L’ultima stazione
Su Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis
di Fabrizio Fantoni
Basta con le lacrime, vecchio imbroglione!
Smettila di piagnucolare, hai vissuto tanti anni e non ne hai afferrato uno solo, hai desiderato sempre ciò che non potevi avere. La vita ti è passata vicino e adesso la morte, la grande sconosciuta si è posata sulla tua fronte. Forza, devi sbrigarti, devi arrenderti al tempo, devi morire.
Questo frammento del terzo libro del De Rerum Natura di Lucrezio nella traduzione di Milo De Angelis potrebbe costituire un valido commento all’ultimo libro di poesie dello stesso De Angelis Linea intera, linea spezzata (Mondadori, 2021).
Vi è, infatti, una corrispondenza fra l’opera di Lucrezio, (che Milo sta sistematicamente traducendo da molti anni) e l’ultima produzione poetica di De Angelis. Questo lavoro quindi, è testimonianza di un antico sodalizio artistico, un dialogo a distanza mai interrotto fra due maestri che ora trova una concreta e definitiva forma.
È tardi, siamo all’ultima fermata. La vita è passata accanto e al poeta non resta che prolungare l’attimo, fermarsi sul limite per l’ultimo saluto, l’ultimo colloquio, l’ultimo sguardo, per vedere ancora una volta la pioggia cadere…
Il confine che separa l’essere ancora e il non essere più, è breve, fragile, eppure, in questo spazio infinitesimale, mai la vita è stata più vera. Su questo margine che divide ed attrae il poeta rivolge lo sguardo in se stesso per ritrovare la verità e la bellezza di una vita che ora, solo ora per la prima volta, è solamente vita, esistenza che si srotola di fronte ai suoi occhi e gli rivolge lo stesso interrogativo che Lucrezio pone nel secondo libro del De Rerum Natura: “Ti basta questo, ti basta questo spettacolo per guarire la tua anima folle di paura, ti basta questo?”.
In questa domanda è racchiuso il nucleo tematico attorno al quale ruota Linea intera, linea spezzata e, al tempo stesso, la ragione per cui queste poesie sono state scritte.
È una condizione esistenziale che accomuna molti artisti e poeti che nella fase finale della loro vita hanno cambiato repentinamente modo di scrivere o fare arte. L’ultimo periodo della pittura di Tiziano e Caravaggio, le pitture nere di Goya, l’ultimo periodo della poesia di Caproni e Luzi cosa sono se non il tentativo di rispondere alla domanda che la vita stessa gli poneva: “Ti basta, ti basta tutto questo…?”.
A questo interrogativo Milo De Angelis risponde con una poesia che si dilata…. il verso lungo, pacato, che si fa misura dell’attesa e che si allunga e che improvvisamente diventa una lama che fende, ferisce, uccide.
Più tardi, nel silenzio di una via, hai trovato una lampada,
hai intonato la dolce canzone degli astri in movimento,
sei arrivato di fronte all’antico portone.
Ricordiamo, ricordiamo esattamente. Tutto avvenne
in una festa di ragazzi. Lei era lì e ti aspettava.
Non sapeva nulla di te, ma ti aspettava. Aveva un nome che hai osato
chiamare e l’hai ripetuto come un’anniversario, l’hai spinto
nel cerchio della tua voce. “Vuoi andartene o restare?”
“Voglio restare qui, mi manca solo ciò che palpita vicino.
Con Linea intera, linea spezzata De Angelis compie la sua descensio ad inferos dove, in un’oscurità che non conosce alba, si compie la poesia dell’incontro e del distacco. La scrittura, allora, diviene evocazione e testimonianza di ciò che è stato: progressivamente – tappa dopo tappa – i luoghi, gli amici, gli amori sono convocati per l’ultima volta dalla parola del poeta, in un tempo immobile, “su un confine tremendo, tra un nulla e l’altro nulla”.
Negli spazi bianchi tra le parole riaffiora sempre la stessa silenziosa domanda: “ti basta, ti basta questo….?”, e ancora, “vuoi restare o andartene?”.
Restare o andarsene! Ecco la scelta primaria alla base dell’esistere umano ed è su questa linea d’ombra che si pone la poesia di Milo De Angelis.
