Apri gli occhi e resisti

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

Non è operazione semplice l’approntare una monografia — di sicuro rigore scientifico — su un autore vivente. Il curatore e critico, in questo senso davvero militante, scommette con assoluta certezza sulla solidità della voce poetica o letteraria presa in esame. Intuisce, sa già che essa è, per così dire, un classico e gioca d’anticipo, batte vie interpretative inedite, osa su un campo non del tutto solcato, servendosi per altro di una bibliografia (giocoforza) ancora incompleta. Un’operazione coraggiosa, eppure necessaria se riguarda una poetessa del calibro di Antonella Anedda, la cui opera in versi e in prosa è rivisitata con stupefacente chiarezza interpretativa da Riccardo Donati nel volume Apri gli occhi e resisti, composto di dieci capitoli che affrontano l’intero universo aneddiano entrando nel solco di alcuni essenziali prolegomeni di poetica.

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La nettezza della lirica di Anedda parte infatti da un lévinasiano «spazio per l’autentico» che invita all’apertura, a «farsi “pellegrini del linguaggio”» rinnovando «l’idea romantica del poeta come wanderer ma soprattutto quella, medievale e dantesca, dell’homo viator». La visione delle cose, in particolare degli oggetti, rasenta la purità dello sguardo.

Di qui la povertà (anche epistemologica, e dunque à la Jaccottet, vero e proprio maître de poésie), la pietas, il resistere — donde il richiamo al titolo e ai versi «di chi apre gli occhi e resiste» —, di qui la vocazione appunto all’autenticità, all’Eigentlichkeit che pervade le linee della poetessa romana. «A cosa mira, quando parla, questa voce? — prosegue Donati — Certamente non a sedurre né a consolare, producendo, come fa la letteratura dozzinale, identificazione emotiva. Non perché sia algida e distaccata, tutt’altro, ma perché le emozioni che porta sulla pagina si sottraggono al vacuo circuito tautologico di confermare sé stesse, configurandosi semmai come tappe — ancora l’immagine del pellegrino che avanza con passo purgatoriale — di un arduo percorso di incremento cognitivo ed etico». Siamo dinnanzi a una poesia fortemente contraddistinta, come quella di Seamus Heaney ad esempio, da un impulso di conoscenza ed ethos, comprensione e integrità.

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Spalmata lungo l’arco del trentennio 1989-2019 — e dunque ancora in fieri —, l’opera di Anedda si muove tra lontananza (Residenze invernali, Crocetti 1992), santità (Tre stazioni, Lietocolle 1996), percezione del tempo (Cosa sono gli anni, Fazi 1997), resistenza della letteratura (Nomi distanti, Empirìa 1998), violenza della storia (Notti di pace occidentale, Donzelli 1999), ricordo (La luce delle cose, Feltrinelli 2000), sentimento ambivalente della vita (Il catalogo della gioia, Donzelli 2003), necessità di un “noi” (Dal balcone del corpo, Mondadori 2007), presenza dell’arte (La vita dei dettagli, Donzelli 2009), invecchiamento (Salva con nome, Mondadori 2012), diario di viaggio (Isolatria, Laterza 2013) e fine della storia (Historiae, Einaudi 2018).

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È evidente come l’esperienza del reale indossata da Anedda tenda alla totalità delle percezioni: Donati si spinge oltre, cercando di cogliere il cuore della sua interrogazione poetica e richiamandosi a Nancy e ad altri modelli ermeneutici. «Il lavoro di Anedda procede sempre più verso una quieta teoria del caso, antifinalistica, anti-antropocentrica e a suo modo liberatoria. La lucida, ferma ma non disperata consapevolezza del nostro destino di dissipazione e trascurabilità potrebbe anche essere l’ultimo possibile orizzonte di senso e il motore di una nuova coscienza etica, purché arte della memoria e arte dell’oblio non si disgiungano, ma convivano in un’aperta dialettica». Dietro alle preoccupazioni concettuali sorge la chiara domanda formale, e fondamentale diviene anche la lingua/limba, «strumento ambiguo e tagliente» attorno al quale la poetessa suscita una «forza che unisce e divide, genera ferite e ne riapre di vecchie». Legato persino all’esercizio del potere, il linguaggio — a metà tra la falsificazione di Pessoa e la sorgività di Luzi — è qualcosa con cui si lavora «dentro, contro e malgrado». Fino alla creazione di una limba aspra, piena di consonanti, arida di aggettivi. Verso l’autentico.

 

Riccardo Donati, Apri gli occhi e resisti. L’opera in versi e in prosa di Antonella Anedda, Carocci, pp. 120, € 15.

 

Antonella Anedda è nata a Roma, dove vive. Tra le sue raccolte di poesia: Residenze invernali (Crocetti 1992), Notti di pace occidentale (Donzelli 1999), Il catalogo della gioia (Donzelli 2003), Dal balcone del corpo (Mondadori 2007), Salva con nome (Mondadori 2012). In prosa ha pubblicato Cosa sono gli anni (Fazi 1997), La luce delle cose. Immagini e parole nella notte (Feltrinelli 2000), La vita dei dettagli (Donzelli 2009) e Isolatria. Viaggio nell’arcipelago della Maddalena (Laterza 2013). Le sue traduzioni di poeti classici e moderni sono pubblicate in Nomi distanti (Empirìa 1998). Per Einaudi ha pubblicato la raccolta di poesie Historiae (2018).

 

Riccardo Donati, docente e saggista, si occupa di letteratura euro-americana dal Settecento a oggi, con particolare attenzione ai rapporti tra scrittura e cultura visuale. Tra le sue pubblicazioni: Nella palpebra interna. Percorsi novecenteschi tra poesia e arti della visione (Le Lettere, 2014), Critica della trasparenza. Letteratura e mito architettonico (Rosenberg & Sellier, 2016), La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione (Duetredue, 2017). Nel 2013 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio della Fondazione “Giuseppe Borgia” per i suoi contributi sulla poesia.

 

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