Le Ottave di Emilio Rentocchini

Emilio Rentocchini, per gentile concessione di Giorgio Giliberti

NOTA DI LETTURA DI LUIGIA SORRENTINO

Emilio Rentocchini è un poeta grandissimo e raro. Scrive ottave in endecasillabi in un idioma sassolese, una lingua scomparsa quasi reinventata dal poeta, che sopravvive nella sua memoria, una lingua di mezzo tra il modenese e il reggiano. Véver e basta uguel a trasparir (Vivere e basta equivale a trasparire), verseggia il poeta come un menestrello, con una voce antica e ultima, e raccoglie nella forma stretta del verso, la verità più profonda: il valore della vita.

Ecco che l’aspetto del linguaggio elevato a simbolo, diventa sostanza, essenza, al di là dell’apparenza delle cose, argine al quale appigliarsi, e nella pronuncia, la lingua  si fa slavina,  neve che si stacca dalla montagna e scivola via.

Grazie alla pubblicazione di Lingua madre, (Incontri Editrice, Sassuolo, pp. 296, euro 14), è possibile attraversare tutta la produzione in versi di Emilio Rentocchini.

L’opera raccoglie le poesie di Otèvi (1994), Segrè (1998), Ottave (2001), Poediànt (2004), Giorni in prova (2005), Stanze di confine (2014).

Le ottave del poeta di Sassuolo sono 256, composte nell’arco di più di vent’anni in una gabbia metrica che rimanda al Boiardo e all’Ariosto, straordinari poeti della sua terra. Ogni poesia è accompagnata dalla traduzione in italiano, una variante “autosufficiente e persuasiva”, come ebbe a definirla Giovanni Giudici.

195

Véver e basta uguel a trasparir
e ander via veirgin, soul chi gh’la fa a fer
dla sô realtê un sìmbol al sa sintir
d’esr esistî; l’è deintr al spec mea cer,
panê, ch’i armàgnen lè i noster respir
mai pers: nueter, segrét, in al penser
di eter. Palida luna al dopmesdè
t’ê la risposta in me ai dè d’in dè.

Vivere e basta equivale a trasparire
e andarsene vergini, solo chi fa
della sua realtà un simbolo sente
di essere stato; è nello specchio
appannato che restano i nostri respiri
non perduti: noi, segreti, nel pensiero
degli altri. Pallida luna del pomeriggio
sei la risposta, in me, ai giorni comuni.

199

Al fiour, òreb e mót, al seint chi al guerda,
as lancia incountra a l’aria a l’incontrari
léber da la sô tera ed gera o merda
e al sa d’eser dla lus dal lucernari
fiurand, ed véder, anch per chi an le guerda.
Se un po’, dre grot seinsa n’intestatari
do tótt l’è melta e gresta, as volta al clour
d’un pisalet pulvreint, mai piò dulour.

Il fiore, cieco e muto, sente chi l’osserva,
si slancia incontro all’aria all’incontrario
liberato dal terreno di ghiaia o sterco
e sa di essere della stessa luce del lucernaio
fiorendo, di vetro, pure per chi non lo guarda.
Se poi qualcuno, lungo dirupi privi di intestatario
dove tutto è argilla e crosta, si volge al colore
di un piscialetto polveroso, mai più dolore.

da: Lingua madre, (Incontri Editrice, Sassuolo, 2016)

Emilio Rentocchini è considerato uno dei più importanti poeti italiani contemporanei.
Nato a Sassuolo nel 1949 ha scritto in dialetto sassolese numerosi libri, tra i quali “Segrè” (1998), “Ottave” (Garzanti, 2001), “Giorni in prova” (Donzelli, 2005), “Del perfetto amore”, (Donzelli 2008), “Lingua madre. Ottave 1994-2014”  (Incontri 2016), “44 Ottave” (Book 2019). Daria Menozzi gli ha dedicato il documentario “Giorni in prova. Emilio Rentocchini poeta a Sassuolo” (Vivo Film 2006). Nel 2016 ha vinto il Premio Lerici Pea, nel 2019 il Premio Pierluigi Cappello e il Premio Crovi.
Giovanni Giudici recensendo Ottave sul Corriere della Sera scrisse  che si trattava di vere varianti, cioè due scritture diverse e complementari. E Rentocchini ha confermato di aver scritto in ottave, ma due volte, cioè per sedici endecasillabi, otto più otto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *