi) ai musei, fino al Castello di Duino, celebrato da Rainer Maria Rilke nelle sue “Elegie Duinesi”. Tra un appuntamento e l’altro rimarrà comunque il tempo per conoscere dal vivo la città, liberamente o su richiesta con tour guidati.
SOGNO E CONOSCENZA
La manifestazione in calendario dal 20 al 31 marzo, passando per il 21, Giornata Mondiale della Poesia, ruoterà intorno al tema “Il sogno e la conoscenza”, esplorato nella XV edizione del Concorso Internazionale di Poesia e Teatro “Castello di Duino” da cui nasce l’iniziativa. La premiazione delle varie sezioni della competizione letteraria sarà il momento culminante attorno al quale si snoderanno i tanti eventi letterari e artistici in programma nelle giornate della “Festa”.
è il mio mitico fiume ed è mia intenzione di
scendere con aneddoti e versi nella giovinezza degli
anni prima che accadesse la caccia alla vita e fossi
spinto a un esilio di vituperi, d’invettive, sevizie,
accuse, prigionia, cronache malvage di anonimi vili
reporter, invenzioni abolite poi dalla legge;
rimangono le ferite e sei anni spenti; ma qui, invece
gli aguzzini usurpano ancora persino il loro funebre
fosso.
Sono cresciuti insieme a te i miei capelli,
io meno. Ancora sono tentata dallo svanire
se ogni giorno scavo un lembo di pensiero
e mi riduco a un liquido vischioso, irriflessivo,
che non lascio bere a nessuno. Potremmo
davvero esserci tutti senza nient’altro
– solo nutrirsi ogni tanto – umane necessità.
Cosa riempirebbe allora le coscienze,
quale commento, quante penose idee.
POMERIGGIO DI STUDIO SULLA POESIA DI BIANCAMARIA FRABOTTA
di Carmelo Princiotta
Quella di Biancamaria Frabotta è una poesia dall’impronta dinamica, in continua viandanza. All’età turbolenta del rumore bianco, che dà forma a una nuova soggettività, si avvicenda il tempo del contrappunto fra la struggente ricerca dell’origine e gli impervi itinerari nell’altrove, al fine di oltrepassare le secche del postmodernismo e una banalizzante idea di contemporaneità. Succede quindi la stagione di un inquieto, asimmetrico pendolarismo fra città e campagna, in cui più fitta si fa l’interrogazione della condizione mortale e più acuta la nostalgia della classicità. Continua a leggere→
Alla Casa della Poesia di Milano (in Via Formentini 10), giovedì 14 marzo 2019 alle ore 19:30 POLONIA E POESIA, a cura di Milo De Angelis.
Un incontro con i grandi poeti polacchi del nostro tempo: Zbigniew Herbert, Adam Zagajewski e i premi Nobel Czesław Miłosz e Wisława Szymborska presentati da due giovani e appassionati studiosi, Alessandro Bellasio e Giovanni Rapazzini, con la partecipazione del Professor Luca Bernardini, docente di Letteratura Polacca all’Università degli Studi di Milano.
L’evento, Futuro Anteriore, si articolerà in due momenti: alle ore 17:30 Paolo Valesio e Sandro Gentili dialogheranno sul Futurismo; alle ore 18:30 Paolo Valesio leggerà poesie tratte dalla propria opera. Continua a leggere→
Sylvia Plath e Anne Sexton fra gli anni Cinquanta e Sessanta introducono negli Stati Uniti una poesia che venne definita dalla critica Confessional. Un genere che ha avuto poco seguito anche perché in quel periodo storico in America si andava diffondendo la poesia della beat generation, un movimento artistico e di protesta contro la società americana.
Il genere Confessional definito anche “poesia automatica”, non poneva alcun filtro all’espressione poetica basata sull’esperienza personale e biografica.
