Blue Plaque and Memorial Bench
i.m. George Mackay Brown
Every year, if I can, I’ll walk down
that street, as far as the flat
that was yours. I’ll read the blue plaque
on the wall, telling how long
you lived there, how long you were happy
to have no more of the world
than this. And then I’ll walk on
a little way, to the bench
they have named for you. It looks over
the harbour mouth, where the ships
come and go, where Franklin sailed out
into myth, where the men from the north
first entered this place and possessed it
by naming it. Here where you sat
and watched the whole world, living
and dead, come in on the tide.
Targa blu e panchina commemorativa
i.m. George Mackay Brown
Ogni anno, se potrò, camminerò
per quella strada, fino all’appartamento
che fu tuo. Leggerò la targa blu
sul muro, che dice per quanto tempo
hai vissuto lì, per quanto tempo ti è bastato
non avere altro dal mondo
che questo. E poi camminerò
ancora un po’, fino alla panchina
che ora porta il tuo nome. Guarda
l’imboccatura del porto, dove le navi
vanno e vengono, da dove Franklin salpò
verso il mito, dove gli uomini del nord
per primi entrarono e se ne impadronirono
dandogli un nome. Dove tu sedevi
a guardare il mondo intero, i vivi
e i morti, arrivare con la marea.
The Movement of Bodies
He fractured white light into seven colours,
reckoned the distance to the moon,
wrote laws for the movement
of bodies: no mystery to him,
until now. Planets in their orbit,
the sea’s tides, his eyes
locked to the lit face
of the young mathematician.
A body at rest remains so
unless some force act on it.
So many years, no joy
but in numbers, no troubling
of the flesh. The pink tongue-tip
idly licking a finger
constricts his heart. His edges
flicker, scintillate, like a heat-haze.
A hand brushes his cheek
and it colours: to each action
an equal and opposite reaction.
He tries to think straight:
the moon. I worked out its mass. Moonlight,
kissing in moonlight. The movement
of bodies. The moon draws
the tides. A knife in my eye.
Once, probing for truth,
he nearly blinded himself.
This time, he will flinch
from the lacerating light.
Legend will say he died a virgin
and never saw the sea.
Il movimento dei corpi
Ha scomposto la luce bianca in sette colori,
calcolato la distanza dalla luna,
scritto leggi per il movimento
dei corpi: nessun mistero per lui,
fino ad ora. Pianeti nella loro orbita,
maree del mare, i suoi occhi
si fissano sul volto illuminato
del giovane matematico.
Un corpo a riposo rimane tale
se non sollecitato da una qualche forza.
Tanti anni, gioia
solo nei numeri, nessun turbamento
della carne. La punta rosa della lingua
che distrattamente lecca un dito
gli stringe il cuore. I suoi contorni
tremolano, scintillano, come una foschia di calore.
Una mano gli sfiora la guancia
e questa arrossisce: a ogni azione
una reazione uguale e opposta.
Cerca di non distrarsi:
la luna. Ne ho calcolato la massa. Chiar di luna,
baciarsi al chiar di luna. Il movimento
dei corpi. La luna attira
le maree. Un coltello nell’occhio.
Una volta, alla ricerca della verità,
quasi si accecò.
Questa volta si ritrarrà
dalla luce lacerante.
Dice la leggenda che morì vergine
e non vide mai il mare.
Catnip
Deep inside, licking the pale-spiked bush,
stroking his tongue along the serrated edges
of minty leaves, setting free the scent
and rolling in it, over and over, breathing it
until his whole world is this piercing note
he can hardly hold, a psychosexual high
that sends him skittering, pawing at air,
glassy-eyed, mewing, breathing hard
and fast, till he falls asleep, complete
and exhausted. Hundreds of years ago,
so they say, hangmen chewed this root
before the job, before the careful positioning
of their man, before the sudden jerk
arched of his body, before the collapsed limp.
Erba gattaria
Sprofondato dentro, a leccare il cespuglio dai pallidi aculei,
a passare la lingua sui contorni dentati
delle foglie di menta, liberandone il profumo
e rotolandovisi dentro, più e più volte, inalandolo
finché il suo intero mondo è questa nota penetrante
che contiene a fatica, un’eccitazione psicosessuale
che lo fa schizzare, dar zampate per aria,
gli occhi vitrei, miagolare, ansimare,
finché non si addormenta, appagato
ed esausto. Centinaia di anni fa,
si dice, i boia masticavano questa radice
prima dell’esecuzione, prima di sistemare con cura
il loro uomo, prima dell’improvviso arcuato
sussulto del corpo, prima del suo afflosciarsi.
The Windfarm Angels
I’ll never forget my first sighting:
one alone, on a distant hill
– they prefer hills. There was no wind
that day, none at all, and it stood
quite still. Its top arm, pointing
at the sky, blended into its body:
it was just this tall streak of white.
