I poeti del Festival “Piombino in Arte”

A confronto con Onofrio, Poletti e Vitale

NOTA DI MATTEO BIANCHI

Da mercoledì 21 a sabato 24 luglio, saranno i poeti i protagonisti indiscussi della quinta edizione di Piombino in Arte, già Populonia in Arte, festival organizzato dall’associazione EstroVersi con la direzione artistica di Cinzia Demi e il supporto del Comune di Piombino. Giovedì 22, alle 19, sulla terrazza mozzafiato dell’Hotel Esperia di fronte all’Isola d’Elba, sarà proprio Demi a intrattenere la platea con i personaggi della Commedia dantesca, prendendo il largo da un suo libro che ha riscosso un’attenzione particolare tra i ragazzi, Incontriamoci all’Inferno (Pendragon). E dopo una cena con l’autrice fuori dagli schemi, alle 21, nel giardino dell’ex Pro Patria, si leggeranno e commenteranno i versi di Bruno Galluccio, Cristiano Poletti, Marco Vitale, Marco Onofrio, Michele Paoletti, Fabio Canessa e Davide Puccini. A seguire, sarà premiato il vincitore della II edizione del concorso letterario #assaggidipoesia, Axel Sintoni, il più votato dalla giuria popolare.

Dal canto suo, Marco Onofrio ha deciso di fissare al foglio un inestinguibile Azzurro esiguo (Passigli, 2021), metafora del meccanismo cosmico di cui siamo parte: «L’azzurro, ossia il colore del cielo, dell’ossigeno che ci tiene in vita, e del mare, da cui la vita è originata, appare “esiguo” perché infinitesima, ma infinitamente significativa e preziosa è la goccia della vita su scala universale – argomenta – quindi il prodigio di questo pianeta rispetto al buio e gelido orrore del vuoto senza fine in cui rotoliamo, così come l’apertura brevissima della nostra esperienza tra gli abissi del “prima” e del “dopo”. L’azzurro appare “esiguo” anche perché nell’esistenza di ognuno i dolori sono in genere più numerosi e frequenti delle gioie, tanto che per ogni fuggevole gioia càpita di pagare un prezzo salatissimo che, a posteriori, ce la fa quasi detestare, oltre che rimpiangere. E tuttavia è proprio questa creaturale, disperata fragilità a rendere l’azzurro inestinguibile, sì, e irrinunciabile la necessità di fermarlo e salvarlo attraverso la parola». Nella poesia eponima, con cui il libro si conclude, Onofrio scrive tra l’altro:

Come riuscire a dire l’azzurro esiguo
dentro l’universo tutto nero?

Siamo lampi che aprono il mondo
tra due abissi di tenebra infinita.

La nostra casa è lo sguardo
il canto, l’amore, il senso
la disperata, ultima parola.

Il porto di Piombino al tramonto

Che il sereno sia la più diffusa delle nubi, chiamando in causa Montale, lo contesta Cristiano Poletti con i suoi fatidici Temporali (Marcos y Marcos, 2019), in cui la poesia viene dalla realtà, o meglio, prorompe dalla realtà per vivere nell’esperienza di ciascuno, in ogni gesto di ogni giorno.

«Il temporale è un episodio – incalza il poeta – un’energia improvvisa che può provocare sconquasso: parliamo di uno scacco, uno strappo, di qualcosa che suona come uno sparo, improvviso appunto. È l’episodio che mi sembra esattamente e interamente rappresentativo della vita, anzi arriverei ad affermare che è la vita. Così mi vien da dire che “Dio è nel tuono” e che i temporali siamo noi: la vita stessa, in fondo, è un episodio: l’arco delle nostre esistenze temporali, la finestra temporale che ci è data, i nostri fini temporali. E ho anche pensato a questo: l’ellissi temporale che fa saltare il filo di una storia, o anche: il potere temporale, o l’osso temporale che abita il nostro corpo. In questo mio nodo di convincimenti, mi sostengono due maestri: Kierkegaard, che iniziando la sua Malattia mortale del 1849 scriveva: “L’uomo è spirito… Lo spirito è l’io… L’uomo è una sintesi dell’infinito e del finito, del temporale e dell’eterno”. L’altro appiglio fondamentale è Hölderlin: in una sua lettera del 1802 definiva il temporale per noi “qualcosa di sacro”, unitamente alla “luce filosofica alla mia finestra” scriveva, che “è ora la mia gioia”. Ecco, in questo nodo vive il mio entusiasmo».

Secondo l’ultima raccolta antologica di Marco Vitale, Gli anni (Aragno, 2018), non può esistere poesia senza memoria, anche quando sembra in presa diretta sul presente: «È sempre una traduzione di qualcosa che comunque ci richiama “in servizio” – precisa – per trovar posto sulla pagina. Quanto di questa memoria passa? Non lo sappiamo. Forse proprio per questo Borges colloca lo spazio della poesia tra memoria e oblio. Devo dire che  il tema della memoria ha preso un posto sempre maggiore nella mia scrittura con il trascorrere degli anni, e la posta in gioco è proprio l’esperienza».

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