E’ il 1961. Sylvia ha appena subito un intervento chirurgico ed è ricoverata in ospedale quando le viene recapitato nella stanza un mazzo di tulipani rossi. I fiori diventano nella poesia della Plath, l’estensione di ciò che Sylvia sta vivendo in quel preciso momento.
Il candore della stanza in cui si trova, una stanza bianca, interiore e psichica, viene turbato dalla presenza sanguigna dei tulipani che diventano il pretesto per vivere e confessare la propria condizione di alienazione. Attraverso i tulipani la Plath rivive l’esperienza drammatica della sua esistenza, sempre in bilico fra la ricerca della vita e la ricerca della morte.
Sylvia Plath scrive Tulips tre anni prima del suicidio e inserisce la poesia nella raccolta “Ariel”.
Il volume dei Meridiani Mondadori qui presentato, raccoglie l’intera opera poetica di Sylvia Plath, con testo a fronte, secondo l’edizione definitiva dei Collected Poems curata da Ted Hughes nel 1981. Sono inoltre inclusi nel volume il romanzo autobiografico “La campana di vetro” e un’ampia selezione di racconti e di pagine tratte dai “Diari”. La raccolta, curata da Anna Ravano, contiene un’introduzione firmata da Nadia Fusini.
Luigia Sorrentino legge da “Ariel”, nella traduzione di Giovanni Giudici, Tulipani, di Sylvia Plath sulle note di “The ritual” (Outro) del compositore ungherese Bèla Bartók.
Fondazione Pordenonelegge propone la prima edizione de “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, rivolto ad autori nati dal 1° gennaio 1989 al 31 dicembre1998, che abbiano pubblicato un libro di poesia nel 2018.
L’obiettivo del Premio è individuare e valutare poeti emergenti.
Per partecipare al concorso è necessario inviare i libri entro il 30 marzo 2019 alla Fondazione Pordenonelegge.it nelle modalità indicate dal bando a questo link: Premio Pordenonelegge Poesia, Palazzo Badini, via Mazzini 2, 33170, Pordenone.
Nel caso di pubblicazione ebook è sufficiente inviare il PDF.
Entro il mese di settembre la giuria procederà a una progressiva selezione dei libri letti, dandone notizia sul sito www.pordenonelegge.it.
In particolare: entro il mese di maggio 2019 verrà pubblicata la lista dei libri pervenuti e letti dalla giuria; entro il mese di giugno la lista dei 10 libri selezionati; entro il 31 luglio la lista dei 3 libri finalisti. Continua a leggere→
A Stoccolma (Svezia), giovedì 7 marzo 2019 alle 18:30 conversazioni e letture con Françoise Ribeyrolles-Marcus (artista) e John Swedenmark (Critico) presso la Libreria St Pauls Bok-och Pappershandel.
Al centro del dibattito un’antologica, comprendente quattro autori italiani tradotti in lingua svedese e pubblicati dall’EditoreTranan: Luciano Erba, Guido Oldani, Alda Merini, Umberto Saba ( St. Paulsgatan 24). Continua a leggere→
Torna il tradizionale appuntamento con la poesia, arte di casa a Camaiore grazie al prestigioso Premio Letterario Camaiore, intitolato alla memoria del compianto fondatore Francesco Belluomini, che vedrà nel 2019 la sua XXXI edizione. E’ stato pubblicato oggi il bando di concorso che dà il via ufficiale alla rincorsa per designare il successore di Chiara Carminati, vincitrice dell’edizione 2018 con “Viaggia verso”. Il bando del concorso è reperibile alla pagina Bando di partecipazione XXXI Premio Letterario Camaiore – Francesco Belluomini.
Sotto la guida della Presidente Rosanna Lupi, la Giuria Tecnica prenderà in esame le opere in lingua italiana di autori viventi pubblicate nel periodo compreso tra il 1° aprile 2018 e il 31 marzo 2019. Le case editrici o gli autori interessati devono far pervenire copia di ogni pubblicazione entro e non oltre il 31 maggio 2019 presso gli indirizzi indicati nel bando di concorso. Continua a leggere→
A volte scoppiava un incendio e io ci camminavo dentro
e ne uscivo illeso e continuavo per la mia strada,
e per me era soltanto un’altra cosa fatta e finita.
