di Luigia Sorrentino
Ero partita da Roma in aereo il pomeriggio del 6 marzo 2005. Il direttore di Rai News 24 mi aveva inviata a Milano per un’intervista televisiva alla poetessa Alda Merini, molto popolare in quegli anni in Italia. Avevo detto al mio direttore che mi faceva piacere incontrare la Merini, ma che, trovandomi a Milano, doveva concedermi la possibilità di intervistare anche il grande poeta di lingua dialettale, Franco Loi, quasi per nulla noto al pubblico televisivo. Lui accettò, di buon grado. Si fidava di me. Aggiunsi che la Merini era persona molto “umorale” e non potevamo fare affidamento solo su di lei… lo avvertii che avrebbe potuto far “saltare” l’intervista all’ultimo minuto, nonostante gli accordi presi al telefono.
E andò esattamente come avevo previsto.
Mi ero organizzata così. La mia personale scaletta, prevedeva il 7 marzo 2005 prima l’intervista a Loi, poi quella alla Merini, anche perché sapevo che Alda aveva l’abitudine di svegliarsi tardi.
Avevo concordato, quindi, per le 10:00 l’incontro con Franco Loi, dopo, alle 14:00, avrei raggiunto la Merini nella sua casa sui navigli.
Alle 10:00 in punto arrivai con la troupe a casa di Franco Loi, in Via Misurata, 60.
Fummo accolti molto calorosamente da Franco e dalla moglie, Silvana, una donna intelligentissima, colta, affabile e curiosa, studiosa d’arte e di Letteratura. La casa era calda e si stabilì subito un contatto umano fra tutti noi.
Rimasi colpita dal fatto che Franco ci avesse ricevuto con la giacca da camera, indumento che Franco volle tenere anche durante l’intervista televisiva. Solo dopo, riflettendoci, mi resi conto che quella giacca indossata con tanta disinvoltura era il segno di una grande disponibilità. Era come una porta che si apriva e conduceva a una dimensione “privata”, di grande intensità.
Il nostro primo colloquio durò complessivamente quattro ore. Prima di congedarci Franco ci mostrò la casa, i libri, i quaderni. Tutto era perfettamente ordinato e pulito.
Quel primo incontro suggellò la nostra amicizia.
Alle 14:00 eravamo davanti alla porta d’ingresso della casa di Alda Merini, in Via Ripa Ticinese, 47.
Ebbi una leggera esitazione prima di suonare il campanello, ma poi decisa lo feci. Quale sarebbe stata la sua reazione? Mi chiedevo. Saremmo stati bene accolti, oppure no? La Merini aprì la porta. Mi presentai. Alle sue spalle riuscii a intravedere il “muro degli angeli”, ma lei mi richiuse subito la porta sulla faccia.
Cercai di convincerla a riaprirla e a farci entrare ma lei non lo volle nella maniera più assoluta. Disse che le era venuta la febbre.
Vero o non no, dopo aver insistito ancora un po’ senza ottenere più alcuna risposta, ce ne andammo scendendo velocemente giù per le scale.
Probabilmente non le ero piaciuta. Non ci fu mai più una seconda occasione d’incontro.
Sulla strada i ragazzi della troupe mi proposero con un sorriso: “Andiamo dalla Nanda”. Io chiesi ridendo: “Chi è la Nanda?” “La Nanda! Fernanda Pivano!”
Fui entusiasta della proposta, ma come avrebbe potuto riceverci senza appuntamento?
Comprai in libreria alcuni dei suoi libri che non avevo con me.
Arrivammo sotto casa della Pivano. Fui io a citofonare e a presentarmi. Lei fu molto gentile, ma disse che dovevamo aspettare perché doveva consultarsi con il suo avvocato. Ci chiese, quindi, di ritornare alle 16:00. Ritornammo e lei disse al citofono che potevamo salire. Fu una bella esperienza. Fummo accolti dal grande sorriso di Nanda saggista, traduttrice, scrittrice e giornalista di grandissimo talento. E’ lei che ci ha fatto conoscere molti artisti e scrittori della letteratura e della cultura americana: grandi scrittori classici, come Ernest Hemingway, William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Saul Bellow, fino ai poeti della Beat Generation fra i quali Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Ferlinghetti, e molti altri. Ma soprattutto la Nanda ci parlò del suo mentore, Cesare Pavese del quale era stata allieva (nel 1935 prima dell’arresto e del confino) quando Fernanda frequentò a Torino il liceo D’Azeglio.
Quando tornai a Roma e comunicai al mio direttore che avevo realizzato l’intervista a Loi e a Fernanda Pivano, e non quella alla Merini per la quale ero stata inviata a Milano, come era solito fare, prima mi diede una pacca sulla spalla e poi disse con la sua voce tonda: “Brava! Sei riuscita a intervistare gratuitamente la grande Fernanda Pivano!”
Post-scriptum
L’intervista a Franco Loi e a Fernanda Pivano aprì la strada a tutta una serie di interviste televisive che realizzati per la Rai e Rai Educational con molti altri poeti e scrittori internazionali negli anni a seguire per Rai News 24. Tutto questo materiale non si trova negli archivi di Rai Play perché in quegli anni Rai News 24 non aveva un archivio. Rai News 24 è stata la prima emittente pubblica italiana a trasmettere in digitale questo significa che tutto il materiale “girato” per essere “montato” doveva essere trasferito da analogico a digitale. Per fare “spazio” sui server era necessario “cancellare il pregresso” e quindi anche quello che avevamo già trasmesso. Ecco perché l’archivio in analogico con tutto il girato e il montato delle interviste che ho realizzato in quegli anni, è stato donato a me dalla Rai dal direttore del personale nel 2012. Un materiale prezioso, che andrebbe “acquisito”, e messo in rete attraverso i moderni canali di diffusione per ricostruire un periodo della storia della Letteratura e della poesia nel nostro Paese.
4 gennaio 2021
INTERVISTA A FRANCO LOI
Milano, 7 marzo 2005
Per prima cosa, Franco e io parlammo di Giovanna Sicari. Stavo preparando un servizio per la Rai su di lei e raccoglievo le testimonianze di poeti che l’avevano conosciuta e amata, e Franco era uno di questi. Mi lesse una sua poesia inedita dedicata a Giovanna, sua grande amica scomparsa prematuramente il 21 dicembre 2003.
Mi confidò che Giovanna aveva provato a vivere a Milano, ma non aveva resistito a lungo. Le mancava troppo Roma, la città che aveva amato di più, e per questo era voluta ritornare.
La poesia scritta da Franco Loi e dedicata alla Sicari, suonava così, perché non la lessi, non la vidi scritta, ma la ascoltai e la registrai mentre Loi la leggeva, quindi le cesure sono quelle che avrei messo io alla poesia qualora l’avessi scritta io:
Noi eravamo
come i fantasmi della vita
tra i tordi di anima bianchi
e i fiati neri del vino che passa
tra il festare delle mani
facce sconosciute d’amici
dietro il vetro la donna del pittore…
oh sera della luce,
alba bianca colomba bianca
che sembra stia dormendo…
Franco Loi
Giovanna era una donna di grande slancio e nello stesso tempo aveva sempre un che di sereno, di affettuoso. C’era una contraddizione dentro di lei. Da una parte era inquieta e dall’altra serena. A volte era molto cara verso chi la avvicinava, chi le voleva bene. Sicuramente a mio parere era una poeta. E aveva anche una grande fede. Pochi sanno che lei portava una Madonnina, naturalmente con tutte le contraddizioni di noi umani credenti e pieni d’inquietudini. Siamo trascinati dalla nostra natura di uomini. Però lei la fede l’aveva forte.
