Cesare Pavese, una poesia

Cesare Pavese

INCONTRO

Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.

L’ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell’ombra, e d’un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.

Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, e pensarla, un ricordo remoto
dell’infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino, Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l’alba su queste colline.

L’ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

In questa poesia di Cesare Pavese, vi è l’incontro e il rifiuto della terra natale, Santo Stefano Belbo sulle colline delle Langhe piemontesi.
Una terra “necessaria” per lo scrittore e il poeta che resta sempre in rapporto con i suoi luoghi d’origine, a volte rinnegati, altre rifiutati.
In questi versi emerge l’emozione del poeta nel riportare alla memoria le radici, i luoghi dell’infanzia nel quale è tornato. Luoghi che forse conservano il segreto di qualcosa.

Così scriveva Pavese a Fernanda Pivano nel giugno del 1942: “Sempre, ma più che mai questa volta, ritrovandomi davanti e in mezzo alle mie colline mi sommuove nel profondo. Devo pensare a immagini primordiali come a dire l’albero, la casa, la vite, il sentiero, la sera, il pane, la frutta mi si sono dischiuse in questi luoghi […]”

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