Angelo Maria Ripellino, “Lo splendido violino verde”

Angelo Maria Ripellino

COMMENTO DI UMBERTO BRUNETTI

 

19. Il cappellaio Aurevoir è morto ieri a Parigi

 

 

Da un’assonanza con il Monsieur Miroir di una poesia di Philippe Soupault (Funèbre) trae origine «il cappellaio Aurevoir» di que­sta lirica, che assume la forma di un fittizio annuncio funebre. L’autunno parigino fornisce una cornice malinconica, che sembra quasi immortalata all’in­terno di un film in bianco e nero («Parigi ricalca i suoi rami nudi / nella cartacarbone del cielo») con un rapido avvicendamento di immagini e una progressiva restrizione del campo: dall’intera città si passa al lungosenna, a rue des Rennes e, infine, all’interno del «negozietto» di cappelli. La scelta del personaggio del cappellaio consente al poeta di costruire una successione di metafore: le pagliette «piangono», il nero dei cilindri «batte le ciglia», «le bombette sono uova di gelo». La climax è costruita su un passaggio dal movimento all’im­mo­bilità e dalla personificazione al ritorno in oggetto, come se la morte abbracciasse anche le creazioni del protagonista. Conferisce struttura circolare al componimento la ripetizione dell’incipit al v. 9 con un’u­nica variante: l’assenza dell’ap­po­sizione «cappellaio». La distanza fra Aurevoir e l’ele­men­to che prima lo caratterizzava, i cappelli, è ora pari alla distanza fra la vita e la morte, e la cesura è ormai insanabile.

Con le note di Cole Porter come sottofondo, quasi in una coda finale senza immagini, si chiude la poesia, che traspone nell’immaginario di una Parigi passata il tema dell’ineluttabilità della morte, colta non nel dramma di chi se ne va, ma nel vuoto e nel dolore di ciò che rimane, in un ‘arrivederci’ che è in realtà un addio.

 

Metrica: strofa di undici versi, principalmente endecasillabi, alternati a un quadrisillabo (v. 11), un decasillabo (v. 4) e due versi composti (doppio ottonario il v. 1, endecasillabo piú trisillabo con ritmo dattilico il v. 2). Rime di vv. 4-8 «cielo : gelo» e, ipermetra imperfetta, di 6-11 «tortore : Porter». Rima identica di vv. 1-9.

 

Il cappellaio Aurevoir è morto ieri a Parigi.
Lungo la Senna balbetta una folla di foglie.
Parigi ricalca i suoi rami nudi
nella cartacarbone del cielo.
Il negozietto a rue de Rennes è chiuso.                                                           5
Piangono le pagliette come tortore,
batte le ciglia il nero dei cilindri,
le bombette sono uova di gelo.
Aurevoir è morto ieri a Parigi.
Straziante, insulso, disperato autunno,                                                           10
o Cole Porter.

 

 

  1. Il verso è ispirato al breve componimento di Philippe Soupault, Poèmes et poésies, Funèbre: «Monsieur Miroir marchand d’habits / Est mort hier soir à Paris / Il fait nuit / Il fait noir / Il fait nuit noire à Paris». Ripellino parla di Soupault nel suo articolo Dadaismo del 1960 (cfr. Ir, pp. 359-366).
  2. Lungo… foglie: una simile immagine è usata in apertura dell’articolo teatrale pubblicato il 10 xi 1974 (SB 85, p. 335): «Autunno parigino. Tappeti di foglie rossicce sui lungosenna». Per la metafora con allitterazione «folla di foglie» cfr. S 14, vv. 10-11: «È tardi, sugli alberi bràncola /
una frivola folla di foglie».

6-8. Piangono… gelo: sono elencate tre tipologie di cappelli, «pagliette», «cilindri» e «bombette», che esprimono il lutto per la morte del loro creatore; di questi, i primi due sono personificati.

  1. Straziante… autunno: l’endecasillabo è costituito da una triade di aggettivi che precedono il sostantivo creando un senso di sospensione. Cfr. n. 67, v. 18: «goffo, appallottolato, bruciante silenzio». «Disperato» è un lemma tematico della raccolta (cfr. poesie nn. 2, 4, 35, 60 e 75).
  2. Inaspettata l’invocazione finale al celebre compositore statunitense, nella cui musica Ripellino rintraccia il corrispettivo della malinconia autunnale. Cfr. SB, 30, p. 190: «Ed è curioso che basti un Cole Porter con la sua provvista di mood, con la sua umida musica, a suscitare atmosfere da Tre sorelle». Per il nome di persona in chiusa di componimento cfr. n. 45: «come gli occhi di Irina Petròvna»; n. 71: «tutti a casa di Čechov».