La poesia per lei era da una parte ricerca della verità e dall’altra, canto della verità e espressione di gioia e di speranza. Nonostante i contenuti della sua poesia siano aspri, difficili, si parla di dolore, lei del resto lavorava nelle carceri, quindi aveva contatto con la vicenda drammatica della gente… Però nella sua poesia c’è sempre questo anelito alla gioia, alla speranza. E c’è una cosa tipica della poesia, che anche quando parla di cose così dolorose o malinconiche, per sua stessa natura dà speranza.
Luigia Sorrentino
Perché la natura della poesia dà speranza?
Franco Loi
Perché c’è una larghezza di respiro. D’altra parte Leopardi scrive alla sorella Paolina: “Finalmente mi è ripresa l’allegrezza dello scrivere poesia“. Perché nello scrivere poesia, c’è sempre un’energia e una gioia di dire, di fare, anche quando si tratta di cose che sono negative o appunto, dolorose. Allora in lei questo c’era sempre. Con me naturalmente aveva un rapporto di grande simpatia, di amicizia, per cui con me era sempre dolce, era anche molto espansiva e quindi per me lei è una mancanza, la mancanza sua si sente.
Luigia Sorrentino
Giovanna Sicari se n’è andata con un cruccio: quello di non essere stata riconosciuta poeta nel suo tempo. Questa è una condizione che riguarda purtroppo molte donne della sua generazione, e non solo. Un argomento, quello della poesia delle donne, che si dovrà affrontare rileggendo tutta la poesia italiana del Novecento e anche del ventunesimo secolo.
Per lei essere riconosciuto poeta nella vita, è importante oppure no?
Franco Loi
Non è importante essere riconosciuto poeta quando si è vivi. Poeta è chiunque fa con amore il proprio lavoro e affronta la vita con amore. Questo è il poeta. Che poi sia uno che scrive o no, è di un’importanza relativa perché anche chi fa musica, chi è un grande artigiano, un grande meccanico, un grande lavoratore, dentro di sé, contiene la possibilità della poesia. Il riconoscimento è quindi, relativo alla persona. Che non è riconoscimento del carattere, degli aspetti esteriori della persona, ma quello che si sente che c’è dentro quella persona. Allora quando si incontra una persona, non occorre neanche frequentarla spesso per capire chi è, per capirla e amarla per quello che è. Quello che dentro è. Naturalmente come dice il Vangelo bisognerebbe amare anche quelli che non si sentono nostri affini, ma questo è già più difficile. Questo è sovrumano. Perché gli uomini hanno le simpatie e le antipatie, hanno questo tipo di atteggiamento. Però il riconoscere l’altro è secondo me molto importante. Lo è anche vedere il suo negativo. Questo diventa importante sia per chi riconosce, sia per chi è riconosciuto.
Luigia Sorrentino
Lei ha scritto che la poesia contiene un’espressione religiosa dell’uomo. Che cosa significa questo?
Franco Loi
La poesia per sé, di per sé non perché ha intenzione, è costitutiva di qualcosa che l’ avvicina alla religione. Petrarca scrive una lettera al fratello. Siccome lui lo aveva già detto e scritto più volte che la poesia è sacra scrittura, i domenicani lo avevano accusato di eresia, mentre i francescani lo avevano difeso. Allora lui scrive al fratello e cerca di mitigare quello che aveva affermato e naturalmente non incorre nell’inquisizione, però l’ha rischiata. Perché Petrarca quando scrive al fratello lo ripete: “Eppure per me la poesia, in quanto poesia, è sempre sacra scrittura”. Allora dire Sacra Scrittura è qualcosa per la Chiesa di tremendo. Perché per la Chiesa la Sacra Scrittura è quella della Bibbia e dei Vangeli. Dire che “la poesia, in quanto poesia, è sempre sacra scrittura” si avvicina a quello che io penso sia. Cioè se il poeta è veramente e sinceramente un uomo che si esprime, allora il processo di espressione del dire non è una costruzione della mente.
C’è poi una cosa importante da aggiungere.
La vecchia parola sac, che è una parola di origine sanscrita, vuol dire “lontananza”.
Fare il sacro, vuol dire o porre o colmare la lontananza.
Il Pontefice è “colui che costruisce il ponte”, “fa da ponte”: nel fare questo pone in un ordine la lontananza dell’uomo da se stesso, dalle cose, dagli altri uomini… lo pone nell’ordine – e lo abbiamo spiegato, perché di ordine religioso – ecco che proprio nello stabilire il tipo di distanza che c’è… colma la lontananza da Dio, quando avvicina gli uomini a se stessi alla propria conoscenza. Ecco perché per me la poesia è sacra. Perché il poeta fa qualcosa di simile. E’ come un sacerdote o un Pontefice.
A questo proposito devo citare Concetto Marchesi, professore latinista dell’università di Padova comunista che scrive in uno dei suoi libri: “All’inizio della storia della letteratura latina, probabilmente anche molto prima, all’inizio dei tempi, i sacerdoti erano i poeti.” E questo secondo me è vero. Perché porre o colmare la lontananza è fare il sacro.
Luigia Sorrentino
“Il poeta pone la lontananza o la colma”. Quand’è che avviene questo? Ci può fare un esempio?
Franco Loi
Se io scrivo qualcosa che l’uomo riconosce, cosa riconosce?
Evidentemente riconosce qualcosa che è accaduto anche a lui. Dentro di lui risuona il senso e anche a volte la vicenda… a volte il rapporto che si stabilisce fra il lettore e il poeta è che quella cosa di cui parla il poeta e successa anche al lettore. Ecco perché il lavoro del poeta avvicina l’uomo a se stesso: gli fa tornare alla memoria qualcosa che ha vissuto o che non ha considerato o che ha dimenticato e nel momento in cui legge la poesia, si avvicina a se stesso e al ricordo di qualcosa che ha vissuto anche lui. E questo è proprio il compito del sacro. Naturalmente il sacerdote facendo questo avvicina anche a Dio. E quindi il lavoro che fa il Pontefice è anche lavoro sulle anime in rapporto anche alla propria capacità carismatica di fare crescere dentro l’uomo l’avvicinamento a Dio. Ma questo è il lavoro che fa il sommo sacerdote o Pontefice. Il poeta avvicina allo stesso modo, non così carismaticamente, ma attraverso i suoni e le parole della poesia.
Luigia Sorrentino
Spesso la parola della poesia produce una vibrazione. La parola pronunciata dal poeta si amplifica, rimbomba nella stanza… diventa enorme, gigantesca, fisica. Produce nell’ascoltatore una consonanza che mette in relazione, l’uno di fronte all’altro, il poeta e il lettore…
Franco Loi
Anche noi abbiamo vibrazione, tutte le persone tutte le cose… le persone, in modo particolare, ma anche gli animali, hanno una vibrazione interna. E questa vibrazione, questa energia che vibra, noi non l’ascoltiamo mai, ma l’avvertiamo quando diciamo “abbiamo simpatia”… perché c’è una vibrazione che è consonante alla nostra, allora naturalmente siamo portati a concederci a chi ha questo tipo di vibrazione.
Per la poesia è proprio una vibrazione interna che suggerisce un ritmo e una voce. Suggerisce un ritmo perché ogni cosa che vibra, ogni energia, ha anche un suo ritmo che è, lo dice un filosofo tedesco, Ludwig Klaghes, che è questo il ritmo del mondo che noi percepiamo qualche volta.
Luigia Sorrentino
Il poeta dunque, percepisce l’anima del mondo?
