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accurrìti accurrìti gente
me figghia me figghia
portate una scala
me figghia
’na scala ’na scala
pigghiate me figghia
accurrìti accurrìti
u focu u focu
sa mancia
viva
a fini du munnu
a fini da so vita
viniti curriti
’na scala
tièniti tièniti
figlia
***
scanto
scanto grande
e mascelle serrate
narici aperte per assecondare il respiro
strette le chiappe per darsi un contegno
molli le gambe nel sobbollimento
di terra e mare
e gli occhi aggrottati
nel boato
finita
è finita la vita
ma riprende a fiatare
disserra la bocca
si tocca la testa
con due dita si carezza le guance e trema
non sa cosa c’è dietro la porta
di lì è passata la morte
***
impazzirono
e avevano sete
e non avevano acqua
e nudi correvano
alle finestre senza vetri
al balcone franato
con gli occhi insanguinati
in pianto
Laureata in Lettere classiche a Messina, Jolanda si trasferisce a Roma dal 1968, dove trascorre tutta la vita. Insegnante di lettere i vari licei, pubblica il primo libro di poesie a a 40 anni, nel 1977, con Giovanni Raboni, con “Sciarra amara” per “Guanda” raccolta in versi che si apre con la poesia “Pupara sono”: una sorta di manifesto stilistico ed esistenziale in cui la poesia si mescola con il teatro e l’opera dei pupi, fra espressioni popolari e dialetto siciliano, invettive e sberleffi, sempre in bilico tra l’ironia e il dramma.
Nel 2002 vince il Premio Viareggio per la poesia con “La stortura”, mentre nel 2007 viene pubblicata per Garzanti l’opera omnia, con l’aggiunta del poemetto “La bestia clandestina”. Muore a Roma il 27 ottobre del 2016, all’età di 79 anni.