Quanto a estinguere l’incendio, lo lasciavo ad altri
che si gettavano nelle nubi di fumo con ramazze
e coperte per spegnere le fiamme. Una volta finito
facevano crocchio per parlare di quello che avevano visto –
la gran fortuna di aver testimoniato i lucori del calore,
l’effetto acquietante della cenere, ma anche più di aver conosciuto il profumo
della carta che brucia, il suono delle parole che respirano la loro fine.
Mark Strand nella traduzione di Damiano Abeni (Mondadori, 2007)
Fire
Sometimes there would be a fire and I would walk into it
and come out unharmed and continue on my way,
and for me it was just another thing to have done.
As for putting out the fire, I left that to others
who would rush into the billowing smoke with brooms
and blankets to smother the flames. When they were through
they would huddle together to talk of what they had seen –
how lucky they were to have witnessed the lusters of heat,
the hushing effect of ashes, but even more to have known the fragrance
of burning paper, the sound of words breathing their last. Continua a leggere→
S’eo son distretto inamoratamente
e messo in grave affanno
assai piú ch’io non posso soferire,
non mi dispero né smago neiente,
membrando che mi danno
una buona speranza li martire,
com’eo deggia guerire:
ché lo bon soferente
riceve usatamente
buon compimento de lo suo disire.
Il Centro Studi Sara Valesio, martedì 5 marzo alle ore 17.30 presso le Librerie Coop Zanichelli (piazza Galvani 1/H, Bologna) incontra Alberto Bertoni, in occasione dell’uscita della sua antologia poetica Poesie 1980-2014 (Nino Aragno Editore) e Paolo Fabrizio Iacuzzi che presenta la sua ultima raccolta di versi, Folla delle vene (Corsiero Editore). Continua a leggere→
I poeti d’amore sono una specie estinta, lamenta Ceronetti. Erano d’amore i poeti che morivano giovani, mentre oggi «invecchiano, fanno il beta-bloccante, la ricucitura coronarica, una pastiglia al giorno, conferenze a Harvard, cure per lo stress in Svizzera». Un motivo in più per amare Catullo, che della passione devastatrice ha conosciuto «tutti i gradi: la cristallizzazione stendhaliana, l’adorazione, l’esecrazione, il tradimento, la vergogna della propria schiavitù, eroe del beau rôle e chicchirichì del professor Unrath». Continua a leggere→
Umberto Fiori torna in libreria con un nuovo racconto in versi
È vero: ci sono giorni
che le vostre parole più care e buone
mi suonano come insulti,
giorni che dal mattino alla sera il sole
splende contro di me
come contro un ritaglio di lamiera:
non mi si parla senza avere
diritto in faccia
il suo abbaglio tremendo. Ci sono volte
che mi trovate là,
fermo, freddo
come l’avanzo nel piatto.
Non vi ascolto, non alzo nemmeno gli occhi.
È che ho la testa piena
di una scena che ho visto
tanti anni fa.