Franco Loi
Quando noi entriamo in sintonia col mondo, con le cose, con le persone, con i fiori, con la bellezza, noi entriamo in un certo tipo di sintonia. Questo quindi fa si che quando io scrivo non scrivo quello che ho nella testa. Non scrivo per cultura, la cultura serve, ma certo che bisogna averla, come del resto un falegname deve imparare a usare gli strumenti del suo lavoro… questo va da sé.. ma non è con l’abilità del costruire che si fa la poesia.
Io ho incontrato una volta la moglie di un fabbro. Il marito era morto. Questa donna mi ha invitato a casa sua e mi ha fatto vedere le cose che creava il marito. Io davanti a queste opere – dico la verità – non è che fossero tutte così belle… vi erano cose normali, ma a un certo punto davanti a una ho detto: “Bella! Che bella è questa! E’ veramente straordinaria!” E la donna mi ha risposto così: “Mio marito diceva sempre che questa si è fatta da sé”.
Allora quando un artigiano lavora, lo fa per mestiere realizzando le cose che hanno un’utilità… ma quando lui ci mette il suo amore e si abbandona al fare, fa qualcosa che si avvicina all’opera d’arte. L’arte, infatti, viene dagli artigiani. L’arte è degli artigiani. Naturalmente occorre la preparazione artigianale, ma il fatto creativo è un’altra cosa, è l’abbandono a qualcosa che è dentro di noi, che si muove, urge, vibra e quindi come lasciarsi dire… questo accade, ad esempio, anche quando siamo innamorati. Tanto è vero che quando siamo innamorati non è che noi scegliamo le parole da dire se siamo innamorati davvero, perché se no facciamo i furbi… diciamo le parole che sappiamo che ingannano l’altro… Se noi siamo davvero innamorati, intanto stiamo in silenzio che è la cosa principale. Stiamo zitti e guardiamo… però se diciamo qualcosa diciamo qualcosa che ci viene da dentro e non sappiamo cosa sia. Non diciamo il banale: “Io ti amo”, “Io ti voglio bene”, ma diciamo qualcos’altro che viene da noi.
Luigia Sorrentino
Come pensa che si possa imparare ad ascoltare questa voce così profonda? Perché la poesia è una voce che viene da dentro e che si esprime attraverso la scrittura?
Franco Loi
Bisogna imparare intanto a essere sempre più consapevoli, a guardarsi, ad ascoltarsi, e quindi… avviare la propria consapevolezza, e quindi l’avviamento alla propria consapevolezza prepara “i canali” come si dice. Se lei impara a mangiare quando è bambino perché prima succhia il latte e poi impara a mangiare, all’inizio quando mangia, perché il latte ha quella dolcezza e quei sapori che sono del tutto aderenti al bambino e quindi… però in principio il bambino sputa il cibo. Quindi, ognuno di noi se può sputa. La personale tendenza a sentirsi e a guardarsi, in generale… quando veniamo presi dalle cose e le cose ci affascinano… ma non è che così facendo noi entriamo nel rapporto reale con le cose, perché le usiamo. Invece il processo di guardarsi per conoscersi, così come il processo di guardare anche fuori di noi per vedere cosa si muove tra di noi e come conoscere la cosa attraverso la conoscenza di noi … cosa suscita in noi quella cosa… Avere la coscienza sveglia e accresce la nostra conoscenza delle cose. Questo è il processo di preparazione a sapersi lasciar dire… perché abituandoci a sentire i moti interiori diventa quasi automatico alzare un braccio, camminare, perché abbiamo l’abitudine a considerarci e a considerare quello che si muove dentro di noi, senza ascoltare quello che avviene dentro di noi.
Luigia Sorrentino
Lei scrive poesia in dialetto. Anzi, direi in un misto di dialetti: il milanese, il colornese, e a volte, anche il romanesco… Perché il dialetto?
Franco Loi
A dire il vero in romanesco ho scritto solo un gruppo di poesie dell’Angel perché un amico che è cresciuto a Roma, anche se non era romano d’origine, parlava romanesco, mi ha raccontato tutta una serie di storie e io le avevo scritte sul mio diario e allora ho cercato di fargli parlare un italiano romanesco. Però è un solo caso. Mentre, per quello che riguarda il genovese, mio padre che era sardo, nato a Cagliari, però era cresciuto a Genova perché lui è rimasto orfano presto di madre e di padre perché a otto anni gli è morta la madre e a undici anni gli è morto il padre. Allora il fratello che lavorava a Genova, alla società industriale Ansaldo, all’allestimento navi, l’ha preso con sé in casa. Il fratello che era già sposato, parlava il genovese. Mia madre era di Colorno in provincia di Parma e allora io ho memorizzato queste voci. Quando ho voluto scrivere la mia prima infanzia, mi è venuto spontaneo dire: “Ma come faccio a parlare della mia prima infanzia in milanese?” Mi sembrava una forzatura, non riuscivo… e allora mi sono abbandonato alla memoria di un genovese parlato da mio padre, che non so quanto fosse aderente al genovese, ma comunque era la memoria che avevo, che ho molto acuta della mia prima infanzia e dei sette anni che ho passato a Genova. Mi ricordo bene delle grida delle bisegnine, dei bisegnini che sono quelli che scendono dalla valle del Bisagno per vendere la frutta e le verdure. A Genova sono chiamati i bisegnini, e sono quelli che vengono dalla valle del Bisagno.
Luigia Sorrentino
Ne ha parlato soprattutto nell’ Angel …
Franco Loi
Nell’Angel dovendo parlare della vita di uno che crede di essere un angelo e invece non lo è, ho raccontato anche la mia vita. Riandando anche alla mia vita ho scritto sia in genovese, sia in colornese, nel dialetto parlato da mia madre.
Mia madre era l’unica che parlasse in dialetto anche in casa. Non sempre, ma quando si arrabbiava o era in una situazione di commozione, parlava il suo dialetto colornese, non parmigiano.
C’è una dolcezza maggiore nel colornese perché se il parmigiano dice : “Co vuò ti?”… il colornese dice: “Co vuò te?” che è molto più dolce… Questa dolcezza del dialetto di Colorno è dovuta probabilmente alla presenza a Colorno, prima del ducato dei Farnese, e poi di Maria Luigia d’Austria. Maria Luigia aveva la sede a Parma, però la primavera-estate la trascorreva a Colorno.
Luigia Sorrentino
Chi è l’Angel?