The two other arms stretched out
left and right, like the statue of Christ
in Rio harbour. That was how I knew
it was an angel. That, and the calm
that came off it. It didn’t speak
or make a move: it just was,
intensely, and I felt better for it,
which is what they do, right?
After that, I looked out for them,
that sudden grace on the skyline,
whenever there seemed no point
in anything. One windy day, watching
a group of three, I realized they were talking,
not just in gesture language, but a murmur,
low, on one note. I couldn’t tell
if they meant it only for each other
or for me too. I heard it in my head
long after. I’d switch off from chat,
traffic, muzak, and it was there.
I’ve noticed, lately, they don’t talk
so loud. Even watching a whole flock,
I have to strain to hear. Folk complained
– would you believe – about the noise,
so now they whisper. And some people
want them gone. I couldn’t face that,
not now: I’ve got used to that presence,
that white embrace, being there
when I need it. I know all their haunts.
To think I might climb those hills one day
and find them empty. Jesus.
Gli angeli della fattoria eolica
Non dimenticherò mai la prima apparizione:
uno solo, su un colle lontano
– loro preferiscono i colli. Non c’era vento
quel giorno, nemmeno un po’, e lui se ne stava
immobile. Il braccio più alto, puntato
verso il cielo, si fondeva col corpo:
un’unica lunga striscia di bianco.
Le altre due braccia erano tese
a sinistra e a destra, come la statua di Cristo
nel porto di Rio. Ecco come capii
che era un angelo. E poi la calma
che emanava. Non parlava
e non si muoveva: semplicemente era,
intensamente, e questo mi fece star meglio,
sono fatti per questo, no?
Da allora li cercai,
quella grazia improvvisa all’orizzonte,
ogni volta che nulla pareva
aver senso. Un giorno di vento, osservando
un gruppo di tre, mi accorsi che stavano parlando,
non soltanto a gesti, ma un brusio,
sommesso, su un’unica nota. Non riuscii a capire
se parlavano solo tra loro
o anche a me. Mi risuonò in testa
a lungo. Mi isolavo da chiacchiere,
traffico, muzak, ed era là.
Ho notato, di recente, che non parlano più
così forte. Anche quando osservo un intero stormo,
devo tendere l’orecchio per sentire. La gente ha protestato
– lo credereste? – per il rumore,
così ora sussurrano. E qualcuno
vuole che se ne vadano. Questo non lo potrei sopportare,
non ora: mi sono abituata a quella presenza,
a quell’abbraccio bianco, che è là
quando ne ho bisogno. Conosco tutti i loro ritrovi.
Pensare che un giorno potrei salire su quei colli
e trovarli vuoti. Gesù.
Sheenagh Pugh da: Impronte, antologia di poesia gallese contemporanea, cura e traduzione di Giorgia Sensi, prefazione di Patrick McGuinness, Mobydick, 2007
Le poesie di Sheenagh Pugh sono tratte da The Movements of Bodies, Seren, 2005
_________
Breve bio Sheenagh Pugh
Nata a Birmingham nel 1950, Sheenagh Pugh ha vissuto in Galles per molti anni prima di trasferirsi in Scozia, a Shetland, dove ora risiede. Ha studiato russo e tedesco all’Università di Bristol e insegnato Creative Writing all’Università di Glamorgan. Autrice di numerose raccolte poetiche e due romanzi, è anche traduttrice di poesia dal tedesco e dal greco. Ha vinto due volte il Bridport Prize (1997 e 2003), il Wales Book of the Year Award nel 2000 per la sua raccolta Stonelight, un Cholmondeley Award e un Roland Mathias Prize. La raccolta The Beautiful Lie (2002) è stata finalista del Whitbread Poetry Prize e The Movement of Bodies (2004) per il T. S. Eliot Award.
Giorgia Sensi è traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia. Vive a Ferrara.
Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Patrick McGuinness, Kathleen Jamie, John Barnie, Philip Morre, Raymond Antrobus e altri ancora, e curato diverse antologie. Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice, per la promozione della poesia. È collaboratrice del Blog Rai, Poesia di Luigia Sorrentino.
Le sue traduzioni di poesia più recenti includono nel 2019: Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, Interno Poesia Editore, Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, Interno Poesia Editore; La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, LietoColle-gialla oro; Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, Interno Poesia Editore.
Nel 2020: Le colombe di Damasco, poesie da una scuola inglese, antologia cura di Kate Clanchy, sua traduzione, LietoColle Editore. The Perseverance di Raymond Antrobus, sua cura e traduzione, prefazione di Kate Clanchy, postfazione di Anna Maria Farabbi, LietoColle Editore.
Ha inoltre tradotto l’opera di non-fiction di Kathleen Jamie, Sightlines, col titolo Scrutare gli orizzonti, Luciana Tufani Editrice, 2019.
Con La casa sull’albero, poesie scelte di Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica. Ha inoltre ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.