In un’intervista rilasciata il 27 ottobre 2018 al quotidiano The Guardian, per presentare al pubblico di lettori la sua raccolta di poesie, intitolata Sincerity, Carol Ann Duffy spiegava la scelta del titolo dato all’opera che sarebbe stata pubblicata qualche settimana dopo e che è stata l’ultima alla successiva conclusione del ciclo decennale del suo mandato di Poet Laureate del Regno Unito che le era stato conferito il 1 maggio 2009: “Mi piace la parola ‘sincerità’, nel senso di parlare e comportarsi secondo le proprie convinzioni e i propri pensieri e sentimenti”. Inoltre la poetessa si
dichiarava ispirata anche dalla versione etimologica del termine, mutuata dalla vulgata, riferita alla pratica adottata da scultori mediocri e maldestri, ai tempi dell’antica Grecia e di Roma, nel tentativo di coprire con la cera, pecche e imperfezioni altrimenti visibili sulle proprie sculture. Da qui, appunto, il significato popolare del termine “sincerità”, dal latino sine cera, ossia senza cera, quindi genuino, autentico, non falso.
(Dall’introduzione di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera)
Clerk of Hearts
As they step from the path onto the boats,
I am there at my place under the trees,
listing the Categories. Humility. Shame.
My dealings with life have been so long ago,
I imagine I resemble shadow or watermark.
I am unanswered prayer, like poetry. Dread.
Whatever I did – it might have been that – now,
I watch each one depart, perceive their hearts;
old diaries I read at a glance. Acceptance. Disdain.
They will forget, but I take Time, devoted,
clerk of hearts. Sometimes I stand on the bridge
as they drift away, being more and more dead…
a kingfisher arrowing upriver, joy as colour;
then thunder above, a boiling of last words,
and their crafts vanishing into the heavy rain.
Addetto ai cuori
Mentre salgono sulle barche, dal sentiero,
io sono lì al mio posto sotto gli alberi,
a elencare le Categorie. Umiltà. Pudore.
Le mie pratiche con la vita sono state sbrigate tanto tempo fa,
immagino di somigliare all’ombra o alla filigrana.
Sono una preghiera non esaudita, come la poesia. Terrore.
Qualunque cosa abbia fatto – può essere stato quello – ora
le osservo tutte andar via, percepisco i loro cuori;
vecchi diari letti in un batter d’occhio. Accettazione. Disprezzo.
Dimenticheranno, ma prendo il Tempo, devoto,
addetto ai cuori. A volte sosto sul ponte
mentre se ne vanno alla deriva sempre più morte…
un martin pescatore sfreccia controcorrente, gioia come colore;
poi un tuono in alto, un ribollire di ultime parole,
e le loro barche svanire nella pioggia fitta.
The Rain
That time will come
when it starts to rain
in your quiet room,
grief researching you;
its curious, small thumbs on your closed eyes,
on your pulse;
or smudging the ink of this,
or dipping into that glass of wine.
The moment stammers.
Too intimate,
relentless biographer
poring over your ruined books,
persistent, till every surface is soaked
as though you lamented, night and day,
for a lifetime;
or were penned, invented.
Leave the room to the rain…
the clock’s hands float
on its drowned face
and photographs swim from their frames
and hours are sorrow, rain, rain, sorrow…
why climb the stairs to lie down there,
be drenched, tasted, known
by the pitiless rain?
You have dead parents.
La pioggia
Verrà quel tempo
quando comincerà a piovere
nella tua quieta stanza,
il dolore in cerca di te;
i suoi curiosi piccoli pollici sui tuoi occhi chiusi,
sul tuo palpitare;
o imbrattando l’inchiostro, qui,
o gocciolando nel bicchiere di vino.
Il momento farfuglia.
Troppo intima,
biografa incessante
sei immersa nei tuoi libri logori,
persistente, finché ogni superficie è fradicia
come se ti lamentassi, notte e giorno,
per tutta la vita;
o fossi scritta, inventata.
Lascia la stanza alla pioggia…
le lancette dell’orologio fluttuano
sul quadrante affogato
e le foto nuotano via dalle cornici
e le ore sono dolore, pioggia, pioggia, dolore…
perché salire le scale per coricarsi là,
inzuppata, assaporata, conosciuta
dalla pioggia spietata?
Hai i genitori morti.
Dark School
It is late when you enter the classroom,
the last of the Latin words going out on the board.
You take your place at the back,
dip your first real pen into blue-black ink.
Your jotter is dusty pink.
You rule a margin, one inch wide,
then write what you must not do,
but did, in a careful, legible list.
You memorise this, stand up,
recite in word-for-word to the shadowy desks.
The tall windows, guilt-ridden, fill with night.
But you can see in this blurred air,
your carved initials soft scars on the wood,
and when you open the lid of your desk
there are your books, condition fair,
your difficult lessons.
Dark school. You learn now – the black paintings
in their charred frames; the old wars;
the voiceless speeches in the library,
the fixed equations – ab invito.
Above the glass roof of the chemistry lab,
insolent, truant stars squander their light.
Scuola buia
È tardi quando entri in classe,
l’ultima delle parole in latino deborda dalla lavagna.
Prendi posto in fondo,
intingi la tua prima penna nell’inchiostro blu scuro.
Il tuo blocknotes è rosa spento.
Tracci un margine, largo un paio di centimetri,
poi scrivi quello che non dovevi fare,
ma hai fatto, in una lista accurata, leggibile.
La mandi a memoria, ti alzi,
la reciti parola per parola ai banchi nell’ombra.
Le alte finestre, tormentate dalle colpe, colme di notte.
Ma in quest’aria offuscata, riesci a vedere
le tue iniziali incise, graffi sottili sul legno,
e quando alzi il piano del banco
ci trovi i tuoi libri, in condizioni discrete,
le tue lezioni difficili.
Scuola buia. Impari adesso: i dipinti neri
nelle cornici scurite; le vecchie guerre;
i discorsi senza voce nella biblioteca,
le equazioni fisse – ab invito.
Sopra la tettoia di vetro del laboratorio di chimica,
stelle insolenti, bigianti, dissipano la loro luce.
Da “Sincerità” di Carol Ann Duffy, a Cura di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera (Ladolfi editore 2020)