Franco Loi
L’Angel racconta la storia di un personaggio che crede di essere un angelo. E in quanto crede di essere un angelo lui ama tutti… fin quando un giorno uno gli dice: “Ma tu come mai sei sempre così generoso, pensi sempre agli altri e non pensi mai a te stesso?” E lui dice: “Perché sono un angelo” e crede di avere anche memoria del paradiso. Lo dice a un amico, poi lo dice a un altro, e allora tutti credono che sia matto e lo chiudono in un manicomio. E infatti, il romanzo in versi, comincia in manicomio quando gli fanno l’analisi per capire come mai lui pensa di essere un angelo, come mai ha memoria del paradiso e i dottori gli dicono che la memoria del paradiso viene dal fatto che tutti i momenti belli della vita o intensi della vita hanno creato dentro di lui un tale sistema di armonie che gli fanno pensare al paradiso. Può essere che quel paradiso sia l’infanzia, ma può essere tante altre cose… Intanto il personaggio dell’Angel ricorda tutto: ricorda la guerra, ricorda la vita, ricorda l’amore, l’infanzia… tutta una serie di cose e poi… fino a quando lo fanno uscire dal manicomio ritenendolo guarito e allora lui dà ragione ai medici. In realtà è la sua ignoranza e la sua inconsapevolezza che hanno creato in lui l’ immagine di Dio. Quando esce dal manicomio è ateo, marxista, leninista e si butta nella vita di tutti i giorni… fa la politica, fa il teatro, fa tutte le cose che ho fatto anch’io e poi a poco alla volta perde l’amore per gli altri e poi l’amore per le cose e poi l’amore per se stesso. Tenta un suicidio che poi gli va male, non gli va bene… Questo è realmente successo a una mia amica, non a me. Mi sono ispirata a lei. E’ accaduto a una mia amica che ha tentato il suicidio per una serie di circostanze che son quelle dell’Angel strane e un po’ ridicole, grottesche… lei si è salvata, e io faccio salvare lui …
La mia amica si salva perché le arriva un telegramma. Lei ha provato a suicidarsi usando il gas si è messa con la testa sul gas, ha tappato tutte le finestre però gli è arrivato un telegramma e la portinaia testarda che quando è arrivato il postino ha chiesto: “La signora non c’è in casa?” Lei ha risposto: “E’ in casa perché non l’ho mai vista scendere.” Vecchia portinaia milanese, di quelle che stanno attente a tutto… è andata su con il postino e con il telegramma ha suonato il campanello, il campanello non funzionava, ha guardato nel buco della serratura ha sentito l’odore del gas, allora hanno sfondato la porta e l’hanno presa viva per due ragioni: per il telegramma, ma anche per lo sciopero del gas che c’era stato proprio quella mattina… quindi lei aveva ingerito sì del gas, ma non a sufficienza perché sarebbe morta. Allora lei ora dice: “Se queste tre combinazioni del tutto irrazionali non si fossero combinate insieme, io sarei morta”.
Ecco quindi che la vita non è così razionale come dicono i medici … perché nemmeno un gesto così semplice, come il suicidio che sembra così in mio potere, non riesce. Allora L’Angel comprende che la vita è irrazionale e se è irrazionale, allora c’è posto anche per il mio Dio… e torna credere in Dio, e però decide di non dirlo a nessuno.
Luigia Sorrentino
Dopo l’Angel c’è la seconda, la terza, la quarte parte e poi ci sono un’infinità di libri, “Memoria” del 1991, è un libro fondamentale nella sua formazione di uomo e di poeta, in cui lei parla di Dio, come in questa poesia:
De Diu sun matt, se streppa la cusciensa.
Vu ‘n gir, el pensi, me ‘l remèni, e vu…
E püssè ‘l pensi, e pü ghe sun luntan.
Diu l’è schersûs… L’è cume fa la lüna,
ch’i mè penser în nüver, e lü se scund.
Inscì, me tundi via, parli cuj òmm,
e matta l’è la lüna, ciara lünenta,
cun la sua lüs che slisa ne la nott.
Di Dio sono pazzo, si strappa la coscienza.
Vado in giro, lo penso, me lo rimugino, e vado…
E più lo penso, e più gli sono lontano.
Dio è scherzoso… E’ come fa la luna,
che i miei pensieri sono nuvole, e lui si nasconde.
Così, mi distraggo, parlo con gli uomini,
e matta è la luna, chiara luneggiante,
con la sua luce che scivola nella notte.
Franco Loi
“Di Dio sono matto“, si strappa la coscienza, perché la coscienza naturalmente, la parte della coscienza che comprende il tuo essere inconscio, anche questa parte, crede. L’altra parte dubita e pone dei problemi attorno all’esistenza di Dio, quindi si spezza, si spacca la coscienza vado in giro, penso me lo rimugino e cammino. E più lo penso e più gli sono lontano, perché Dio è scherzoso… è come fa la luna, che i miei pensieri sono nuvole e lui si nasconde. Allora io mi distraggo, “mi perdo via”, in milanese “me rotund via” “mi rotondo via”, parlo con gli uomini e matta è la luna, chiara luna, che si fa continuamente luna, in milanese si dice “luna lunenta”, con la sua luce che scivola nella notte…
Luigia Sorrentino
Bella e coinvolgente questa sua interpretazione della sua poesia De Diu sun matt.
Dopo Memoria, nel 1992, lei ha pubblicato “Umber” con Prefazione di Romano Luperini.
Che libro è?
Franco Loi
In Umber ci sono dentro tante cose, anche di carattere interiore… Ho pubblicato tantissimi libri… con Empiria, Vern in cui ci sono anche delle traduzioni che ho fatto io varie, dallo spagnolo dal latino… e poi in mezzo a queste cose qui delle parti dell’Angel, nel 1990 la seconda parte e la terza e nel 1993 … Poi ho scritto la quarta parte dell’Angel perché Ferrero che dirigeva la collana di poesia di Mondadori mi aveva chiesto se avevo delle poesie da dargli e io gli ho detto: “Ho scritto la quarta parte dell’Angel”, e allora abbiamo pubblicato tutto insieme.
Ecco qui, anche adesso sto scrivendo, e potrebbe essere una quinta parte dell’Angel… Poi ho scritto ancora altri libri … quello con Nicola Crocetti Amor del temp e poi nel 2001 ho raccolto delle poesie che avevo già scritto in precedenza e che erano delle poesie scritte alcune addirittura del 1965 e ho pubblicato Isman, con Einaudi. L’ho pubblicato perché c’era Roberto Einaudi che è presidente dell’Einaudi.
La quinta parte dell’Angel la sto scrivendo adesso. Qualcosa l’ho anticipato in Aquabella del 2004.
Luigia Sorrentino
Un lavoro infinito l’ Angel… Aspettiamo questa quinta parte, allora!
Ma ora le chiedo: perché lei ha scelto il dialetto come lingua della poesia?
Franco Loi
Non è che io l’abbia scelto, è che me lo sono sentito dentro il dialetto. A casa mia parlavo italiano … però quando mi son messo a scrivere, è venuto fuori questo milanese. Prima ho scritto in italiano, poi siccome in italiano costruivo con la testa le poesie e non ero soddisfatto, continuavo a stracciare e a buttare via, e allora mi è venuto il dialetto. Dovevo far parlare di due popolani milanesi, e mi chiedevo: “Ma posso farli parlare in italiano? No… perché sono operai e quindi devono parlare la loro lingua, il dialetto.”
E come gli ho messo in bocca la loro lingua ho scoperto che dentro avevo il milanese e nello stesso tempo ho scoperto la poesia: non era più la mia mente che costruiva, ma mi abbandonavo a questo sentire interiore che diceva.
Luigia Sorrentino
Franco, io vorrei parlare di lei bambino che a sette anni arriva a Milano.. Com’era questo bambino?
Franco Loi
Io son venuto a Milano nel 1937. Avevo sette anni. Mio padre era stato trasferito a Milano. Prima lavorava allo scalo merci, a Genova al caricamento, vicino al porto. Poi l’hanno trasferito a Milano come direttore dello scalo merci, allo smistamento, sotto il ponte di Segrate, dove c’è l’idroscalo a Milano.
Quando sono venuto a Milano a me è dispiaciuto molto. A Genova c’era sempre bel tempo e c’erano le colline, c’era il mare… io ho pianto molto quando sono venuto a Milano… Poi quando sono venuto a Milano la prima cosa che ricordo è che sono entrato in questa città con i materassi, come tutti gli emigranti. Io ero su un materasso mentre mio padre andava a sbrigare le pratiche per i bagagli. Io ero lì, con la gabbia dell’uccellino, non ricordo se avevamo qualche borsa… penso di sì. Siamo andati a mangiare in una latteria all’inizio di Via Vetruvio, proprio all’inizio della Stazione Centrale di Milano, e in quella latteria abbiamo mangiato qualcosa come il caffellatte. Anche questo l’ho scritto nell’Angel.
