Il mondo di Dio
Mondo, non so stringerti a me quanto vorrei!
I tuoi venti, i tuoi vasti cieli grigi!
Le tue brume che fluttuano e s’innalzano!
I tuoi boschi, questo giorno d’autunno dolente che declina,
tutto che quasi grida di colore! Quella squallida luce
stritolare! Sollevare quel nero, sottile promontorio!
Mondo, Mondo, non so domarti come vorrei!
Che in tutto ciò albergasse qualcosa di glorioso
lo sapevo da sempre, ma mai come quest’oggi:
qui c’è tanta passione che mi lacera —
io temo, Dio, che tu abbia reso il mondo
troppo bello quest’anno, mi lascia la mia anima…
Non far cadere una sola foglia di fiamma;
non un uccello, ti prego, intoni il suo richiamo.
A Kathleen
Come un tempo anche oggi il poeta
in una buia, gelida e misera soffitta
deve patire fame, freddo e scrivere
su cose come i fiori, il canto e te;
e come un tempo dare la sua vita
in dono alla Bellezza, per farla sopravvivere,
quella Bellezza che non può morire
finché ci sono i fiori, il canto e te.
Steepletop
Tu no, non sei più bello dei lillà,
del caprifoglio, né più fascinoso
di un papavero candido; io posso sopportare
la tua bellezza, e benché a te m’inchini,
benché a sinistra e a destra volga gli occhi,
in nessun luogo da te trovo scampo —
lo giuro — nella nebbia o al chiar di luna.
Come chi la sua dose di veleno
di giorno in giorno a goccia a goccia aumenta
finché dosi letali per decine
di uomini può bere senza danno,
anch’io, assuefatta alla bellezza, bevo
ogni volta di più, ma sopravvivo
al danno che in alcuni casi uccide.
*
Ti prego, se mi ami, sopporta la mia gioia
o lascia che io pianga le tue lacrime:
il Fato che ansimante distruggeva
del tuo destino la lucida tela
anch’io l’ho visto — le forbici dure
senza grazia straziavano il tuo filo —
così pure tu sai che come l’oro
splende e resiste la mia buona stella.
Ti prego, per quest’oggi almeno, caro,
di scortarmi nel mio viaggio di luce.
Anche a me toccherà di congedarmi
dall’anno in fiore e coglier la tua pena.
Viaggia con me verso la primavera:
l’amore, se è qualcosa, è forse questo.
*
Per conquistare e conservare l’amore
gli esperti astute tattiche consigliano:
rivelare ai tuoi occhi d’improvviso
l’ago che punta diritto al tuo nord;
se voglio te, celare la paura
che tu mi lasci, o farti sospettare
la mia bussola volta ad altre rotte,
un po’ arrendermi, e accettare assai.
Ma essendo come la mia madre terra
sincera, generosa e poco scaltra,
preferisco che mi ami per il mio
schietto valore, magari anche per poco,
non per filtri e magie, per quanto possano
legarti a me, come vorrei, per sempre».
Edna St. Vincent Millay, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 2020 – pp. 169, € 15
Nata il 22 febbraio 1892 a Rockland, nel Maine, Edna St. Vincent Millay fu educata dalla madre alla lettura, ma soprattutto a essere una donna indipendente. Cominciò a scrivere versi giovanissima, e già dopo la pubblicazione delle prime due raccolte, Renascence (1917) e Qualche fico dai cardi (1920), e dell’opera teatrale Aria da capo (1919) godeva della popolarità di una diva. Frequentò la Columbia University e il Vassar College e visse per diversi anni nel Greenwich Village, a New York. Nel 1923, dopo molti amori tormentati, si sposò con Eugen Boissevain (1880-1949), un importatore olandese di caffè. Lo stesso anno vinse il premio Pulitzer per la poesia con la raccolta Il tessitore d’arpa. Morì il 19 ottobre 1950.
La selezione dei testi è di Alberto Fraccacreta