La viẑa, la selva sul cui limitare Uliana si è perso e ritrovato in questo straordinario ipersonetto caudato è la selva del Cansiglio, ma, come in Dante, è anche la selva della lingua, l’ytala silva dei volgari dove il poeta va ostinatamente in caccia della lingua della poesia. Ma la selva è qui anche una donna, una toṣa salvàrega, una donna innamorata (fa na moroṣa), forse la stessa che Dante incontra nella divina foresta spessa e viva del Paradiso terrestre (è Uliana stesso a ricordarci che “in Cansiglio c’è una fontana detta Parađiṣe”). Ancor più che nella precedente raccolta dedicata al Cansiglio, Il Bosco e i Varchi, Uliana moltiplica l’ambivalenza semantica della sua lingua-foresta, torna instancabilmente a percorrerne i trói đel Maẑaról e a sfogliarne le abbacinanti, mentali radure. Ancora una volta la lingua è una selva in cui l’umanità si è perduta e deve ritrovarsi, le parole so-no “varchi ‒vartore‒ nel labirinto del foglio”, ma anche buchi e trappole in cui si inciampa e si rimane impigliati. Ma la novità forse più pungente di questa ultima raccolta è che in essa, attraverso una ripresa quasi letterale della ballatetta cavalcantiana (“va leggera”, “dille”) e quasi una contraffazione della pastorella provenzale e stilnovista, l’esperienza della selva e della sua “lingua di legno” è immediatamente un’aspra, crudele esperienza amorosa. Nell’ ipersonetto Per una selva, Uliana si conferma una delle voci più alte e complesse della sua generazione.
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ESTRATTI
Nò in cao a la viẑa ma đe lònch l’orivo
me ère pèrs, mio par paura đe bèstie
– bolp faine martorèi e lof i sò èsser
đrento đe mi – gné par le unbrìe òrbe
par quant dal vènt le fuṣesse moveste,
par al me ben ò ciapà al troi pi đret
che mi savée èsser quel de le legne
e là ndé i crep i sà sol de fenìscol
e le foje l’é le rece đei me mòrti
ò cantà come ’n ẑeđron in amor,
lora le bèstie le é vegneste fòra
đa đe mi mèsteghe a lecarme al muṣo,
sora đe mi al piovéa ponte đe luṣe
ẑenẑa gnessun dolor: nil clarius silva. Continua a leggere→
di Marco Marangoni “ perduti nello specchio infranto del suono”
Con Saggezza degli ubriachi – La vita felice, Milano 2017- Stefano Vitale ci introduce sempre più addentro al percorso poetico che da tempo lo impegna, tra ricerca etica e stilistica. Un percorso che si inquadra nell’esigente sentire della poesia coeva e che merita attenzione, sia per le doti di intensità espressiva, sia per il senso del cammino che vi ritroviamo. Il “mal di vivere” montaliano appare come il più evidente “presupposto” di questa poesia, da cui si diramano altri rinvii, espliciti/impliciti, tanto in direzione della tradizione italiana che di quella europea, soprattutto francese: “prend garde à la doucer des choses” (citazione presente in Il retro delle cose, puntoacapo, Novi Ligure (AL)2012, p.28). Continua a leggere→
Una volta c’era uno scopo,
ho sentito dire: c’era un Dio.
Rendeva tutto un po’ meno indegno
e ci forniva il perché
che tutti cercavamo.
Verità indiscutibile.
Un motivo per essere buoni e giusti,
un motivo per il cappio
che mandava il peccatore a quel paese
e ci faceva sentire tutti meglio
nella consapevolezza che i giusti
sarebbero stati giusti per sempre.
Una volta c’era la religione e comandava.
Ce la passavamo male.
La sera ci addormentavamo nella delusione
questo era Questo e quello era Quello.
E se mai vacillava la nostra morale nella nebbia
non dovevamo far altro che consultare la Bibbia.
Ma col tempo ne abbiamo sofferto la pressione;
il grande oppressore era la religione.
E senza Dio le guerre ci sembravano più crudeli,
la vita più squallida. L’arte sembrava una sciocchezza.
La morte ora era più strana che mai.
A che serviva l’umanità? Che terrore
ci invadeva quando capivamo
che non c’era scopo, che non c’era piano?
Si viveva solo per un giorno.
Lavorare. Mangiare. Dormire. Scopare. Crepare.
Senza il timore di una punizione
scoprimmo il piacere senza sensi di colpa,
ma perdemmo il sentimento comune
che ci aveva tenuti tutti insieme.