Poi mio padre ci ha portato verso casa, a Via Cardano, ma ci siamo persi…
“Siamo arrivati a Milan, ma ci siamo pers/che nemmeno la stazion si vedeva”… eccetera eccetera… e indoss la gran cuverta”…
Ed è venuta incontro a noi una vecchia, che aveva un figlio di sessanta anni che faceva il ciabattino. Ricordo che lui veniva a casa ubriaco… la vecchia stava sempre seduta su un seggiolone e quando veniva a casa lo picchiava con un pettine che aveva appeso alla seggiola, una specie di striglia. Aveva i capelli raccolti dietro, come si usava allora, con la crocchia, li scioglieva e poi se li pettinava. Mi faceva un po’ paura questa donna che picchiava il figlio di sessanta anni, l’Ernesto… e poi siamo andati ad abitare in Piazza Bottini, che è la piazza della stazione Lambrate.
In piazza Bottini avevamo un appartamento che quando passavano i treni la luce del finestrino si rifletteva nella nostra stanza… e poi c’era il rumore dei treni… lì ho fatto la seconda elementare, e poi mio padre è voluto andare ad abitare vicino dove lavorava… allora siamo andati a Limito, un paesino subito dopo l’idroscalo, il primo paese che s’incontra è Limito che è una frazione di Pioltello,verso Cernusco sul naviglio…. e lì siamo stati otto mesi. Lì ho avuto una polmonite… le donne dicevano che io avevo i vermi… e invece dopo di notte mi hanno portato all’ospedale di via Commenda, dove sono stato abbastanza a lungo e poi mia madre è voluta tornare assolutamente a Milano. Abitavamo in una casa di ringhiera. In realtà era una grossa cascina, dove c’era un fabbro, c’era il calzolaio… poi avevano costruito questa parte nuova e lì abitavamo noi, al primo piano…
Luigia Sorrentino
Franco lei era un bambino e c’era la Seconda guerra. Che ricordi ha di quel bambino e della guerra?
Franco Loi
Io mi sono iscritto al Fronte della gioventù nell’aprile del 1945. Noi eravamo molto svegli. Mia madre era comunista, mio padre era comunista, ma più tiepido… Ma mia madre era comunista accesa, e quindi io ero amico di Sergio Temolo che era questo ragazzo al quale hanno fucilato il padre nel 1944 a Piazzale Loreto. Per questo noi eravamo sempre attenti… Ho memoria di tutto… dei bombardamenti… ho visto fucilare, ho visto la gente fucilata per strada, ho visto i mitragliamenti nel 1944…
Il primo bombardamento lo ricordo così.
Noi eravamo dietro al ponte perché avevamo messo la macchina da scrivere proprio nell’intercapedine tra il solaio e il tetto di una cascina che era in piazzale Udine all’angolo che allora era tutta campagna… c’era questa strada che andava a finire a piazza Udine e c’era una cascina, lato sinistro c’era il laghetto dove andavamo a prendere i girini, con gli orti, la campagna abbondonata… e qui scrivevamo le lettere contro il fascismo e contro la guerra.
Era il 1943 e quando un mio amico si è fatto male ad una caviglia e sanguinava: “E dai Franco guarda mi son fatto male…” Io ho preso un fazzoletto, suo fratello Sergio ha detto: “ma guarda un po’ quelle poiane, come volano basse!” Io ho finito di legare il fazzoletto alla caviglia dell’amico, mi sono alzato, ho guardato in alto… erano gli aerei: “Ma questi qui sono gli aerei, altro che poiane! Via andiamo!” ho gridato. Gli aerei sono scesi talmente in basso che si vedeva il pilota sopra le nostre teste… allora noi abbiamo cominciato a correre… abbiamo passato il ponte della ferrovia il mio amico si è fermato in via Casoretto, da questa parte, e io ho proseguito verso Via Teodosio con gli altri due, e poi dopo loro sono entrati al civico 82 e io sono andato all’81, dove c’era uno sulla porta che mi ha detto: “Guarda che tua madre non è qui… deve essere andata all’82.” Intanto suonava l’allarme… io attraverso la strada, e quando attraverso la strada sento prima di tutto l’aria che si spacca, come se si frantumasse un vetro allora sono corso via di là… c’era uno dell’UNPA [n.d.r. Unione nazionale protezione antiaerea] che era stato messo a seguire la gente affinché scendesse in cantina.. controllava che ci fossero le carte alle finestre per proteggere i vetri… lui mi ha preso e ha detto: “Vieni dentro, non vedi che stanno bombardando?” e io gli ho detto: “C’è giù mia mamma?” E lui: “Vai giù…”.
E lì ho vissuto il primo bombardamento.
E’ stato una cosa terribile, era la prima volta che subivamo un bombardamento, il 24 ottobre del 1942, avevo dodici anni.
Luigia Sorrentino
Parliamo adesso della sua attività politica che lei tiene molto distante dall’attività poetica… e fa i dovuti distinguo… Come è cominciata?
Franco Loi
Nel 1945 mi sono iscritto al Fronte della gioventù, nel 1946, un anno dopo, mi sono iscritto alla Federazione giovanile comunista che era appena stata formata. Sono stato responsabile politico della sezione giovani e poi nel 1954 ho capito che nel partito comunista non c’era quello che credevo dovesse esserci… e allora sono uscito dal partito. Però ho fatto tutta la trafila extra parlamentare da “falce e martello” a Lotta operaia…
Nel 1965 ho fondato con un altro mio compagno, Corrado Simioni, un gruppo che si chiamava Contro potere poi diventato il CIP (Centro di informazione politica) poi nel 1969 ho rotto completamente con questi compagni alcuni dei quali poi hanno fondato Le brigate rosse. Tra questi compagni c’era Renato Curcio.
Luigia Sorrentino
Lei era contrario alla lotta armata?
Franco Loi
Ero contro la lotta armata per una semplice ragione: perché secondo me non c’erano le condizioni per fare la lotta armata. Perché dicevo se noi facciamo della carne insaccata dobbiamo essere in grado di gestire la cosa… Chi ha la possibilità di ottenere i frutti della nostra azione sono i partiti… Allora noi ammazziamo qualcuno… Io son contrario ad uccidere qualcuno, ci pensa già il potere ad ammazzare, e quando noi ammazziamo qualcuno ammazziamo solo una parte di noi, allora il quando noi facciamo questo… a parte questo… chi ha la capacità di amministrare quello che noi facciamo? Allora io non ero d’accordo sulla lotta armata e allora ho rotto con loro, e ho avuto un periodo molto difficile, nell’Angel spiego tutto questo, nell’Angel ci sono le lettere ai compagni…
Ci sono storie degli altri e mie… Per esempio, io ho avuto amici in manicomio per cui ci sono le parti di personaggio in manicomio che dicono delle cose straordinarie… non ci sono solo io e le mie storie, ma anche le storie della gente che ho conosciuto…
In realtà nel 1970 è morto mio padre. Il 4 febbraio del 1970. E’ stata una cosa molto dura per me, che si è unita a tutte le contraddizioni che avevo vissuto e ho rotto con gli amici, con i compagni, con la lotta e ho trovato il desiderio di scrivere ancora e ancora una volta ho cominciato in italiano, perché ero convinto che era la mia lingua e poi mi son detto… “non è così, devo scrivere in milanese…” e allora ho scritto Strolegh pubblicato nel 1975 e lì ho fatto l’esperienza della poesia più profonda. Nel 1971-1972 ho finito Strolegh e poi ho cominciato Teater.
Luigia Sorrentino
Se dovesse scrivere oggi le lettere per la pace che scrisse da bambino contro il fascismo e poi ai compagni di partito, a chi le invierebbe?
