The night is warm and clear and without wind.
The stone-white moon waits above the rooftops
and above the nearby river. Every street is still
and the corner lights shine down only upon the bunched shapes of cars.
You are asleep. And sleep gathers in your room
and nothing at this moment bothers you. Jules,
an old wound has opened and I feel the pain of it again.
While you sleep I have gone outside to pay my late respects
to the sky that seems to gentle
and to the world that is not and that says to me
“I do not give you any hope. Not even hope.”
Down the street there is the voice of a drunk
singing an unrecognizable song
and a car a few blocks off.
Things pass and leave no trace,
and tomorrow will come and the day after,
and whatever our ancestors knew time has taken away.
They are gone and their children are gone
and the great nations are gone.
And the armies are gone that sent clouds of dust and smoke
rolling across Europe. The world is still and we do not hear them.
Once when I was a boy, and the birthday I had waited for
was over, I lay on my bed, awake and miserable, and very late
that night the sound of someone’s voice singing down a side street
dying little by little into the distance,
wounded me, as this does now.
*
La sera è mite e chiara e senza vento.
La pietraluna ci aspetta sui tetti
e sopra il fiume vicino. Ogni strada è silenziosa
e le luci dei semafori brillano sulle forme arpionate delle auto.
Tu dormi. E il sonno si spande nella stanza
nulla in questo momento ti tange. Jules,
si è riaperta una vecchia ferita e io sento di nuovo il dolore.
Mentre dormi sono uscito per porre i miei omaggi tardivi
al cielo che mi sembra così gentile
e al mondo che invece non lo è e mi dice
“Io non ti do alcuna speranza. Neanche la speranza”.
In fondo alla strada la voce di un ubriaco
che canta una canzone incomprensibile
e un’auto, qualche isolato più in là.
Le cose passano senza lasciare traccia.
E domani arriverà e il giorno dopo ancora
e qualunque cosa i nostri antenati sapessero il tempo l’ha portata via con sé.
Sono andati via e sono andati i loro figli
e le grandi nazioni con loro.
Sono spariti gli eserciti che hanno mosso banchi di polvere e fumo
in Europa. Il mondo è silenzioso e noi non l’ascoltiamo.
Una volta, quando ero ragazzo, e il compleanno che avevo aspettato
era finito, ero steso sul letto, sveglio e triste, e molto tardi
quella stessa notte, il suono di una voce che cantava in fondo alla strada,
morendo poco a poco in lontananza,
mi ferì, proprio come fa quest’ora.
Mark Strand (1934-2014) è stato uno dei più autorevoli poeti statunitensi. È vissuto a New York, dove ha insegnato alla Columbia University. In Italia, oltre alle plaquette per le Edizioni “L’Obliquo” sono disponibili tre antologie delle sue poesie: “L’inizio di una sedia”, Donzelli, 1999; “Il futuro non è più quello di una volta”; Minimum fax, 2006; “L’uomo che cammina a un passo avanti al buio, Poesie 1964-2006”, Oscar Mondadori, 2011 con traduzione di Damiano Abeni. È altresì disponibile un volume di scritti d’arte (“Edward Hopper – Un poeta legge un pittore”, Donzelli 2003) e la favola “Il pianeta delle cose perdute”, Beisler 2002. Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Pulitzer per la poesia con “Blizzard of One”.