Avevamo bisogno di un nuovo ingrediente
che riempisse il vuoto crescente;
e quale nuova fede migliore
della Libertà senza-più-limiti?
La gioia di essere quello che siamo
in virtù dei vestiti che acquistiamo.
Il sogno di arricchirci abbastanza
da vivere una vita fuori dal comune.
E ora non c’è uno scopo
che vada oltre i nostri bisogni.
Ora si venera soltanto
ciò che è comodo e veloce.
Corriamo in tondo
dove la grazia sfida l’avidità.
Tutto quel che abbiamo va al di là
della necessità che nutriamo
i nostri viziatissimi monelli
nel modo migliore che possiamo.
E poi ci meravigliamo che da grandi
conoscono solo quel che si trovano in mano.
Ora abbiamo lo Schermo
che comanda tutto.
I nostri figli perma-connessi alle sue promesse,
in ammirazione costante delle sue gemme.
E le coppie consumano i pasti
al chiarore dei suoi raggi,
lo fissiamo fino a imparare
come va il mondo.
Pre-adolescenti apprendono il batticuore.
Il batticuore s’ingozza di maiale piccante e sport.
La realtà messa in scena per essere compianta o irrisa –
ecco finalmente la mortalità! Vederci ripresi
a colori in alta definizione.
Guarda – uno storpio a un appuntamento al buio.
Guarda – giovani che fottono a Magaluf,
guarda – la madre di un figlio morto che piange e impreca,
guarda – una celebrità che mangia merda e canta Agadoo.
Una volta bruciavamo le donne che soffrivano di epilessia.
Le legavamo a un palo e le accusavamo di stregoneria.
Adesso
le mostriamo sullo schermo se hanno belle tette,
ma poi se si lasciano andare le facciamo a pezzi.
Tracciamo cerchi rossi attorno alle smagliature.
E scorriamo le immagini mangiando patatine fritte.
Si può essere una fata, una stronza o una matta,
oppure elegante, una bestia o una coatta.
Prima
si era condannati per le cose fatte,
oppure se non si viveva come il resto del villaggio.
Adesso
ci danno uno stampo e ci dicono – infilati qui dentro.
Vedrai che forse un giorno sarai famoso.
Riprese dietro le quinte
di un famoso ultimo concerto.
Dettaglio ravvicinato
dell’ultimo spasimo della cantante.
Prima che tiri fuori la pistola
e si faccia saltare le cervella.
Il mondo è il tuo parco giochi,
va’ e divertiti da matto;
basta che non sei povero,
malato o brutto.
Ci hai colto di sorpresa
come i migliori trucchi.
Una volta avevamo paura;
adesso abbiamo la cura.
(Traduzione dall’inglese di Riccardo Duranti)
La poesia di Kate Tempest Progresso, è tratta da Hold Your Own/ Resta te stessa, Edizioni E/O, 2018 con testo inglese a fronte. Traduzione di Riccardo Duranti.
Qui sotto il video live di Kate Tempest nell’interpretazione di Progress.
L’idea originaria di questo libro è nata con la plaquette L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, PordenoneFaloppio 2017). Il puro, l’impuro e il trasparente raccontano la trasparenza. Il trasparente è la sintesi, il puro e l’impuro sono la tesi e l’antitesi. La sintesi del mondo digitale è il grande vetro attraverso cui traspaiono il puro e l’impuro mescolati, l’umano e il non umano, la velocità e la prospettiva. L’uno altro limite dell’altro.
I
Il peso si sente come i capelli sulle spalle
i pori che si stringono per non far passare l’acqua
l’attrito sempre quando capita una coincidenza.
Ma dicono che oggi il peso del tempo è irreale
assomiglia all’aria spostata dagli insetti
che si nutrono di sangue e muoiono a volte
sotto il palmo della mano. Continua a leggere→
La nuova raccolta di versi di Alessandro Ceni, 77poesie, (Edizioni Helicon, 2018) è uno spaccato della sua opera dagli esordi a oggi. La raccolta sembra fondarsi su un concetto di dislocazione a livello fenomenico e linguistico. L’esito è una poesia di impatto sismico, per il rilievo dato all’analogia e al sovvertimento della sintassi. La causa si ritraccia nell’opposizione all’interno della storia, e oggi tanto più pressante, tra un ambiente naturale, primitivo e mitico, in via d’estinzione, e la cruda realtà delle vicende umane.
I campi davanti
Voltatoti,
le rovine fumanti
il pìare lento
il risolversi in un soffio del tarassaco:
revelle
stacca a forza
distoglie in altra parte:
la cupola del fieno
la portula che vi si apre
che ne camuffa un’altra
dove un flamine cieco ti tasta:
gli sconfitti – il tarassaco si china –
ottennero – il tarassaco si pela –
tutto quello per cui avevano combattuto:
ti sei supposito, ti sei sostituito,
ti sei detto il bambino brutto o bizzarro o anormale
lasciato in luogo di un altro rapito dalle fate:
voltatoti,
il rodìo che bucherella la cenere,
il reddito di una promessa,
l’asbesto. Continua a leggere→
Con il patrocinio di Corte Micina, Associazione Culturale –
I poeti dello Specchio
Presentazione a Roma, alla Casa delle Letterature, di SINDROME DEL DISTACCO E TREGUA, (Mondadori 2019), del nuovo libro di poesie di uno dei massimi poeti contemporanei, Maurizio Cucchi.
La poesia di Maurizio Cucchi
Sindrome del distacco e tregua è un’opera essenziale, in cui convogliano tutte le tematiche della poesia di Cucchi: la ricerca dell’identità, la necessità del rapporto diretto con la quotidianità, la tematica del viaggio inteso come percorso di conoscenza, il superamento dei generi letterari, poesia-prosa.
Il linguaggio
Chiunque conosca la poesia di Maurizio Cucchi sa quanto sia fondamentale per questo autore, l’uso della lingua. In questa raccolta, in particolare, la voce del poeta è ustionata e, al tempo stesso, fierissima e acuta. E’ una la lingua potente, che deflagra al contatto abrasivo con la materia, spietata e irriducibile, e oppone resistenza alla biografia, alla faglia interiore e perpetua della perdita.
La mostra al Museo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese
Come fotogrammi di un film pittorico sulla continuità che lega gli esseri in un andamento circolare fatto di connessioni misteriose, sulla fragilità ma anche sulla voglia d’assoluto, approdano al Museo Carlo Bilotti i quadri e le carte di Vincenzo Scolamiero (Sant’Andrea di Conza, 1956, romano d’adozione), nella personale intitolata Della declinante ombra e curata da Gabriele Simongini.
La mostra, dall’8 marzo al 9 giugno 2019, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma dove Scolamiero è docente di Pittura, e in collaborazione con la Galleria Edieuropa-QUI arte contemporanea. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Continua a leggere→
Come mio nonno mai incontrato
forse morrò soffocato
da un nocciolo di pesca
E tu soffocata sulle labbra
mia lingua che parli la ferita
tragica e perversa,
romantica e vitale,
ipersensibile e geniale
E che come un taglio di Fontana
distruggi l’alter ego
accademico e borghese,
mi desideri servo
o vittima di un vuoto
fra i cuscini del divano
in pieno break il fiato
prima di cenare
leggendo il messaggio su WhatsApp
che non vuole farmi entrare
dove l’aria è verderame,
la foglia sta sul ramo
senza sapere che muore
ad ogni increspatura
di vento e di natura,
l’usignolo è tutto
un prodigioso elevarsi
ai vertici del canto
e quel po’ di umano sforzo che ci vuole
a guardarmi allo specchio
è il desiderio di un vecchio
Da Ricordi e cromosomi, I Quaderni della collana Stampa, 2018
Il secolo presto finirà, ma non prima di me.
