Forsi û tremâ cume de giass fa i stèll da “Lünn” (1982)
Forsi û tremâ cume de giass fa i stèll,
no per el frègg, no per la pagüra,
no del dulur, legriâss o la speransa,
ma de quel nient che passa per i ciel
e fiada sü la tèra che rengrassia…
Forsi l’è stâ cume che trèma el cör,
a tí, quan’ne la nott va via la lüna,
o vegn matina e par che ‘l ciar se mör
e l’è la vita che la returna vita…
Forsi l’è stâ cume se trèma insèm,
inscí, sensa savèl, cume Diu vör…
Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle da “Lünn” (1982)
Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,
no per il freddo, no per la paura,
no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza,
ma di quel niente che passa per i cieli
e fiata sulla terra che ringrazia…
Forse è stato come trema il cuore,
a te, quando nella notte va via la luna,
o viene mattina e pare che il chiarore si muoia
ed è la vita che ritorna vita…
Forse è stato come si trema insieme,
così, senza saperlo, come Dio vuole…
“Quel niente che passa per i cieli/ e fiata sulla terra che ringrazia…” potrebbe essere la poesia, lei che ci ha fatto tremare e ci ha tenuti appassionati e vicini. Il suo fiato, la musica verbale di Franco si è inabissata come un magnifico continente di cui resta emergente la preziosa scrittura. Ma la voce è tutta sott’acqua. Dei morti di più mancano le voci. Caro caro Franco. Amico e così gentile maestro. Adesso mi sembra che siamo stati bambini insieme. Quando andavo a Milano passavo sempre da Viale Misurata 60. Avveniva due o tre volte l’anno. Mani nelle mani, stavamo lì a continuare un discorso mai terminato, come se lo avessimo interrotto il giorno prima. Silvana ci preparava il te, la sua Silvana morta solo tre mesi fa. E Franco c’era, era tutto lì davanti a te, ti faceva il dono di una attenzione piena, di una presenza piena, tutto ardente di vita buona, e subito il dialogo si faceva intenso, necessario, fecondo. Anche allegro. Era lì davanti a te coi suoi otto anni, quaranta o settanta anni, come se non mancasse all’appello nessun momento della sua vita. Ma senza nostalgia. Arrivava il gatto. Lunghi silenzi in cui l’amicizia sta bene, si sistema. Quando me ne andavo mi aiutava sempre a rimettere il soprabito e il saluto era un lungo silenzioso abbraccio. Questo adoratore garbatissimo del femminile. Questo frequentatore dell’invisibile. Già manca tanto.
Mariangela Gualtieri
Anch’io ho avuto la fortuna di essergli amico, come Luisa. Di stare con lui in Via Misurata e di filmarlo proprio nel suo studio, davanti alla sua macchina da scrivere Olimpia o seduto davanti alla sua libreria, coi libri disposti irregolarmente un poco di costa ed un poco di copertina.. “..questo adoratore garbatissimo del femminile ” dici bene Mariangela ed al proposito mi tornano in mente dei versi.
Da “L’Angel”
Ragazze, fanciulle, femmine, amori,
figlie di monte, monelle sorte dal mare,
ragazze giù dall’argine, dalla contrada,
bambine così piene di donna sempre state.
Se quello Laura, l’altro Beatrice,
un altro la Ninetta, io, bastardo,
dovrei inventarmi un qualche nome d’aria
per dire quanta giovinezza mi ha baciatO0.
Dire di voi, la Franca, la Marisa,
Maria, Rosina, Carla, e ringraziare
Questa figlie del sole di razza morbidina,
che mi hanno portato a maturità senza saperlo/
parlarvi è come avervi qui,
toccarvi la grazia
che un giorno mi avete donato per vostra bontà
“ma come allargo le braccia! come mi piace!
Che voi mi prendiate con la dolcezza
E mi portiate dove la bocca tace”