 

Angelo Maria Ripellino, Lo splendido violino verde, edizione introdotta e commentata da Umberto Brunetti, con due scritti di Corrado Bologna e Alessandro Fo, Artemide, Roma, 2021.

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Ripellino rima con violino

Corrado Bologna

 

Nel regesto sentimentale e culturale di Ripellino mette dunque conto di rilevare, inattesa, centrale, la congiunzione di Montale dagli Ossi fino al Diario con quelli che definirei un crepuscolarismo e un futurismo trascendentali. Ma c’è anche, ovviamente, il barocco: «la letteratura come itinerario nel meraviglioso», come «tentativo di agghermigliare la gioia della parola» (così Ripellino stesso, introducendo al celebre libro apparso nel 1968 nella collana “verde” einaudiana). E si tratterà di intendere con prudente delicatezza l’accezione ripelliniana di questa categoria-portemanteau.

A partire da Notizie dal diluvio (1969), «diario di un anno calamitoso» sulla soglia dei tragici Settanta, e poi nello splendore ombroso e funerario, talora perfino infernale di Sinfonietta (1972), fino allo Splendido violino verde (1976) e all’estremo Autunnale barocco(1977), ho sempre pensato che il barocco di Ripellino sia da rimeditare nella coerenza del suo prender forma e trasformarsi, ben oltre le scelte stilistiche e figurali dell’accumulazione, dell’enumeración caótica, della foresta di metafore: insomma al di là delle strutture poetiche storicamente riconducibili alla “letteratura barocca”. Il barocco ripelliniano è a mio parere soprattutto una modernissima, complessa scienza mnemonico-combinatoria universale camuffata da Das letzte Variété, è l’orchestrazione cosmologica di futili minuzie lampeggianti, comete lanciate in una danza folle nell’universo esploso, di cui nonostante tutto si continua a sognare, anche “dopo il Diluvio”, la smarrita Armonia, la fondazione unitiva del visibile e dell’invisibile, il sistema di corrispondenze dell’universo del molteplice garantito dalla Poesia, unica meraviglia, che «cerca di abbracciarlo e di render viva l’unità del mondo».

 

 

«Datemi un violino, e»…
Concerti da camera che spostano il mondo
Alessandro Fo

 

Nell’aprile del 1986 ero a Trieste, ospite di amici in un loro appartamento momentaneamente libero. Trascorrevo con piacere anche diverse ore in un paio di vicine librerie dell’usato, a caccia di libri lungamente desiderati, o non ancora conosciuti e pronti a rivelarsi come sorprese. Fra questi ultimi, capitò che m’imbattessi in uno smilzo volumetto della ‘bianca’ Einaudi del quale ignoravo totalmente l’esistenza, e che perciò mancava alla mia provvista ripelliniana di libri ‘per i giorni a venire’: Lo splendido violino verde.

Quella sera si replicava in televisione un film che ho sempre molto amato, Le due inglesi di François Truffaut, e cosí mi inoltrai nella notte in sua compagnia. Ma, sebbene fosse ormai piuttosto tardi, non resistevo alla tentazione di dare almeno una prima occhiata al fortunato e rarissimo reperto della giornata.

Era forse la prima volta che ascoltavo davvero con un po’ di attenzione la voce poetica di Ripellino. Ne rimasi travolto, fin dalle prime due poesie, con quello «scrittore che ha fatto molto parlare di sé», che ora «sente di essere ormai l’improprio, il superfluo,/ un fuori tempo, una sperduta Groenlandia», consapevole del rischio di essere «allegramente dimenticato» – anche perché «guai a chi si costruisce il suo mondo da solo».

Forse l’implicita captatio benevolentiae produceva i suoi effetti, disponendo a tenerezza nei riguardi di un poeta ferito. Entravo cosí con la piú affettuosa curiosità in quel suo universo, programmaticamente strampalato, per il quale mi sembrava di tornare a sentire lo slogan pubblicitario che, fra aromi di krapfen, riecheggiava in quegli anni al Luna Park romano dell’eur: «Un mondo strano, bizzarro, fantastico!».

 

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Angelo Maria Ripellino (Palermo 1923 – Roma 1978) è stato professore di letterature slave, traduttore, poeta, giornalista e critico teatrale. Fra le sue opere maggiori si ricordano i saggi-romanzi Il trucco e l’anima (1965) e Praga magica (1973). Ha pubblicato inoltre sei raccolte di versi, tra cui spiccano La Fortezza d’Alvernia e altre poesie (1967), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976).

 

Umberto Brunetti (Foggia 1989) è dottore di ricerca in italianistica. Insieme ad Antonio Pane ha curato il volume Iridescenze(Aragno 2020), che raccoglie tutte le recensioni e le note di argomento letterario scritte da Ripellino. Per Raffaelli editore ha pubblicato nel 2017 un poemetto in terzine intitolato Urbineide.

 

 

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