COMMENTO DI FABRIZIO FANTONI
La pubblicazione, dell’intera opera poetica di Leonardo Sinisgalli – “TUTTE LE POESIE” a cura di Franco Vitelli, Mondadori 2020- offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni sui primi componimenti poetici dell’autore.
Era il 1936 quando, presso l’editore Scheiwiller, uscì quello che possiamo considerare il libro di esordio di Leonardo Sinisgalli intitolato “18 poesie”.
Poesie intense e sorprendenti che Giuseppe Ungaretti definì “spirituali, gentili, bellissime uscite dal segreto della sensazione […] per alzarsi al volo dell’unica realtà poetica quella del sentimento”.
Nucleo tematico della raccolta è il sentimento di nostalgia del poeta che si trova a vivere lontano dalla terra dove ha trascorso la fanciullezza, vista come un’età felice e irrimediabilmente perduta.
Chiuso nel suo esilio, al poeta non resta che cercare rifugio nella sua “storia più remota” per ritrovare se stesso nel ricordo dell’infanzia inquieta che riaffiora “luminosa a mani lisce”.
Sinisgalli è l’iniziatore di una lunga tradizione di poeti meridionali – da Scotellaro a Trufelli, da Parrella a Stolfi- che avendo conosciuto l’esperienza dello sradicamento riportano nei loro versi il ricordo di paradisi lontani “quando bimbi si dormiva sulle aie o sull’orlo di pozzo odorosi d’erbe e di lune”.
Nei versi di Sinisgalli il sentimento della nostalgia si rapprende nella simbologia della “luce”, che il poeta declina in vari modi: è la luce “gridata a perdifiato” della spensieratezza, è la luce calda del meridione che si contrappone al grigiore di una quotidianità spesa in una nebbiosa città di pianura, è,infine, la luce che da forma all’insopprimibile “vocazione ad esistere” del poeta, la “brama di cercar[si] in ogni luogo”.
La poesia di Sinisgalli è, come scrive Zanzotto, “profondamente connaturata alla bellezza e al dolore del Sud”; il poeta non ignora la forte decadenza di una terra che dallo splendore della Magna Grecia sprofonda in una progressiva povertà,ma al contempo, riconosce in questa landa arcaica e violenta il luogo in cui dimora la poesia.
Si legga, al riguardo, lo splendido componimento intitolato “Vidi le Muse” in cui la Valle dell’Agri si fa teatro dell’incontro con le Muse. Non già le auliche ed arcadiche figure che circondano Apollo sul Parnaso nell’affresco di Raffaello. Le Muse di Sinisgalli sono terragne ed ironiche: appollaiate tra le foglie di una quercia, gracchiano e mangiano ghiande come cornacchie.
In questa demitizzazione della figura del poeta ispirato poco importa se il messaggio di queste inaspettate Muse sia un lontano gracchìo, ciò che conta, come scrive Ramat, è “che le Muse si siano mostrate: qui è la conferma della vocazione, la conferma del poeta”.
Voglio congedarmi dai lettori con una prosa, tratta dalla raccolta “L’età della luna”, e intitolata “Torre del Greco” in cui viene evocato un luogo a me particolarmente caro: la Villa delle Ginestre dove soggiornò, nei suoi ultimi giorni di vita, Giacomo Leopardi.
All’odierno visitatore la casa di Leopardi appare nella stessa semplicità in cui la vide Sinisgalli nel lontano 1962: una piccola costruzione bianca dominata alle spalle dal cono del Vesuvio ed esposta, in facciata, alla brezza che spira dal golfo. All’interno la camera del poeta si mostra in tutto il suo aspetto dimesso con i poveri mobili e, in un angolo, il letto dall’armatura in ferro, che ai miei occhi parve, la prima volta che lo vidi, una reliquia commovente ed evocativo quanto le impalcature usate da Michelangelo per affrescare la Sistina.
In quell’umile cameretta di pochi metri quadri – “il rifugio di un suicida” la chiama Sinisgalli – si condensano la grandezza ed il dolore del Sud Italia, la sua capacità di creare bellezza e la sua inesorabile attrazione verso lo sconquasso dell’uomo miserabile.
_________
La luce era gridata a perdifiato
Le sere che il sole è basso
Arrossava il petto delle rondini rase.
Ora e sempre più vivaa
Sarà la smania di far notte in me solo
E cercar scampo e riposo
Nella mia storia più remota.
Ogni sera mi vado incontro a ritroso.
****
I fanciulli battono le monete rosse
Contro il muro.( Cadono distanti
Per terra con dolce rumore.) Gridano
A squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
E dolcissime ingiurie. La sera
Incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all’altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
La sua mano vittoriosa.
***
Mi difendo a questa raffica
Che spolvera la luce della piazza
Sulle cime dei pioppi.
Nel debole riverbero uno stormo
Di foglie risale il ciglio della murata.
Batte qui dove mi duole
Questa voce tutta notte:
Mi ritorna la triste
Vocazione ad esistere,
La brama di cercarmi in ogni luogo.
***
VIDI LE MUSE
Sulla collina
Io certo vidi le Muse
Appollaiate tra le foglie.
Io vidi allora le Muse
Tra le foglie larghe delle querce
Mangiare ghiande e coccole.
Vidi le Muse su una quercia
Secolare che gracchiavano.
Meravigliato il mio cuore
Chiesi al mio cuore meravigliato
Io dissi al mio cuore la meraviglia.
***
TORRE DEL GRECO
L’hanno lasciata quasi intatta a Torre del Greco la stanza di Leopardi, l’armatura di ferro del letto, la polverina nella scrivania. In confronto alla Reggia di Recanati questa cameretta sembra il rifugio di un suicida. Il Poeta aveva stando seduto il Vesuvio alle spalle e intorno, sulle pendici del vulcano sino al mare, vigne e aranceti. Lungo il viottolo che dalla strada porta all’ingresso della villa, cresce d’estate un’ erbaccia che, a scuoterla, esala un triste fetore (i circumvesuviani chiamano, questa canna malsana, fetienta).
_______________
Leonardo Sinisgalli nasce a Montemurro, Potenza, 1908 – Roma 1981. Laureato in ingegneria, fu poeta, narratore, saggista, critico d’arte, traduttore, art director, autore di documentari e programmi radiofonici, disegnatore. Fondò importanti house organ e fu responsabile della pubblicità per i maggiori gruppi industriali dell’Italia del miracolo economico, dalla Olivetti all’Alfa Romeo, passando per Pirelli, Finmeccanica, Eni e Alitalia.