Franco Loi
Io sono contro la guerra. Le lettere dovrei scriverle a Georges W. Bush. Ma sono convinto di una cosa: la guerra c’è perché non c’è pace tra gli uomini. Questa è la realtà. Le guerre non vengono per volontà di Bush. Dietro Bush c’è tutta l’America. Così come dietro a Mussolini, c’era tutta l’Italia. Questo però lo abbiamo saputo dopo, dietro al fascismo c’era il popolo italiano. Quando è scoppiata la guerra nel 1940, eravamo andati a vedere un film e girava questa voce che il capo dello Stato farà un’importante discorso alla nazione… allora ci siamo fermati, mio padre e mia madre e noi avevamo 10 anni. E allora il Capo dello Stato dice: “Italiani camicie nere… i nostri ambasciatori hanno consegnato la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Francia e di Inghilterra.” Il popolo: “Evviva! Vogliamo la guerra!” E lui: “Volete la pace o la guerra?” E il popolo: “Vogliamo la guerra.”
E allora, intendo dire: la guerra non viene perché uno decide che vuole fare la guerra, da solo, viene perché negli uomini non c’è la pace, c’è l’odio, c’è una predisposizione ad accettare la guerra. Noi in Italia la guerra l’abbiamo subita e quindi non la vogliamo. Oggi si fanno anche le marce per la pace e che è bene che ci siano, però io non sono uno stupido pacifista, come non sono un guerrafondaio, per niente… dico però che bisogna agire ogni giorno perché non si creino le condizioni della guerra. Questo è quello che bisogna fare. E questo è importantissimo.
Io manderei la lettera a Bush, però non è solo quello, bisognerebbe mandare la lettera a tutti i milanesi, a tutti i romani, cioè la lettera deve essere una lettera che invita gli uomini ad avere coscienza e maggiore consapevolezza di sé. E allora le guerre spariscono, e allora finché c’è questo mondo, se la gente guarda “Il grande fratello”, e poi va allo stadio e butta le bottiglie dagli spalti… questa è già la guerra.
Luigia Sorrentino
C’è una sorta di continuità in tutta la sua opera… o almeno, così sembra… Come se lei avesse scritto un unico grande libro. E’ così?
Franco Loi
Non so… Le prime cose che io ho scritto non le ho ancora pubblicate. Non ho mai seguito la cronologia dei libri…. non ho mai fatto fatica a scrivere poesie, seppure svolgessi un altro lavoro.
Faccio un esempio. Ho scritto centodiciannove poesie nel mese di settembre del 1965 e lavoravo… no io lo specifico per la gente che dice… “Ma io non ho tempo, avessi tempo se fossi libero”…. Se hai necessità di fare, mangi, bevi e la poesia, che è una necessità di fare, la fai… allora io ho scritto queste poesie mentre lavoravo alla Mondadori, andavo a timbrare alle 8.30, eppure ho scritto centodiciannove poesie. Ho scritto queste poesie e poi per 5 anni ho fatto tutt’altro invece che scrivere poesie perché mi sono trovato coinvolto un’altra volta nella passione politica.
Luigia Sorrentino
Ecco, quindi di nuovo la passione politica e la scissione, la separazione dalla poesia. Due cose che ha tenuto ben distanti l’una dall’altra…
Loi, quali sono i poeti che più hanno contato nella sua vita?
Franco Loi
Quelli che hanno contato di più nella mia vita non sono neanche dei poeti. Salvo uno, che ha contato moltissimo che è Dante, questo fin da quando ero ragazzino, alle scuole medie. Mio zio era un barbiere. Io ho ancora con me la Divina Commedia piccola in edizione Barbera del primo Novecento, pubblicata nel 1919, minuscola. Mio zio sapeva a memoria canti interi della Divina Commedia e era un barbiere… non è che fosse un uomo colto, però amava Dante, così come tanti popolani… Così io mi sono avvicinato a Dante… Per me hanno avuto molta più importanza i romanzieri. Io ho amato molto Tolstoj, Dostojewski, i russi in generale, sono stati fondamentali nella mia formazione.
Luigia Sorrentino
Lei ha appena composto un’antologia per Einaudi con undici poeti dialettali. Sono pochi in Italia i poeti dialettali?
Franco Loi
Ho appena fatto un’antologia di undici poeti dialettali, ma ce ne saranno in Italia più o meno, naturalmente di grande o spontanea qualità… E’ che non si conoscono… figurarsi… non si parla neanche della poesia, figuriamoci se si parla di poeti che scrivono in dialetto… Non c’è proprio costume in Italia. Anzi c’è stata la guerra contro i dialettali per tutto il periodo che va dal 1800 al primo Novecento, poi dal dopoguerra fino agli anni Sessanta.
I dialettali erano considerati dei minori … in tutte le antologie si parlava delle poesie in italiano e poi tra i minori c’erano Carlo Porta e il Belli.
Il Belli era a mio avviso un grandissimo poeta, a mio parere più grande di Leopardi, se si può dire, ma non si può dire… e quindi naturalmente non si fanno misure di grandezza. Leopardi è grandissimo, ma è grandissimo anche il Belli e così il Porta. E’ un grande poeta però erano considerati poeti minori. E questa è una questione di carattere culturale e politico importante.
Luigia Sorrentino
Parliamo ora della poesia politica. Cosa ne pensa?
Franco Loi
Non credo alla poesia politica. Credo che la poesia abbia un’incidenza politica, credo alla poesia civile, questo sì. Dante è pieno di poesia civile, contro la Chiesa contro la corruzione della Chiesa. Contro i tradimenti dei politici ma la poesia non può essere considerata poesia politica, ma poesia civile, poesia di indignazione civile. Il Leopardi scriveva : “Vedo le colonne e gli archi, ma la virtù non vedo”.
E quindi è politica in sé. La politica che cosa fa? La politica amministra e quindi la condizione sociale ed economica di un mondo di uno stato o di un impero, ma questa amministrazione che fa ha sempre dietro le spalle una concezione filosofica e quindi è schematica ciò che rientra in questo schema è … ciò che non rientra è fuori.
Il poeta cosa fa? Tra le altre cose per quel che riguarda la politica, l’uomo non è un uomo, è un cittadino. Invece per il poeta l’uomo è un uomo ed è fuori da tutti gli schemi e lo considera fuori da tutti i suoi abituali schemi, dai suoi sentimenti, dalle sue passioni, il suo stare nel mondo con le sue mancanze e con anche le sue gioie i suoi piaceri e questo esce da uno schema, ogni volta esce da uno schema.
Per esempio in Russia sotto lo stalinismo e il leninismo bisognava parlare degli operai e della condizione sociale, se uno parlava di fiori era ritenuto borghese. Allora la Achmatova lei le sue poesie non le dice, perché se le dice poi c’è un microfono che le ascolta allora le scrive su un foglietto di carta. La sua amica le legge e le impara a memoria, mentalmente, poi bruciano il pezzetto di carta. Perché se l’avessero scoperta che lei scriveva le poesie di questo tipo, o poesie come lei fa di favole di sogni, o di Dio, parla di cose che sono assolutamente proibite dal conformismo generale, perché la vita è materiale, conta la classe operaia… che poi non contava niente… però era stabilito che era la classe operaia la cosa di cui bisognava parlare e questo fa fare poesie elogiative di Stalin o dello Stato eccetera.
Luigia Sorrentino
Quindi per lei la poesia è fuori da ogni regola precostituita?
Franco Loi
La poesia è sempre fuori da ogni regola. Quello che dice la poesia non è detto che sia contemplato o accettato. Oggi naturalmente in Italia, nel mondo occidentale, noi non abbiamo bisogno di mettere in prigione qualcuno. Basta il silenzio, non parlarne…
Ecco perché nessuno parla della poesia. Allora la gente riceve la nuova cultura attraverso la televisione che tiene il posto del libro… Allora la politica agisce apparentemente con grande liberalità, ognuno può dire quello che vuole tanto non danneggia il potere costituito.
