Giòrgos Sefèris (1900 – 1970)

Giòrgos Sefèris

Il mare in fiore, i monti nella luna menomante
la grande rupe accanto ai fichi d’India e agli asfodeli
l’orcio che non voleva asciugarsi alla fine del giorno
e quel letto serrato là vicino ai cipressi e i tuoi capelli
d’oro, gli astri del Cigno e Aldebaran.
Ho serbato la mia vita, ho serbato la mia vita viaggiando
tra piante gialle nel rovescio della pioggia
su taciti versanti sovraccarichi delle foglie di faggio,
senza falò sul vertice. Fa sera.
Ho serbato la mia vita: sulla tua mano sinistra una linea,
sul tuo ginocchio un segno: ci saranno
sulla sabbia dell’altra estate, ci saranno
ancora, là dove soffiò la tramontana
mentre sento d’attorno al lago ghiaccio
questa lingua straniera.
Nulla chiedono i visi che vedo, né la donna
che incede curva col bambino al petto.
Salgo sui monti: valli annerite; la piana nevicata,
fino laggiù nevicata non chiede
nulla, né il tempo chiuso entro cappelle mute,
né le mani protese a cercare, o le strade.
Ho serbato la mia vita in un sussurro, dentro
l’illimitato silenzio
e non so più parlare né pensare: sussurri
come il respiro del cipresso quella notte,
come la voce umana del mare notturno
fra i ciottoli, o il ricordo della tua voce che diceva
«buona fortuna».
Chiudo gli occhi cercando il convegno segreto delle acque
sotto il ghiaccio, il sorriso del mare, i pozzi chiusi
palpando con le mie vene le vene che mi sfuggono,
dove mettono capo le ninfee e l’uomo che cammina
cieco sopra la neve del silenzio.
Ho serbato la mia vita, con lui, cercando l’acqua che ti sfiora:
gocce che cadono grevi sopra le foglie verdi, sul tuo viso
nel giardino deserto, sopra la vasca immota,
cogliendo un cigno morto nel bianco delle piume,
alberi vivi e i tuoi occhi sbarrati.
Questa strada non termina e non muta, anche se tenti
di rammentare gli anni d’infanzia, e chi partì
e chi sparì nel sonno, nelle tombe marine,
anche se brami di vedere i corpi amati reclinarsi
sotto le rame rigide dei platani, dove un raggio
nudo di sole s’è posato, e un cane
ha sobbalzato e un battito ha riscosso il tuo cuore,
questa strada non muta: ho serbato la mia vita.
La neve e l’acqua ghiaccia al passo dei cavalli.

Giòrgos Sefèris nella traduzione di Filippo Maria Pontani (dalle Poesie di Giorgos Seferis, Mondadori, Milano, 1963)

Giòrgos Sefèris, poeta di fama internazionale, il nome è lo pseudonimo di G. Seferiadis. Nacque a Smirne nel 1900. Laureatosi in Legge seguì la carriera diplomatica, fu ambasciatore a Beirut (1953-56) e a Londra (1957-62). In Campo letterario esordì nel 1931 con la raccolta ” Svolta “, cui seguirono “ La cisterna “(1932), ” Leggenda“(1935), “Quaderno d’esercizi” (1940), “Giornale di bordo I ” (1940), ” Giornale di bordo II ” (1944), ” Tordo ” (1947), ” Cipro ove l’oracolo …” (1955, divenuta poi Giornale di bordo III ), “Tre poesie segrete ” (1966), Ricevette per la sua attività di poeta numerosi riconoscimenti in patria e fuori fra cui il Premio Nobel per la Letteratura nel 1963 e lauree honoris causa dalle università di Cambridge, Oxoford, Princeton.

La poesia qui pubblicata di Giòrgos Sèferis è stata scelta da Giovanni Ibello.

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