Le colombe di Damasco, Kate Clanchy e Giorgia Sensi



COMMENTO DI GIORGIA SENSI

“Le colombe di Damasco”, poesie da una scuola inglese, Edizioni LietoColle, 2020 è la versione italiana, cura e traduzione di Giorgia Sensi, di un’antologia di poesie scritte da studenti con un’età compresa tra gli undici e i diciotto anni, e tutti nella stessa piccola scuola inglese, Oxford Spires Academy.

Il titolo dell’antologia inglese è “England: Poems from a School”, Picador, 2018. La curatrice, la poeta Kate Clanchy, ha lavorato nella scuola come Writer in Residence per circa otto anni. Tutti i ragazzi inclusi nell’antologia vengono da famiglie di migranti, e parecchi sono rifugiati. Oxford Spires Academy, inoltre, nonostante il nome ambizioso, non è una scuola selettiva, per privilegiati; è una normale scuola secondaria superiore “comprehensive” sita nella zona est di Oxford: un agglomerato industriale, povero, di urbanizzazione selvaggia, ben lontano dalle famose guglie.

L’originale inglese ha avuto un’accoglienza eccezionale nel Regno Unito, sia dalla stampa nazionale sia dalla critica sia dal pubblico.
Si spera fortemente che questo sia, come è giusto, un libro di grande impatto anche in Italia.

A testimonianza dell’impegno umanitario sollecitato da questo libro, l’editore LietoColle, Michelangelo Camelliti, e la sottoscritta hanno deciso di donare i proventi di ogni copia di Le colombe di Damasco, poesie da una scuola inglese, a UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, sezione italiana.
Qui se ne presenta una piccola selezione.

I Want a Poem

I want a poem
with the texture of a colander
on the pastry.

A verse
of pastry so rich
it leaves gleam on your fingertips.

A poem
that stings like the splash of boiling oil
as you drop the pastry in.

A poem
that sits on a silver plate with
nuts and chocolates, served up to guests who
sit cross legged on the thoshak.

A poem
as vibrant as our saffron tea
served up at Eid.

Let your poetry
texture the blank paper
like a prism splitting light.

Don’t leave without seeing all the colours.

Shukria Rezaei (18)

 

*

Voglio una poesia

Voglio una poesia
con i ghirigori di un colino
sulla sfoglia.

Versi
di pasta così burrosa
da fare lustri i polpastrelli.

Una poesia
che bruci come la goccia d’olio bollente
mentre butti la sfoglia.

Una poesia
disposta su un vassoio d’argento con
noci e cioccolatini, da offrire agli ospiti
seduti a gambe incrociate sul thoshak.

Una poesia
stimolante come il nostro tè allo zafferano
servito a Eid.

Che tutta la tua poesia
dia alla pagina bianca la forma
di un prisma che rifrange la luce.

Non andartene senza averne visto tutti i colori.

 

*

War Memoir

I was five years old,
hiding under the bed,
listening to the footsteps
of approaching soldiers
who had weapons
that could tear my limbs
like a lion’s jaw.

But I was strong.
I breathed in the dusty air
and screamed ‘STOP THE WAR!’

I may have been small
but when trapped
between the claws of war
my voice could soar:
sound like the bangsand cracks
spat by the tongues of fireworks;

And when I ran
away from their biting guns,
my feet could dance,
skim above rose petals
dripping from my toes.

Azfa Awad (18)

*

Memoriale di guerra

Avevo cinque anni,
nascosta sotto il letto,
ascoltavo i passi
dei soldati che si avvicinavano,
che avevano armi
che potevano farmi a pezzi
come le fauci di un leone.

Ma ero forte.
Inspirai quell’aria polverosa
e gridai ‘BASTA GUERRA!’

Sarò stata piccola
ma se intrappolata
tra gli artigli della guerra
la mia voce sapeva librarsi:
suonare come i botti e gli schiocchi
sputati dalle lingue dei fuochi d’artificio;

E mentre scappavo
dal morso dei fucili,
i miei piedi sapevano danzare,
correre sopra i petali di rosa
che grondavano dalle mie punte.

*

The Doves of Damascus

I lost my country and everything I had before,
and now
I cannot remember for sure

the soft of the snow in my country,
I cannot remember
the feel of the damp air in summer.

