THE LONG QUEEN
The Long Queen couldn’t die. Young when she bowed her head for the cold weight of the crown, she’d looked at the second son of the earl, the foreign prince, the heir to the duke, the lord, the baronet, the count, then taken Time for a husband. Long live the Queen. What was she queen of? Women, girls, spinsters and hags, matrons, wet nurses, witches, widows, wives, mothers of all these. Her word of law was in their bones, in the graft of their hands, in the wild kicks of their dancing. No girl born who wasn’t the Long Queen’s always child. Unseen, she ruled and reigned; some said in a castle, some said in a tower in the dark heart of a wood, some said out and about in rags, disguised, sorting the bad from the good. She sent her explorers away in their creaking ships and was queen of more, of all the dead when they lived if they did so female. All hail to the Queen. What were her laws? Childhood: whether a girl awoke from the bad dream of the worst, or another swooned into memory, bereaved, bereft, or a third one wrote it all down like a charge-sheet, or the fourth never left, scouring the markets and shops for her old books and toys – no girl growing who wasn’t the apple of the Long Queen’s eye. Blood: proof, in the Long Queen’s colour, royal red, of intent; the pain when a girl first bled to be insignificant, no cause for complaint, and this is to be monthly, linked to the moon, till middle age when the law would change. Tears: salt pearls, bright jewels for the Long Queen’s fingers to weigh as she counted their sorrow. Childbirth: most to lie on the birthing beds, push till the room screamed scarlet and children bawled and slithered in their arms, sore flowers; some to be godmother, aunt, teacher, teller of tall tales, but all who were there to swear that the pain was worth it. No mother bore daughter not named to honour the Queen. And her pleasures were stories, true or false, that came in the evening, drifting up on the air to the high window she watched from, confession or gossip, scandal or anecdote, secrets, her ear tuned to the light music of girls, the drums of women, the faint strings of the old. Long Queen. All her possessions for a moment of time.
LA REGINA LUNGA
La Regina Lunga non poteva morire. Giovane quando chinò il capo al freddo peso della corona, aveva guardato il figlio cadetto del conte, il principe forestiero, l’erede al ducato, il lord, il baronetto, il visconte, e poi preso per marito il Tempo. Lunga vita alla Regina. Di che cosa era regina? Donne, ragazze, zitelle, streghe e befane, balie, vedove, mogli, matrone, madri di tutte costoro. La parola della sua legge l’avevano nelle ossa, nell’innesto della mano, nel piede scatenato nel ballo. Non c’era bimba al mondo che non fosse figlia della Regina Lunga. Non vista, lei governava e regnava; alcuni dicevano in un castello, alcuni dicevano in una torre nel cuore di tenebra di un bosco, alcuni dicevano in giro cenciosa, travestita, a separare i buoni dai cattivi. Spediva lontano i suoi esploratori nel cigolio delle navi ed era regina di altre ancora, di chi, ora non più, in vita era stata femmina. Viva la Regina. Quali erano le sue leggi? Infanzia: se una ragazza si destava dal peggiore dei sogni, o un’altra illanguidiva nei ricordi, affranta, desolata, o una terza annotava tutto in un atto d’accusa, o la quarta mai s’allontanava, e perlustrava mercati e negozi alla ricerca dei suoi vecchi libri e giocattoli – non c’era ragazza che crescesse che non fosse beniamina della Regina Lunga. Sangue: prova, nel colore della Regina Lunga, il rosso reale, di intenti; il dolore quando una ragazza la prima volta mestruerà sarà insignificante, da non lamentarsi, e una volta al mese, legato alla luna, fino alla mezza età, quando la legge cambierà. Lacrime: perle di sale, gioielli lucenti che le dita della Regina Lunga peseranno nel contarne la pena. Parto: le più giaceranno sul letto di travaglio, spingeranno con urla che faranno scarlatta la stanza e i bambini gli guizzeranno strillanti fra le braccia, fiori ammaccati; alcune saranno madrine, zie, maestre, affabulatrici, ma chi l’avrà provato giurerà che il dolore valeva la pena. Nessuna madre ha partorito figlia che non onorasse nel nome la Regina. E i suoi piaceri erano le storie, vere o false, che giungevano la sera, e per l’aria salivano su all’alta finestra da cui lei guardava, confessione o pettegolezzo, scandalo o aneddoto, segreti, l’orecchio teso alla musica lieve delle ragazze, i tamburi delle donne, le flebili corde delle vecchie. Regina Lunga. Tutto le sue ricchezze in cambio di un attimo di tempo.
Una poesia di Carol Ann Duffy, ‘The Long Queen’ tratta da La donna sulla luna, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2011