di
BRUNELLA ANTOMARINI
Il grande è importante, il piccolo tende all’irrilevante. Il tempo è tanto più grande quando prosegue all’infinito e l’eterno è la sua massima iperbolica estensione. L’istante invece non è nemmeno immaginabile. Nelle tre religioni monoteistiche la divinità è grande. Fa sentire la sua ala protettiva.
L’estensione dà continuità alla psiche che si affida al prima e al dopo nel cui fluire ogni cosa che accade è successiva, lineare, strutturata. Poi c’è uno strappo. E lo shock. Lo stato di shock rovescia quella percezione delle cose.
Nel discontinuo improvviso che accade, il prima e il dopo vengono risucchiati in un tempo del momento, un inconcepibile attuale. Un eterno ora.
Inutile guardare all’indietro e cercarne cause generali e le ipotetiche cause occasionali che si immaginano restano alibi.
Inutile cercare di anticipare quello che accadrà dopo, perché è del tutto incerto. Le statistiche che provano a prevederlo, cambiano a seconda di minimi scarti contingenti, lievi modifiche quotidiane di pesi; viste tutte insieme si avvicinano all’equiprobabile. Si sovrappone catastrofe a risoluzione, prossimità di morte a istinto di sopravvivenza.
Chi cresce in stato di guerra è abituato a questo stato vulnerabile e a questa logica non-binaria e potrebbe dare consigli a chi viveva nella bolla dell’esteso prevedibile, nel privilegio della continuità. Ma quello è stato considerato piccolo e irrilevante da questo. Ma nel piccolo è la visione, dice il Tao. Basta un istante e il minuscolo simultaneo sfugge al controllo e si installa ovunque, prende tutto lo spazio che può e si trasforma nell’immenso ma senza sovrastare e provvedere come il dio onnipotente, anzi mangia da dentro prede enormi come mondi.
Diventa un dio molteplice e senza identità che si possa pregare, senza vita sua ma con un meccanismo di auto-replicazione, si cela anche ai microscopi più potenti, non distrugge la preda e se lo fa, muta per trovarne altre da tenere in vita e usarle. Questo dettaglio nelle macchine infinite che sono gli organismi, il divino automa teleologico, ci indica la via della giustizia.
La trovo un’idea estremamente suggestiva, tra epistemologia e teologia: l’evocazione di un dio delle piccole cose che scompagina nell’attimo i grandi piani della storia. L’incommensurabile nel cuore della misura. E mi viene di chiedere se questo “dio del momento passeggero”, epistemologicamente appunto, non abbia qualcosa a che fare con il numero irrazionale, infinitesimo, cioè anche con la nozione di infinito attuale in matematica.