Se è vero che la poesia non può mai essere politica, significa che è sicuramente antagonista della politica nel momento in cui la politica usa degli schemi attraverso cui vuole dominare gli uomini e il mondo, invece la poesia mostra che l’uomo è quello lì, e che la situazione non è proprio così bella. C’è chi soffre, chi si ammala. C’è chi dice delle cose che non hanno niente a che vedere con le regole imposte dall’alto. La politica è una cosa che di per sé, è fuori… come la storiella del re nudo.
Al re fanno il vestito per farlo passare in mezzo alla gente… gli fanno questo vestito straordinario, dovrebbero farglielo… ma i sarti non fanno in tempo… allora non sanno come fare… allora, fan finta di vestirlo… e naturalmente lui va fuori nudo e tutti dicono che il re è straordinario, che ha un bel vestito… tutta la gente dice le stesse cose… Ma sulle spalle di un uomo c’è un bambino in mezzo alla folla, che quando vede passare il re nudo dice al padre “Papà… il re è nudo!” e questo fa cadere tutto l’ incanto, perché tutti dicono “E’ nudo! E’ nudo!”
Luigia Sorrentino
Quindi stando alle sue affermazioni, non c’è mai relazione fra poesia e potere…
Franco Loi
I poteri hanno sempre degli schemi inquisitori su cui giudicare il reale. Invece il poeta no. Perché per lui il reale è quell’uomo lì con quella mano lì… con quegli occhi che piange che ride che fa quello che fa… e questo contrasta con l’ideologia che comanda.
Luigia Sorrentino
Dopo Isman lei pubblica Aquabella …
Franco Loi
… e ho visto la mia città morire nel tempo, le genti da trop pensare farsi piene di boria, e sperdersi la speranza nel buio delle chiese, e ho visto il meglio di me diventare ghiaccio, il corpo ammalarsi e diventare più pesante e l’ombra della terra farsi di sasso…
E’ venuta dopo Isman, l’ho pubblicata l’anno scorso, [n.d.r nel 2004] però le poesie le ho scritte insieme a quelle di Isman grosso modo, salvo qualcuna che come sempre è prima o dopo, ci sono poesie che ho scritto magari anche nel 1965 e ci sono poesie che ho scritto proprio nel 2000. Però, a me capita spesso, l’ho detto anche a proposito dell’Aria… volevo pubblicare insieme anche le poesie che poi ho pubblicato molto tempo dopo in altri libri.
Luigia Sorrentino
In Aria ci sono le lettere ai compagni…
Franco Loi
Sì… e poi c’è un altro gruppo che ha pubblicato in Liber, quindi ne ho pubblicate una parte, scritte negli anni del 1970, le ho pubblicate nell’1981 e poi un altro gruppo le ho pubblicate nell’1988, in realtà le ho scritte addirittura negli anni Settanta.
Luigia Sorrentino
Quindi le poesie, le date di pubblicazione della sua opera, non corrispondono sempre al periodo in cui ha scritto le poesie?
Franco Loi
No, non corrispondono quasi mai… perché io avrei voluto nell’Aria pubblicare tutte le poesie insieme e invece parte son finite parte in Liber, così in Isman ho pubblicato una parte delle poesie e un’altra parte è uscita poi in Aquabella…
Luigia Sorrentino
Ma chi è Isman?
Franco Loi
Io non dovrei dirlo… Isman è un principe che io ho conosciuto che mi ha condotto, e l’ho sempre detto per una ragione perché poi si dà luogo a delle interpretazioni come dire sempre fideistiche o addirittura così irrisorie e blasfeme … e allora io dico che è questo principe, in realtà si chiama Isman/ Ghiad, quindi è la stessa persona.
Luigia Sorrentino
Erminia, chi è questa donna che nomina in Isman?
Franco Loi
Ermina è una delle persone che ho incontrato nella mia vita e che hanno avuto un’importanza enorme per me. Per esempio io quando nomino Erminia in Isman è una mia amica che è un grande spirito che ha delle straordinarie qualità, doti, semplice, professoressa di lettere, sposata con tre figli. E’ una donna che normalmente senza cadere in trance lei parla con gli angeli, parla con la gente morta, vede, anche le cose e vede gli elfi, forse non sono gli angeli, allora sembrerebbe una questione indotta dalla chiesa cattolica, invece no. Lei vede anche gli elfi… e a me ha fatto vivere anche un’esperienza una volta con ei, appunto, per il mio scetticismo attorno a queste cose…
Eravamo su in montagna alla comunità sopra Ivrea. Li però non erano tutti preti, ma laici che erano andati a vivere in comunità e l’iniziatore è stato Enzo Bianchi. E allora mentre c’era un convegno io sono andato in giro con Erminia verso il bosco e lei mi ha detto: “Fermati qui non andar più avanti… Fermati. Vedi questo ceppo? E’ stato messo dagli elfi.” “Io non vedo niente – ho risposto – Vedo un pino e vedo un prato”. E lei: “ Bè non importa che tu non li veda. Tu non andar di là perché ti può capitare qualcosa, non è una cosa che ti capita subito, ma che ti può capitare andando avanti nella vita… una malattia, un incidente… perché gli elfi sono tremendi, se contravvieni alle regole, loro non sanno che tu non sai, loro sono disturbati dal convegno”… “E va bè, tu continui a parlarmi di queste cose che però io non vedo e non sento e quindi non so che cosa siano.” E lei: “ Bè allora ti faccio provare una cosa: metti una mano vicino a questo fiore.” E io ho messo la mano. “Cosa senti?” E io che avevo un braccio alzato ho detto: “Sento un formicolio, come adesso…” e le ho detto: “Aspetta ancora un po’ … ho sentito qualcos’altro”. E lei: “E adesso cosa senti?” “Sembra che ci sia un coleottero, piuttosto pesante che cammina sulla mano, ma non vedo niente, non c’è niente, però mi sembra”. Lei: “tu stai lì non ti muovere. Quello non è un coleottero ma è un roden. I roden sono degli esseri che curano il colore dei fiori, e quindi tu stai lì fermo e aspetta. Loro amano molto gli uomini. Però sono molto timidi, molto cauti, è venuto sulla mano perché ci sono io per cui si fida perché altrimenti non verrebbe. E poi dice: “Adesso tu aspetta vedrai che lui se ne va.” E allora, questo tipo di personaggio mi ha aiutato in tante cose… grande persona Erminia, è nelle mie poesie, in Isman.
Luigia Sorrentino
Franco, lei pensa mai alla morte? E cosa pensa che sia?
Franco Loi
Ci ho pensato per tutta la vita come tutti. Tutti pensano alla morte, magari non lo dicono… Da una parte io penso che sia come dormire uno prima di dormire mette la testa sul cuscino e si addormenta, poi c’è quello che ci pensa si rigira, poi ad un certo momento si addormenta pure lui. E poi decide di dormire, dorme. Il dormire nessuno però sa, e nessuno riesce a capire il momento in cui si dorme. Io ho provato, tante volte a volermi tenere la coscienza mentre sto dormendo addormentandomi, no non si riesce. Allora. La morte è come dormire. C’è chi dormirà tranquillamente senza sogni c’è chi farà dei sogni terribili, c’è chi dormirà e farà dei sogni bellissimi e c’è chi dormirà e c’è invece chi fa fatica a morire. Quanto più c’è attaccamento alla terra tanto più si fa fatica a morire.
