Elena
Uccisa con la prima goccia della pioggia l’estate
Madide le parole un tempo madri a chiaro d’astri
Parole tutte destinate solo a Te!
Dove mai tenderemo le mani ora che il tempo non ci calcola più
Dove mai getteremo gli occhi oramai che le remote linee
hanno fatto naufragio nelle nubi
Ora che le tue palpebre sopra i nostri paesi sono chiuse
E siamo – come invasi dalla nebbia – soli
Soli assediati dalle tue sembianze morte.
Con la fronte sul vetro vegliamo il nuovo cruccio
Non è la morte che ci abbatterà se ci sei Tu
Se un vento altrove c’è che tutta intera ti vivrà
Ti vestirà da presso come la speranza nostra ti veste da lontano
Se altrove c’è
Una pianura verde di là dal tuo sorriso fino al sole
E gli confida che c’incontreremo ancora
Non è la morte che fronteggeremo no
Ma così breve goccia della pioggia d’autunno
Un sentimento torbido
L’odore della terra infradiciata nelle anime nostre che s’allontanano via via
Se non è la tua mano nella nostra
Se non è il sangue nostro nelle vene dei tuoi sogni O la luce nel cielo immacolato
E dentro noi la musica segreta – malinconica
Pellegrina di tutto ciò che ci tiene al mondo ancora
È quest’umido vento l’ora dell’autunno il distacco
L’amaro appoggio del cubito al ricordo
Che spunta quando già la notte sta per scinderci dal chiaro
Di là dalla finestra quadra
Che guarda sull’angoscia e nulla vede
Perché s’è fatta musica segreta vampa al focolare bàttito
dell’orologio grande alla parete
Perché s’è già cangiata
In poesia – verso su verso – in suono parallelo a pioggia lacrime parole
Altre parole eppure anch’esse destinate solo a Te!
*
La Passione
Salmo II
Lingua mi diedero greca,
povera casa sui lidi d’Omero.
La lingua mi fu l’unica cura sui lidi d’Omero.
Ivi la perca e il sarago
ventosi verbi
verdi correnti nell’azzurro
e ciò che vidi accendersi nei visceri
spugne, meduse
con le prime parole di Sirene
conchiglie rosa con le prime strie di nero.
La lingua mi fu l’unica cura con le prime strie di nero.
Ivi cotogne, melagrane
e bruni iddii, cugini e zii
l’olio che si vuotava nelle botti immense
aliti dalla correntìa fragranti
di giunco e di lentischio
di ginestra e di zenzero
coi primi zirli dei fringuelli;
salmodie dolci con i primi Gloria Patri.
La lingua mi fu l’unica cura con i primi Gloria Patri!
Ivi palme ed allori
l’incenso vaporante
benedicente spade e carabine.
Sul terreno – un ammanto di vigneti –
nidore, brindisi di uova
Cristo è risorto
coi primi botti degli spari greci.
Mistici amori con l’incipit dell’Inno.
La lingua mi fu l’unica cura con l’incipit dell’Inno!
Odisseas Elitis, Poesie, a cura di Filippomaria Pontani, traduzioni di Filippo Maria Pontani, Filippomaria Pontani e Nicola Crocetti, Crocetti/Feltrinelli.
Dall’introduzione di Filippomaria Pontani
L’insistenza sullo strumento linguistico non è mai per Elitis un fatto meramente formale: più volte egli dichiarò che la sua poesia era sempre in certo modo “guidata” dalla lingua, nel senso che non si trattava per lui di “tradurre” o “rendere” nella lingua delle idee nate al di fuori di essa, ma anzi era proprio lo spirito di finezza e di trasparenza del greco a farsi garante delle corrispondenze con il mondo sensoriale (a 360 gradi: dal paesaggio ai fenomeni interiori). Pertanto tutti quegli accostamenti, i cortocircuiti, le paretimologie che altri potrebbero considerare semplici calembours, rappresentano in realtà spunti di riflessione profonda sulla ricchezza ancestrale di un organismo espressivo che riflette il modo stesso in cui l’uomo greco affronta la realtà. Analogamente, la continuità della tradizione non sta per Elitis nell’acquisizione e nella rilettura di nomi, personaggi o racconti dal mito classico, bensì in un autonomo processo di mitopoiesi atto a inverare nel mondo d’oggi, e in forme sempre nuove, la zampillante lezione di Omero, Saffo, Pindaro, Eschilo, Eraclito, Romano il Melode, Makrighiannis, Kalvos; in particolare – nei tempi moderni – quella tensione tra i due “poli” della letteratura neogreca che egli incarna nella poesia pura di Dionisio Solomòs da un lato, e dall’altro nella poesia concisa e anti-retorica di Costantino Kavafis (che percepiva come più distante da sé).
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Odisseas Elitis (pseudonimo di Odisseas Alepudelis) nasce nel 1911 a Iraklio di Creta da genitori originari di Lesbo. Nel 1914 l’intera famiglia si trasferisce ad Atene. Nell’ateneo della capitale, nel 1930 Odisseas intraprende studi di Legge, ma non li completa. La precoce passione per le lettere lo avvicina al gruppo di “Ta Nea Gràmmata”, la rivista su cui pubblica le prime poesie, poi raccolte nel volume Orientamenti (1940), e in breve viene riconosciuto come uno degli autori più importanti della sua generazione. Tra il 1940 e il 1941 combatte sul fronte albanese e si ammala di tifo, rischiando di morire. Ad Atene, dopo la guerra, si afferma come critico letterario, giornalista e pittore. Dal 1948 al 1952 vive a Parigi, e stringe amicizia con i maggiori esponenti del Surrealismo europeo. Tornato ad Atene, svolge incarichi direttivi in prestigiose istituzioni culturali. Il poema Dignum est, pubblicato nel 1959 e musicato da Mikis Theodorakis nel ’64, lo consacra poeta nazionale. Riprende a viaggiare, e dal 1969 al 1971 risiede nuovamente a Parigi. Nel 1971, dopo un periodo di silenzio, ricomincia a pubblicare testi poetici: usciranno così in rapida successione numerose raccolte, per lo più brevi. Nel 1979 riceve il Premio Nobel per la Letteratura, secondo poeta greco dopo Ghiorgos Seferis. Muore ad Atene nel 1996.