Sometimes I think I remember
the smell of jasmine
as I walked down the street.

And sometimes autumn
with its orange and scarlet leaves
flying in the high Damascus sky.

And I am sure I remember
my grandmother’s roof-garden,
its vines, its sweet red grapes,

the mint she grew in crates for tea.
I remember the birds, the doves
of Damascus. I remember

how they scattered.
I remember
trying to catch them.

Ftoun Abou Kerech (14)

*

Le colombe di Damasco

Ho perso il mio paese e tutto ciò che avevo prima,
e ora
non sono sicura di ricordare

la morbidezza della neve nel mio paese,
non ricordo
di cosa sa l’aria umida d’estate.

A volte mi sembra di ricordare
il profumo del gelsomino
mentre camminavo per la strada.

E a volte l’autunno
con le sue foglie arancio e scarlatte
che volavano alte nel cielo di Damasco.

E sono sicura di ricordare
il giardino pensile della nonna,
le vigne e l’uva rossa, dolce,

la menta per il tè che lei coltivava in cassette.
Ricordo gli uccelli, le colombe
di Damasco. Ricordo

come volavano via.
Ricordo
che cercavo di prenderle.

*

I Don’t Remember

I don’t remember the place
where the only colour I saw was green.
Where the blazing heat would challenge me –
not even the tall twisty trees
they tell me I used to climb.

I have forgotten
the mangy dogs I used to bark at
and the snakes I waited to pelt rocks at,
the fish I caught by hand –
even the dragonflies I trapped.

I have forgotten the taste
of the just ripe mangoes
which I would climb the trees to pick,
and of fresh fish too big to fit
in the kitchen; and of the chickens
slaughtered in front of me, and
of the birds, sling-shotted from the sky,
which would all end up in a pot filledwith spices
which would soon be empty unless I got there first …

I don’t remember the taste of dried dates
from the market, the peaches, the jackfruit,
the pineapples, the juiciness of it all.
I don’t remember the smells,
the market filled with men chatting,
waiting for a customer,
or of the cut grasses being stored
forall that livestock.

I don’t remernber the view from those
huge hills which were so hard to clìmb.
Or the eagles soaring high in the sky waiting
to pull something out of the green.
Or the cows grazing on the grass,
all year continuously munching, munching away,
not even the painted fences in their neat rows.

No, I don’t remember the day my life
was taken away.
I don’t remember the fearless boy I used to be.
I don’t remember my country …
Bangladesh.

Ismail Akthar (12)

*

Non ricordo

Non ricordo il posto
dove l’unico colore che vedevo era il verde.
Dove il calore cocente mi abbagliava –
e nemmeno gli alberi alti e nodosi
su cui, mi dicono, mi arrampicavo.

Ho dimenticato
i cani rognosi a cui abbaiavo
e i serpenti che prendevo a sassate,
i pesci che pescavo con le mani –
perfino le libellule che catturavo.

Ho dimenticato il sapore
del mango appena maturo
che coglievo dall’albero
dove mi ero arrampicato,
e del pesce fresco troppo grande
per stare in cucina; dei polli
sgozzati davanti a me, e
degli uccelli, catturati con la fionda,
che finivano tutti in pentola con le spezie
svuotata in un attimo se non arrivavo per primo…

Non ricordo il sapore dei datteri secchi
al mercato, le pesche, il giaca,
l’ananas, così succoso.
Non ricordo gli odori, il mercato
pieno di uomini che chiacchieravano,
in attesa di clienti,
o dell’erba falciata e immagazzinata
per il bestiame.

Non ricordo la vista da quelle enormi
colline così difficili da scalare.
O le aquile che si libravano alte nel cielo
in attesa di catturare qualcosa nel verde.
O le mucche che pascolavano,
tutto l’anno a masticare, a masticare,
e nemmeno le file ordinate di staccionate dipinte.

No, non ricordo il giorno in cui la vita
mi fu portata via.
Non ricordo il ragazzo spericolato che ero.
Non ricordo il mio paese …
Bangladesh.

*

My Poem

My poem
is a plate of hot spicy dahl
a smell that fills my nostrils
and consumes me into its powerful pungent wrath
the hot polluted air of the place I lived in
like a leech sucking the air out of me.
Hmm . . . no matter.