La serietà della morte ci ha accompagnato per tanti anni
con le voci interiori che all’improvviso esplodevano
l’abbiamo portata con noi nei supermercati e negli uffici postali
compilando moduli con una mano fuori dal tempo, l’abbiamo
taciuta per tanti anni tra i banchi di scuola e il campanello
dell’ultima ora, l’abbiamo taciuta per tanti anni
mentre gridava nel verde potente di un biliardo, l’abbiamo
sentita nella stretta musicale di un abbraccio, la serietà
della morte, ora ci attende con le sue mani oscure e un fermaglio
di legno nei lunghi capelli e ora usciremo dal teatro
e cammineremo da soli nel buio fino al luogo cruciale,
fino alla casupola vicino al fiume, dove finiremo
attenti a non sporcare nulla di sangue,
costringeremo il nulla a svelarsi.
La decisione di uscire dalla vita è conseguenza della costante presenza della morte nella vita di ogni uomo, di ogni donna, del suo permeare ogni esperienza senza concedere tregua né riposo. A questo richiamo non ci si può nascondere, la sua origine è nella notte che alberga in ognuno di noi e, come una fiamma, divampa portando allo scoperto tutto il male del mondo che “è annidato dentro te, dentro te dentro te”. E poi… il lento scivolare, la quiete dello stagno, “l’estrema pronuncia silenziosa” che si dà alla morte.
Nei versi de L’ora inestesa – poesia sopra interamente citata – ritorna la commossa linea spezzata che da sempre unisce la poesia di De Angelis a Cesare Pavese.
Per entrambi la discesa nel gorgo è una vana parola, un grido taciuto, un silenzio.
Ci accorgiamo come i componimenti di Linea intera, linea spezzata siano ricapitolativi di tutta la poesia di Milo De Angelis: la tematica dell’addio, l’ombra, il voltarsi indietro, il dialogo incessante con la morte iniziato nell’adolescenza raggiungono in quest’ultimo libro una piena compiutezza.
In tale prospettiva deve essere letta la splendida e straziante poesia Exodos contenuta nella IV e ultima sezione del libro: “Aurora con rasoio”.
In essa ritroviamo la lucida “perplessità esistenziale” che da sempre anima la poesia di De Angelis. Qui la parola del poeta si posa, accarezza gli oggetti, reliquie di un tempo che non è più: tutto quello che poteva essere è già stato.
L’orizzontalità della parola si fa repentinamente verticale nel vuoto che incombe a un passo da noi. Siamo di fronte al nulla che attende il nostro ritorno.
La transitorietà dell’esistere, la qualità vulnerabile che accomuna tutto ciò che vive, si sostanzia in quei pochi centimetri che separano l’uomo dal vuoto. Nulla è narrato, nulla è letterario. La parola del poeta si arresta dinnanzi all’accadere e il silenzio che chiude la poesia è il suono dell’inevitabile.
In un modo o in un altro scenderemo nel “bianco precipizio” e allora, per la prima volta, saremo finalmente noi stessi di fronte al silenzio.
In noi giungerà l’universo,
quel silenzio frontale dove eravamo
già stati.*
_______
*Nota: da Millimetri, Milo De Angelis, Einaudi, 1983
EXODOS
Arrestiamo, per un attimo, la corsa
ritmata di questa maratona
guardiamo il foglietto del calendario
con i gatti, in cucina.. Erano tanti
i ragazzi giunti in casa con le loro mani
desiderose di festa, le tartine, gli amaretti.
Tu guardavi smarrito i ritratti alle pareti
che ti sussurrano non è difficile, non è
difficile non è difficile, basta uscire
sul balcone e fissare una macchina ferma,
fissarla a lungo, tracciare una linea
verticale tra te e lei, chiudere gli occhi.
da Linea intera, Linea spezzata, (Mondadori, 2021)
Milo De Angelis (Milano 1951) ha esordito con Somiglianze (Guanda 1976), seguito da Millimetri (Einaudi 1983; Il Saggiatore 2013). I successivi Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Biografia sommaria (1999), Tema dell’addio (2005, premio Viareggio), Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010), Incontri e agguati (2015) sono tutti editi da Mondadori, come il riassuntivo Poesie (2008). È anche autore di un’opera narrativa, La corsa dei mantelli (Guanda 1979; Marcos y Marcos 2011), e della raccolta di saggi Poesia e destino (Cappelli 1982). Le sue interviste sono raccolte in La parola data, con DVD di Viviana Nicodemo (Mimesis 2017).
La straziante aridità di questa ierofania rovesciata, il tuono muto dell’universo che si precipita in noi per pugnalarci, la fatale agnizione che giungerà un attimo dopo di noi…forse solo l’ultimo Caproni, fra i contemporanei italiani, è giunto a tale grado di mimesi dell’indicibile. O le visioni di “Millimetri”, forse l’unica escatologica laica ancora proponibile.