E questo, temo, non c’entra con l’intuito.
Piuttosto è l’influenza della non-esistenza
sull’esistere: per dire, del cacciatore sulla selvaggina,
sia essa muscolo cardiaco o mattone.
Sentiamo la frusta sibilare,
nel tentativo di rammentare i nomi di quanti ci hanno [amato,
divincolandoci tra le viscide mani del polsista.
Il mondo non è più com’era
un tempo, quando regnavano sovrani abat-jour, fox-trot, [sofà
e la paura, insieme a sottovesti e ad arguzie salaci a volontà.
Chi avrebbe mai pensato
che la gomma del tempo li avrebbe cancellati
come sgorbi a matita sulla carta? Certo nessuno.
Eppure il tempo con il suo frusciare
proprio questo ha fatto. Vallo a rimproverare.
Adesso ovunque antenne, sballo di adolescenti, ceppi
anzichè alberi svettanti. Al caffè
non incontri i compagni di lotta sconfitti dalla sorte,
nè al bar l’angelo in gonna e blusa azzurra
che si è stancata del tentativo di librarsi in aria
sopra a se stessa. Ovunque una marea di gente,
ora in folla compatta, ora in coda serpeggiante.
Il tiranno più non è efferato,
ma un essere mediocre e limitato. E così l’automobile
ormai non è più un lusso, ma un modo di sbatter via
la polvere dal tappeto stradale, dove la gruccia
dell’invalido già più non si sente,
mentre il bambino crede fermamente che il lupo
faccia più spavento di un intero reggimento. Continua a leggere→
“Millennium Poetry, Viaggio sentimentale nella poesia italiana“, a cura di Valerio Magrelli, voce narrante nell’opera, è in uscita con Emons: audiolibri, (2019).
Valerio Magrelli, professore di Letteratura francese all’Università di Cassino, scrittore, traduttore, critico letterario, è uno dei più affermati poeti italiani contemporanei. Per la sua attività letteraria ha ottenuto molti premi, fra cui il Mondello e SuperMondello, il Premio Viareggio per la poesia e il Premio nazionale per la traduzione.
Le sue ultime raccolte di poesia Poesie (1980-1992), Il commissario Magrelli eIl sangue amaro, sono tutte pubblicate da Einaudi.
Addormentarsi vestiti
dove il mare è soltanto un’attesa.
La mano di mio padre
nello spazio santo del ricordo.
Le rondini migrano
verso terre lontane.
Questa improvvisa moria di pesci
annuncia la fine dell’estate.
Una pioggia sottile nell’aria,
odore di menta e rosmarino.
A volte, nevica anche qui
sulle strade abbandonate
di questa nera città.
L’attore svizzero Bruno Ganz è morto a Zurigo a 77 anni. Con lui se ne va un grandissimo attore di cinema e teatro, molto amato dal pubblico internazionale e riconosciuto dalla critica di settore. Indimenticabile la sua interpretazione del dittatore Adolf Hitler ne “La caduta”, 2004.
II 23 febbraio 2011 è morto a Oslo Luigi Di Ruscio. Nato a Fermo nel 1930, Di Ruscio era emigrato in Norvegia nel 1957. Per quarant’anni aveva lavorato a Olso in una fabbrica metallurgica.
Lo ricordiamo con il libro appena uscito con Marcos Y Marcos.
Lo hanno chiamato “poeta operaio” ma la definizione è senza dubbio riduttiva. Del resto la vicenda di Luigi Di Ruscio è talmente unica che la tentazione di semplificarne la figura può essere facile e fuorviante per molti.
A gennaio 2019 Marcos y Marcos, nella collana Le Ali, diretta da Fabio Pusterla ha pubblicato le Poesie scelte (1953-2010) di Luigi Di Ruscio (1930-2011), a cura di Massimo Gezzi con la prefazione di Massimo Raffaeli. Continua a leggere→