My poem
burns the tip of my tongue
But as I’m told ‘patience is a virtue’
and I have little of it.
It’s trees that produce sweet dark fluid
It’s sap that fabricates
a hard dull block of molasses.

My poem
feels like small rocks being pulled by a wave
ebbing slowly in an ocean tide.
It is the young farmers in a watery land
under the intense heat,
being wrapped in a cloak of frustration and hunger
and so

my poem is my country,
my home country.
And my country is poor.

Tarzina Khatun (16)

*

La mia poesia

La mia poesia
è un piatto di piccante dahl fumante,
un odore che mi riempie le narici
e mi consuma nella sua furia penetrante
l’aria fetida rovente del posto in cui vivevo
come una sanguisuga che mi succhia l’aria.
Hmm … non importa.

La mia poesia
mi brucia la punta della lingua.
Ma, si dice, ‘la pazienza è una virtù’
e io ne ho poca.
È alberi che producono fluido dolce e scuro
È linfa che fabbrica
un torpido, duro blocco di molasse.

La mia poesia
ha la consistenza di piccoli sassi spinti da un’onda
che lenta rifluisce nel flusso dell’oceano.
È giovani contadini in una terra ricca di acque
sotto un calore intenso,
avvolti in una cappa di frustrazione e fame
e quindi

la mia poesia è il mio paese,
il mio paese natale.
E il mio paese è povero.

*

My Hazara People

I can’t write about my Hazara people,
who have suffered for decades
in Afghanistan where they come from
in Pakistan where they are murdered,
in Iran where they offend
because of their almond shaped eyes.
My mind is blank!

I can’t write about how loud the shooting was
just two miles away from my house,
how my aunt fainted,
how nervous my mom got,
how the cup fell from her hand.

I can’t write about how innocent people died:
how the Martyr’s necropolis gets bigger and bigger;
how my people suffer;
how cruel this world can get;
how frightening it is

for kids like me.

Shukria Rezaei (15)

*

Gli Hazara, la mia gente

Non riesco a scrivere degli Hazara, la mia gente,
che per decenni hanno sofferto
in Afghanistan da dove provengono
in Pakistan dove vengono uccisi,
in Iran dove recano offesa
per i loro occhi a mandorla.
Ho la mente vuota!

Non riesco a scrivere degli spari fortissimi
a sole due miglia da casa,
dello svenimento della zia,
dell’ansia della mamma,
della tazza che le cadde di mano.

Non riesco a scrivere degli innocenti che morirono:
delle necropoli dei Martiri sempre più grandi;
della mia gente che soffre;
del mondo sempre più crudele;
di quanto tutto questo faccia paura

a bambine come me.

My Mother Country

I don‟t remember her
in the summer,
lagoon water sizzling,
the kingfisher leaping,
or even the sweet honey mangoes,
they tell me I used to love.
I don’t remember
her comforting garment,
her saps of date trees,
providing the meagre earnings,
for those farmers
out there
in the gulf
under the calidity of the sun,
or the mosquitoes,
droning in the monsoon,
or the tipa tapa of the rain,
on the tin roofs,
dripping on the window,
I think.

Rukiya Khatun (17)

*

Il mio paese materno

Non lo ricordo
d’estate,
l’acqua frizzante di laguna,
il martin pescatore che salta,
o anche i mango dolci come il miele,
mi dicono che l’amavo.
Non ricordo
i suoi abiti comodi,
la linfa degli alberi di datteri,
che forniscono il magro guadagno
ai contadini

nel golfo
sotto la calura del sole,
o le zanzare,
a impigrire nei monsoni,
o nel ticchettio della pioggia
sui tetti di latta,
che sgocciola sulle finestre,
credo.

