a mio padre
Prenderò forse un giorno questo treno
su cui, da molto tempo,
non sarò più salito. Sempre
lo stesso viaggio, i monti da una parte
di là il mare. Non mi starai aspettando
a Pietrasanta dove ti vedevo
dallo scompartimento che fumavi.
Di solito però il treno era un altro
dalla stazione a casa
la camminata breve, il carico
leggero. Era Firenze
e i muri così grigi, e i tetti così chiusi
e l’Arno aperto. Sono in ritardo mangio
Il pranzo riscaldato chiacchieriamo,
e ogni parola tace
più di quanto non dice
costretta nello sforzo di coprire
la cadenza romana
che a Roma, spesso, accentuo,
la domenica guardiamo la partita
la vedo, normalmente,
sdraiato sul mio letto o sul divano
senza di te, lontano.
Il desiderio di essere a tua immagine
e somiglianza
l’amore, a volte l’odio la paura
d’esserti figlio sotto condizioni
riceverò il tuo affetto solamente
se ti sarò piaciuto.
Per te, forse, lo stesso.
Mi venivi a trovare da bambino:
era il giorno del primo dei ricordi,
siamo andati allo zoo, ridevi
e mi sporgevi verso
La vasca degli orsi polari –
qualcuno ci ha fatto una foto.
Con te portavi doni
giochi pupazzi e qualche scatto d’ira
che più tardi ho imitato. Noi a Firenze
ancora e adesso è notte, la cucina
la scopa a nove carte, tradizione
di famiglia giocasti
col nonno che ho conosciuto appena
la notte prima dell’operazione.
Parli della tua vita, va il mio sguardo
sulla tovaglia a quadri azzurri
e bianchi, ascolto la tua voce
che mi racconta storie, padre a figlio.
*
Per mia madre
Tu sai che morirai
prima di me, è giusto,
e anch’io non voglio darti
il dolore di sopravvivermi.
E quando morirai sarò al tuo fianco,
spero, pronto a donare e avere,
ogni parola e abbraccio, fino
all’ultimo dei giorni
con te vicina prima
di un addio che certo
non capirò da subito
essere tale, un distacco
che non saprò pensare
di cui non saprò dare conto.
Che sia il figlio a restare è naturale.
ma non so
chi ci sarà a lenire il mio dolore
nei pensieri notturni o intento
a fare l’inventario dei tuoi scritti.
*
UNO SCONTRO
Di solito un tragitto familiare
non crea stupori passa
rapidamente e lascia
chi lo percorre
Agli usi consueti della meta.
Eppure c’è stata una notte
quando col corpo mi hai spezzato il vetro
e sulla strada poco illuminata
pezzi di ferro,
ma soprattutto plastica
brandelli di lamiera.
La ragnatela sotto
i due tergicristalli
allude, forse, al mio destino,
trappola al volo ignaro
di una mosca (ricordo
che, prima, il parabrezza
era intatto). Sento le tue domande
da terra il ginocchio spezzato.
“Perché proprio quel luogo, quella strada?
perché non prima o dopo?”
È il prezzo da pagare
per tutte quelle volte che non c’ero
e sei sopravvissuto
senza che ce ne siamo resi conto,
per quelle volte che non sono morto.
Carlo Carabba, La prima parte, Marsilio, 2021
Carlo Carabba è nato nel 1980 a Roma, dove si è laureato in Filosofia e dove ha vinto una borsa di studio per un dottorato in Storia della filosofia moderna. Ha pubblicato le raccolte di poesia Gli anni della pioggia (peQuod 2008, premio Mondello opera prima), Canti dell’abbandono (Mondadori 2011, premio Palmi e premio Carducci) e il memoir Come un giovane uomo (Marsilio 2018, selezionato nella dozzina del premio Strega). Vari suoi interventi sono apparsi sulla rivista Nuovi Argomenti, di cui è stato caporedattore. Lavora nell’editoria.