Gian Mario Villalta, “Nel lembo del tempo”

Gian Mario Villalta credits ph Dino Ignani

È l’ora, soddisfatte le ombre,
e con il vento
volato via lo sguardo
dalle sedie sul prato,
dal pensiero della fatica che è stata la sera.

Stai su un lembo del tempo
non è più la terra
dove sei nato,

porti il fiato sul vetro
e la luce attraverso ti fa di cera.
Dove hai le mani, tu vedi

stasera
il viso che chiudi nei palmi
in attesa di un grido, la sete

di animale notturno.

*

L’ombra della voce si assottiglia.

Giorno dopo giorno l’incertezza
raschia i margini a ogni parola.

Tu sai quanto distante è sempre stato
per me il presente, per desiderio matto
dell’adesso, per timore che il prendere
tutto, tutto in una volta, mi perdesse.

Il dopo giorno sfasa il sincrono
degli occhi e delle labbra.

*

fermi i colori fuori, tutti i pensieri
smentiti dall’altoparlante

il cielo vuoto porta via i giorni dove eravamo

e gli alberi c’erano sempre stati, sempre stata
la primavera, non ti chiedevi se ancora, per quanto,
se sarà mai, se mai era stato vero

devo dirti che ho paura e non so come
perché là fuori c’è il tempo, là fuori, e qui mancano istanti
alle ore

*

“L’inferno sono gli altri”
J. P. Sartre

Solo nell’auto tra i campi (uscito a comprare cibo)
ho fatto un giro largo
per le stradelle: nessuno. Un deserto fiorito
di case belle, lussuose di erbe e di acqua veloce.
Solo io ancora vivo: che inferno
sarebbe? Io, prigioniero di tanto bendidio.

La parola ancora, percepibile
al tatto, torna al mittente
a occhi chiusi

(gli altri sono anche l’inferno, sì, sono
anche tutto, però).

LA SCUOLA. IL SOLCO DELL’EMERGENZA

E’ ancora lontano il tempo di valutare le conseguenze del coronavirus, e verrà dopo la fine della pandemia. Al momento, infatti, possiamo parlare di reazioni, di indirizzi, di aggiustamenti e tendenze, ovvero di qualcosa che è ancora montalianamente “nel solco dell’emergenza”. Pur tuttavia, abbiamo imparato che un’“emergenza” merita sempre di essere considerata tra appuntite virgolette, perché è una parola falsamente al singolare (una emergenza, ne fa sempre scaturire molte altre) e si potrebbe pure inventare un termine dicendo che è criptosemica, perché nasconde tante altre parole pronte a balzare fuori a seconda di come andranno le cose e di come la direzione presa dai cambiamenti sarà economicamente e politicamente sfruttabile. Ronza infatti per il capo una wikiquote attribuita a Jacob Rothschild: “Quando il sangue scorre per le strade è il momento di comprare”.

Forse però su qualche argomento ci si può già soffermare e per quanto mi riguarda uno dei più bisognosi di seria discussione sarebbe quello della scuola. Scrivo “sarebbe” e forse avrei fatto meglio a scrivere “sarebbe stato”, e fors’anche faremmo meglio a pensare che questo “sarebbe stato” lo possiamo usare al presente per sempre, oramai, anche al futuro, quando si parla dell’istruzione. Aggiungo: quando si parla dell’istruzione nel nostro Paese, “sarebbe stato” sempre meglio approfondire senza fare confronti a vanvera con altri Paesi dove le condizioni generali sono diverse dalle nostre, come invece si fa di solito, ogni volta considerando un singolo aspetto e non il quadro completo.

Ci si è felicitati per il successo ottenuto nell’arginare il coronavirus con il “distanziamento sociale”. Ebbene, se c’è un dio della lingua, c’è anche un demone che vi si nasconde. Infatti, per quanto riguarda l’istruzione il “distanziamento sociale” ha avuto un grande successo: chi ha potuto usufruire di privilegi economici, culturali e ambientali ha lasciato molto più indietro quelli che già pativano disagi. I mezzi tecnici adeguati, la maturità culturale e tecnologica della famiglia con la quale gli studenti si sono trovati rinchiusi, i metri quadri a disposizione per il numero di persone impegnate in varie attività domestiche, la condizione di stress relativa alla situazione economica, sono solo alcuni aspetti (altri se ne potrebbero aggiungere) del diverso modo in cui la DAD (didattica a distanza) può essere affrontata. Lasciamo perdere le assurdità tipiche della nostra scuola: si dichiara a marzo che gli alunni saranno tutti promossi; ai primi di maggio, con tre settimane di scuola ancora davanti, si pretendono verifiche e voti, ogni giorno modificando le indicazioni per le prove e le valutazioni. Nulla di nuovo: è da tempo che si dice intorno al 10 di giugno a un certo numero di alunni che non sono idonei a frequentare l’anno successivo e poi, con un colloquio di dieci minuti, un mese dopo ecco che lo diventano (in piena estate!): che cos’ha quel mese tra giugno e luglio di così miracoloso da riuscire a ottenere dagli studenti quello che non hanno saputo dare nei nove mesi precedenti?

