UNA NOTTE D’INVERNO
La tempesta poggia la sua bocca alla casa
e soffia per emettere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tempesta assopita.
Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio
e il temporale mugola per lui.
Entrambi amano le lampade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio.
La tempesta ha mani infantili e ali.
La carovana si lancia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costellazione di chiodi
che tiene insieme le pareti.
La notte è immobile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
riposano come foglie affondate in uno stagno)
ma fuori infuria la notte!
Sul mondo passa una piú grave tempesta.
Poggia la sua bocca alla nostra anima
e soffia per emettere un suono – temiamo
che la tempesta soffiando ci svuoti.
***
EPILOGO
Dicembre. La Svezia è una nave malandata
in missione. Contro il cielo del tramonto sta
il suo albero aspro. E il tramonto è più lungo
di un giorno – la via che porta qui è sassosa:
solo verso mezzogiorno esce la luce
e il colosseo dell’inverno si alza,
illuminato da nuvole irreali. Allora sale d’un tratto
vertiginoso il fumo bianco
dai villaggi. Altissime stanno le nuvole.
Alle radici dell’albero celeste fruga il mare,
distratto, come in ascolto di qualcosa.
(Invisibile viaggia sull’altra metà
dell’anima un uccello che sveglia
chi dorme con le sue grida. Così il telescopio
gira, cattura un altro tempo
ed è estate: mugghiano le montagne, gonfie
di luce e il ruscello solleva lo scintillío del sole
nella mano trasparente… sparito in quell’attimo
come quando la pellicola di un film si spezza al buio.)
Ora l’astro della sera brucia attraverso la nuvola.
Alberi, recinti e case aumentano, crescono
nella silenziosa slavina che precipita nel buio.
E sotto la stella ancor più si suscita
l’altro paesaggio nascosto che vive
la vita dei confini sulla radiografia della notte.
Un’ombra trascina la sua slitta tra le case.
Stanno in attesa.
***
SFERE DI FUOCO
Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
Solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,
dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l’anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo e siamo sopravvissuti.
Tomas Tranströmer da: Poesia del silenzio, Crocetti Editore (Milano, 2001, 2008, 2011), a cura di Maria Cristina Lombardi
Tomas Tranströmer (Stoccolma, 1931 – 2015) ha studiato psicologia e poesia all’Università di Stoccolma.
Ha pubblicato il suo primo libro di poesie “17 Dikter” (Diciassette poemi) nel 1954, e allo stesso tempo continuò diventando un autorevole psicologo, lavorando prima in un carcere minorile e poi con disabili e tossicodipendenti.
Nonostante una grave malattia gli abbia provocato una dolorosa paralisi, non ha mai smesso di scrivere.
Nel 2011 l’Accademia di Svezia gli conferisce il prestigioso premio Nobel per la letteratura
Tranströmer è stato anche uno psicologo impegnato nel sociale. Ha lavorato con disabili e nelle carceri minorili, con detenuti e tossicodipendenti. Attività svolte fino al 1990 quando è stato colpito da un ictus che ha gli ha gravemente compromesso la capacità di parlare. Nonostante la malattia Tranströmer ha continuato a scrivere. E soprattutto a suonare il piano, passione che dopo la malattia ha coltivato con una sola mano, la sinistra.
Nel 2004 ha vinto il Premio Nonino per la raccolta “Poesie dal silenzio”, pubblicata da Crocetti Editore