Traduzioni di Giorgia Sensi

Biografie dei poeti

Shukria Rezaei è arrivata a Oxford all’età di quattordici anni. Appartiene a una famiglia di rifugiati di etnia Hazara, dai confini tra il Pakistan e l’Afganistan, fuggiti perché perseguitati dai Talebani. Riservata, attenta, ironica, Shukria ha cominciato a scrivere poesie in inglese ancora prima di avere parole sufficienti per farlo, grazie anche alla sua capacità immaginativa e alla forza retorica che le vengono dal suo retaggio persiano. Nell’arco di quattro anni è riuscita a diventare una poeta di notevole spessore, tanto che la sua poesia è stata pubblicata in varie riviste letterarie tra le quali Oxford Poetry.
Azfa Awad aveva sedici anni quando io l’ho conosciuta. Era spaesata dopo il trasferimento prima dal suo paese d’origine poi da Glasgow. Il suo talento per la poesia e la retorica era già molto pronunciato e ben presto cominciò a scrivere senza aiuto. Ha vinto il prestigioso premio Tower Poetry Prize, ha studiato Scrittura Creativa a Warwick, ha incontrato la Regina e ora è poeta e performer a pieno titolo. Il suo spettacolo Map of Me è stato in tour nel Regno Unito nel 2016. Azfa può essere contattata al sito azfaawad.com
Amineh Abou Kerch e Ftoun Abou Kerech sono sorelle, con un solo anno di differenza tra loro, e vengono da Damasco. Sono arrivate a Oxford nel 2016 dopo un lungo esilio in Egitto e, allo stesso tempo sostenendosi e scontrandosi tra loro, si sono imposte di studiare inglese con grande impegno e sono diventate le prime della loro classe. La loro poesia è un progetto condiviso: scrivono in arabo e in inglese, ricordando sempre la loro patria.
Ismail Aktar è un ragazzo del Bangladesh tranquillo, brillante, rispettoso. Ha sedici anni. Normalmente non è poeta, ma quest’urlo angosciato, espresso in un pomeriggio di sole, Classe 7, è sicuramente poesia.
Tarzina Khatun è la sorella minore di Rukiya, bella, estroversa, ancora ligia al dovere. La poesia qui presentata mostra i suoi sentimenti politici, più conflittuali, sul suo paese d’origine.
Rukiya Khatun viene dal Bangladesh, una ragazza tranquilla, che porta il velo, una presenza spirituale e gentile. Ma anche estremamente determinata. Arrivata in questo paese a sei anni, ha poi seguito un percorso scolastico fatto di una serie di scuole accidentate per arrivare infine a essere chiamata al Bar (tribunale, corte di giustizia inglese, NdT) nel 2017. Le sue poesie squisite, che richiamano sempre la perdita della sua lingua e del suo paese, sono state per me allora un’ispirazione e rimangono ancora oggi una delle mie grandi gioie.

Breve bio di Kate Clanchy, FRSL MBE
Kate Clanchy è nata e cresciuta in Scozia, vive a Oxford. Scrive generi letterari diversi, poesia, fiction, non-fiction e ha vinto per la narrativa il BBC National Short Story Award, per la poesia il Forward Prize e il Saltire Prize, e il Writers Guild Award per il suo acclamato memoir Antigona and Me . È stata finalista per il Ted Hughes Award per We Are Writing a Poem About Home , un poemetto radiofonico scritto dagli studenti e dalle studentesse della Oxford Spires Academy, dove lei è Writer in Residence dal 2009. Il suo libro Some Kids I Taught and What They Taught Me, Picador 2019, ha ricevuto grandi riconoscimenti nel Regno Unito e ha vinto il George Orwell Prize for Political Writing 2020. La sua ultima pubblicazione How to Grow Your Own Poem è appena uscita per Picador.

Giorgia Sensi è traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia. Vive a Ferrara.
Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Patrick McGuinness, Kathleen Jamie, John Barnie, Philip Morre, Raymond Antrobus e altri ancora,e curato diverse antologie.
Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice, per la promozione della poesia.
È collaboratrice del Blog Rai, Poesia di Luigia Sorrentino.
Le sue pubblicazioni più recenti: nel 2019: Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore, Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore; La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, LietoColle-gialla oro; Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, IP. Nel 2020: Le colombe di Damasco, poesie da una scuola inglese, antologia a cura di Kate Clanchy, sua traduzione, LietoColle Editore. The Perseverance di Raymond Antrobus, sua cura e traduzione, prefazione di Kate Clanchy, postfazione di Anna Maria Farabbi, LietoColle Editore.
Con La casa sull’albero, poesie scelte di Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica. Ha inoltre ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito da Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

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