Dopo la morte ci sarà quello che ci sarà. Dopo la morte, come dire… c’è un’altra vita come sarà questo non lo so. Sicuramente a seconda di come si è, ci sarà un’altra vita. Anche perché dice bene Santa Teresa: “L’inferno prima di tutto lo costruiamo dentro di noi” e io questo non fatico a pensarlo. Perché se un uomo è tormentato fa delle azioni che poi lo tormentano questo tormento poi se lo porta dietro anche dopo la morte.
Giacomo Noventa scrive nel finale di una poesia, perché c’è il bambino che gli chiede: “Papà cosa c’è nel cielo? “Le stelle figlio”, “e al di là del stelle?” “E aldilà? c’è Dio.” E l’altra dice “perché Dio tutti ne grazierà boni e cattivi , i cattivi un fiato più in là… i buoni così vicini come erano vivendo.” Tutto ciò che è in rapporto con la vita si conserva e si conserva dentro di noi è l’impronta dentro. Noi siamo come una carta molto sensibile che viene incisa da tutto ciò che accade, che sentiamo della vita e poi questa carta esce dal corpo, il corpo si scioglie questa carta ha tutto ciò che abbiamo timbrato sulla carta.
Siccome noi siamo fatti di anima e di corpo e di spirito, tutt’uno, però la parte sottile, la parte spirituale conserva tutto ciò che siamo, facciamo, ecco perché non è Dio che è cattivo, non è Dio che giudica, ma Dio ti dà la libertà.
Tutti dicono: “Ma come si fa a giustificare il male?”
Io domando: “Ma tu che sei padre, tuo figlio che cosa fa? Lo costringi a stare incatenato come vuoi tu? Deve andare nella vita. E lì lui fa quello che vuole. Se si droga, si ammazza, sei tu responsabile. Tu hai fatto quello che era possibile per dargli la vita migliore.”
Allora non è Dio, ma siamo noi che facciamo il male.
L’angelo, anche l’angelo ribelle è l’angelo che si ribella lui è dentro emanazione di Dio, in quanto Dio si esprime emana lo spirito, poi separerà le acque dalle acque, lo spirito divino dallo spirito incarnato. Dopo, ma prima è spirito. Tra questi spiriti creati c’è l’angelo che si ribella. E cosa vuol dire ribellarsi? Vuol dire che non riconosce la volontà di Dio. E allora lui diventa Satana. E allora quando Dante scrive: Innanzi a me non fuor cose create, se non etterne... L’inferno non è stato creato da Dio per l’uomo. Nel momento stesso in cui l’angelo si ribella a Dio, nasce l’inferno. E l’uomo, come l’angelo, costruisce il proprio inferno.
E’ inutile far congetture, immaginare cosa sarà, è che noi cominciamo ad aver avanti la vita e a vivere la vita secondo la nostra coscienza… Ecco l’importanza della poesia. E’ quanto più tu acquisisci coscienza della vita e consapevolezza e tanto più il pericolo della morte e dell’inferno si allontana. Se invecchi ti attacchi alle cose della vita e della terra, hai l’attaccamento che è diverso dall’amare le cose della terra. Pensaci.
Se tu ami una persona anche quando non la vedi e non c’è, l’ami lo stesso, mentre invece, gli uomini in generale, amano nel momento in cui ci sei dopo non ti amano più, quando sei lontano.
Così come amano le cose, le vogliono possedere, l’uomo vuole il possesso… ecco questo attaccamento alle cose, questo è male. Ma l’amare è bene. Allora io amo le cose della vita e non penso che le cose della vita me le porto dietro quando sono morto
Il poeta fa questo e quando vede questo e lo ordina in questo ordine, allora la gente che lo legge dice.. “ma guarda è vero!”
Amare il mondo è fondamentale per uno che scrive poesie.
Cume me pias el mund! L’aria, el so fiâ!
j àrbur, l’èrba, el sû, quj câ, i bèj strâd,
la lüna che se sfalsa, l’èrga tra i câ,
me pias el sals del mar, i matt cinâd,
i càlis tra i amís, i abièss nel vent,
e tücc i ròbb de Diu, anca i munâd,
i spall che van de pressia cuj öcc bass,
la dònna che te svisa i sentiment:
l’è lí el mund, e par squasi spettàss
che tí te ‘l vàrdet, te ghe dét atrâ,
che lü ‘l gh’è sempre, ma facil smemuriàss.
tràss föra ind i pernser, vèss durmentâ…
Ma quan’ che riva l’umbra de la sera,
‘me che te ciama el mund! cume slargâ
te vègn adòss quèl ciel ne la sua vera
belessa sena feng nel so pensàss,
e alura del tò pien te càmbiet cera.
Come mi piace il mondo! l’aria, il suo fiato!
gli alberi, l’erba, il sole, quelle case, le belle strade,
mi piace il salso del mare, le matte stupidate,
i calici tra gli amici, gli alberi nel vento,
e tutte le cose di Dio, anche le piccolezze,
e i tram che passano, i vetri che risplendono,
le spalle che vanno di fretta a occhi bassi,
la donna che ti turba i sentimenti:
è lí il mondo, che sembra aspettarsi
che tu lo guardi, che gli dai retta,
poiché lui c’è sempre, ma è facile dimenticarlo,
distrarsi nei pensieri, essere addormentati…
Ma quando arriva l’ombra della sera,
come ti chiama il mondo! come si allarga
e ti viene addosso quel cielo nella sua vera
bellezza senza finzioni nel suo riflettersi,
e allora per la tua pienezza cambi colore.
Da Isman
Luigia Sorrentino
Si ha ragione, la gente vuole possedere tutto… e i politici vogliono possedere il mondo…
Franco Loi
La gente vuole possedere il mondo, ma non lo ama per quello che è.
Se io guardo i tuoi capelli li vedo luminosi belli e questo mi appaga, non ho bisogno di prenderli i tuoi capelli, è così come sei … e spero che ti conservi come sei… e allora così son le cose, godiamocele, abbiamo la fortuna che non c’è la guerra e allora, godiamocele… e invece bramiamo sempre qualcos’altro… e invece… abbiamo sempre il sogno di qualcos’altro… abbiamo una donna ne vogliamo tre.. vogliamo il potere, lo stato. Vogliamo l’impero. In realtà non abbiamo niente, perché non sappiamo guardare… finché gli uomini sono così scoppia la guerra tra gli uomini e poi scoppia la guerra dentro di noi.
E questa guerra ce la portiamo dietro, credo oltre la morte. Questo è il senso della morte. A volte è come dormire… poi siccome ci sono i problemi, come dicono gli indù, che probabilmente può darsi anche, che uno debba rinascere… Ma come rinascerà?
Rinascerà portandosi dietro tutto ciò che non ha risolto prima. Inesorabilmente. Allora quello che non accetto nella religione indù è che sia automatico questo. Perché io posso scegliere. Allora io posso rinascere o posso non rinascere, ma sono io che lo scelgo. La libertà è fondamentale. Questa è la grandezza del cristianesimo che ha portato il senso della libertà dell’uomo. Perfino il dio ebreo è il dio degli eserciti, il Cristo è il Dio che è dentro l’uomo.
Quando domandano a Cristo: “Ma dove è il regno dei cieli?” e lui risponde: “Il regno dei cieli è dentro di voi.” E’ tale e tanta la libertà dell’uomo che già lui dentro di sé porta il regno dei cieli. Bisogna riconoscerlo e servirlo … Se tu non lo fai poi avrai la sorte che ti spetta. Poi però sei tu che decidi è come attraversar la strada puoi attraversarla e non attraversarla. Puoi stare attento e non stare attento. Se non stai attento vai sotto una macchina, se stai attento però, può essere che tu vada da quell’altra parte della strada.