La questione è semplice: alle famiglie interessa che i figli siano promossi, non importa come, e che stiano a scuola (dall’infanzia alla quinta superiore) perché altrimenti non sanno dove sistemarli; alla politica interessa il minimo consenso elettorale (il massimo lo si ottiene su altri fronti, visto che l’istruzione non smuove veramente nessuno, se non come custodia della prole e assegnazione di un titolo). Perciò non c’è e non ci sarà neppure uno dei veri necessari cambiamenti per l’intero sistema dell’istruzione, ma solo aggiustamenti di nessun conto, un passo avanti uno indietro, uno a destra e uno a sinistra, come avviene da decenni. D’altra parte, chiunque volesse seriamente mettere mano alla scuola nel suo insieme, si troverebbe ad affrontare una parte di quello che è il vero grande problema nazionale: la pubblica amministrazione, i suoi assurdi ingranaggi, i suoi privilegi, i suoi sprechi. Si potesse portare a decente funzionamento razionale la pubblica amministrazione, tutti gli altri problemi del Paese apparirebbero meno enormi. Per quanto riguarda la scuola, inutile ricordare l’inanità degli apparati di fronte al fatto che ogni scuola fa storia a sé perché la devono fare come possono la dirigenza, gli insegnanti e il corpo non docente. Apparati che producono il nulla e lo fanno applicare a persone che hanno un lavoro quotidiano da fare per una quantità di futuri cittadini, prima di tutto formarli. Preciso: non è una questione di singoli e della loro serietà o competenza, è il sistema che non è in grado né di governare la vita scolastica né di permetterle alcuna libertà, sprecando le poche risorse che lo stato si degna di destinare.

A proposto di risorse e opportunità. Prima di inneggiare ai brillanti risultati della DAD (didattica a distanza) la scuola dovrebbe accertarsi che tutti abbiano strumenti adeguati, almeno quello, anche se di certo non basta. E’ evidente che l’insegnamento è un’altra cosa dalle videolezioni e dalle verifiche-lampo a cronometro, come però è vero che l’impiego degli strumenti elettronici ormai in uso nella vita quotidiana e nel lavoro ordinario deve diventare normalità per la scuola. Sotto quest’ultimo aspetto, l’accelerazione tecnologica imposta dal coronavirus è da valutare positivamente e da correggere al miglior fine. Non deve però trasformare l’insegnamento in un banale susseguirsi di prestazioni, né deve impedire quello che la scuola è stata e deve essere: uno strumento di umanità e di speranza sociale. Senza questi ultimi requisiti non ha senso infatti che lo stato si impegni più di tanto. E’ sufficiente che risponda alle richieste che riguardano la situazione occupazionale degli aspiranti a un “posto” di docente o di non docente nella scuola, e che trovi il modo di tenere impegnati i figli degli italiani che hanno sempre altro da fare.

2 pensieri su “Gian Mario Villalta, “Nel lembo del tempo”

  1. Si può anche aggiungere che i nostri insegnanti, compreso il sottoscritto, sono stati costretti a familiarizzarsi molto di più con alcuni aspetti della tecnologia. E il corpo docente ha fatto un balzo in avanti impressionante di competenza in questo campo. Da questo punto di vista l’emergenza ha avuto un effetto positivo.

  2. Sfaccettata, perspicua, Irreprensibile la riflessione sull’impatto dell’emergenza sul nostro già da tempo rattoppato sistema scolastico. E in particolare sulla ben diversa efficacia della didattica a distanza, in funzione della disparità tecnico-economica dei nuclei familiari dei discenti. Non si può che concordare (e rattristarsi). Ma leggendo il commento precedente di Vincenzo Fano, mi rendo conto che questo è stato anche un proficuo stress test per il corpo docente. E mi sorge spontanea una domanda: di fronte a una emergenza pandemica come questa, non si dovrebbe pensare a costruire una costellazione degli stress test implicati, ossia una vera e propria fenomenologia dell’evento. …A ciò si spera che “Catena umana” stia dando il suo contributo.

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