Nella giovinezza, se non addirittura nell’adolescenza, la contemplazione dell’amore e la contemplazione della morte sono veramente nel nostro sguardo. Ma direi di più. Sono il nostro sguardo.
Alfonso Gatto
LA VEGLIA
Piove su questa casa bianca, è sera.
Lo squallore murario, nei balconi
verdi, nei raspi delle sorbe, annera.
I pavesi del lutto sui portoni
si vestono d’argento con quel lume
di cielo che rimane in alto, fioco.
Una sera di calma tra le brume
dolci del golfo, svèntola sul fuoco
del braciere una donna a sé traendo
il bambino assonnato che le pesa
sull’altro braccio. In quel che vedo intendo
spiegata tenerezza, la distesa
del mare nel suo cerulo sconfina.
Io ti parlo così con questa calma
che non è mia, è sempre più vicina
l’ora di tutti, vedo sulla palma
del lungomare la stanchezza occidua
della luce, la raffica silente.
Di controvoglia questa mano insinua
la carezza obliosa. Non è niente,
credimi, quest’effigie, questo fumo
continuo, non è niente. Negli assorti
pensieri della veglia mi consumo
per avvenenza come tutti i morti.
Biografia
Alfonso Gatto nasce a Salerno 17 luglio 1909 da una famiglia di marinai e piccoli armatori di origini calabresi. L’infanzia e l’adolescenza sono piuttosto travagliate. Compie i primi studi nella sua città, poi nel 1926 si iscrive all’Università di Napoli che abbandona qualche anno dopo, senza laurearsi, a causa di difficoltà economiche.
Vive un periodo di continui spostamenti che sono caratteristica di una vita irrequieta e avventurosa, trascorsa nell’esercizio e nella pratica di diversi lavori. Inizia a lavorare come commesso, come istitutore di collegio, correttore di bozze ed infine diviene giornalista.
Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, viene arrestato e trascorre sei mesi nel carcere di San Vittore di Milano.
Nel 1938 fonda a Firenze assieme allo scrittore Vasco Pratolini la rivista “Campo di Marte” che diventa la voce del più avanzato ermetismo. Creata per commissione dell’editore Vallecchi, la vita del periodico dura tuttavia un solo anno.
Durante questi anni Gatto lavora come collaboratore delle più innovatrici riviste e periodici di cultura letteraria (dall'”Italia Letteraria” alla “Rivista Letteratura” a “Circoli” a “Primato alla Ruota”).
Nel 1941 Gatto riceve la nomina ad ordinario di Letteratura italiana per “chiara fama” presso il Liceo Artistico di Bologna.
A partire dal 1943 entra a far parte della Resistenza: le poesie scritte in questo periodo offrono una testimonianza efficace delle idee che animano la lotta di liberazione. Alla fine dell Seconda guerra mondiale Alfonso Gatto è direttore di “Settimana” , poi co-direttore di “Milano-sera” ed inviato speciale de L’Unità, dove assume una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista. Nel 1951 lascia clamorosamente e polemicamente il partito comunista.
Come autore di testi sono diversi i riconoscimenti che riceve, tra questi vi sono i premi Savini (1939), St. Vincent (1950), Marzotto (1954) e Bagutta (1955, per l’opera “La forza degli occhi”).
Oltre che poeta è anche scrittore di testi per l’infanzia. Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati alla critica dell’arte e della pittura.
Tra i suoi numerosi volumi di poesia ricordiamo: “Isola” (1932), “Morto ai paesi” (1937), “Il capo sulla neve” (1949), “La forza degli occhi” (1954), “Osteria flegrea” (1962), “La storia delle vittime” (1966), “Rime di viaggio per la terra dipinta” (1969).
Alfonso Gatto muore in un incidente d’auto a Orbetello (Grosseto) il giorno 8 marzo 1976. E’ sepolto nel cimitero di Salerno: sulla sua tomba è incisa una frase dell’amico Eugenio Montale: “Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un’unica testimonianza d’amore”.
Ecco come un grande del nostro Novecento sa coniugare delicatezza e potenza espressiva