Una monografia su Matteo Bonsante

 

 

ESTRATTO 

L’analisi dell’opera letteraria di Matteo Bonsante ci consegna, volendo trarne delle considerazioni generali, un grande affresco storico-letterario che abbraccia, a ben vedere, il periodo di tempo che va dagli anni Ottanta del XX secolo alla prima decade del XXI. Volendo usare un’immagine rappresentativa di questo lungo processo artistico, si può dire che l’opera bonsantiana ci appare come un lieve panno su cui si adagiano, in un’ottica di corrispondenze, i piani differenti che compongono la realtà: raziocinio e intuizione, libertà e determinismo, al di qua e al di là – tutto si compenetra in una trama esistenziale sempre volta alla ricerca effettiva e mai soltanto abbozzata di una chiave di volta che possa, in definitiva, suggerire all’individuo (poeta o lettore, poco importa) non solo una riflessione estetica ed etica sulla vita, ma soprattutto una pratica dell’esistere e dell’essere al mondo.

A partire dalla prima opera, Bilico, e attraverso una progressiva acquisizione dei rapporti di interconnessione tra le diverse compagini della realtà – noumeno e fenomeno –, si può affermare che Bonsante abbia cercato di fornire alla sua poesia un materiale sempre vivo e magmatico col quale riscoprire, attimo dopo attimo, una genuinità del vivere in apparenza irraggiungibile. ‹‹A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino››, ha affermato Picasso in riferimento alla sua personale e costante ricerca della semplicità della linea – di una forma, cioè, che potesse riassorbirsi in sé stessa senza retorica e senza ostentazione mostrando, per l’appunto, quella genuinità geometrica di cui è composta la realtà. Specularmente, non sarebbe affatto un errore comparare questa stessa ricerca picassiana a quella di Matteo Bonsante, un poeta che sin dagli esordi ha cercato di scavalcare la parola in quanto forma artificiale spesso incapace di comunicare l’essenziale a vantaggio di una melodia, di una carica immaginifica che tenta il finito e l’infinito per potersi ri-trovare in uno spazio fuori da ogni tempo e da ogni condizionalità fisica, riassorbendosi e raggiungendo così l’essenziale e il genuino che è, poi, il vero obiettivo della sua ricerca.

In quest’ottica, se riunissimo tutti i componimenti scritti da Bonsante nell’arco di sessant’anni – componimenti che, come si è visto, prediligono una forma breve e, all’apparenza, improvvisa –, partendo dalle Poesie inedite degli anni Cinquanta fino ad arrivare a Lapislazzuli, ciò che ne verrebbe fuori sarebbe un enorme, coerente e visionario poema sulla condizione umana immersa in un’età – la nostra – della in-condizione. Un poema, vale a dire, basato sulla sostanzialità dell’essere parte integrante di una creazione infinita non, tuttavia, in termini puramente astratti e metafisici, ma integrando materialità e a-sostanzialità, dato storico ed esperienza universale fuori dal tempo.

Tutto questo, ovviamente, non è frutto di considerazioni sporadiche: come già detto più volte, la razionalità e, con essa, i dati sensibili della realtà ricoprono un ruolo centrale nella concezione dell’arte e della vita di Bonsante; e sotto questo aspetto la voce dell’autore rappresenta se non un unicum, certamente una rarità nel panorama letterario italiano del terzo Novecento. Tuttavia, è opportuno rilevare la grande forza mistica della poesia bonsantiana, soprattutto nei termini di indagine e, in ultima istanza, di rivelazione di un mondo complesso nel suo doppio binario escatologico – endogeno ed esogeno, intrinseco e riflessivo. Un misticismo, se si vuole, cinico, nel senso che non si svolge in visioni esclusivamente astratte e metafisiche, ma che resta circoscritto all’interno del tessuto fenomenico per proiettarsi, con tutta la realtà fisica, nel noumeno, ritrovando in quest’ultimo l’essenza reale ed eterna della materia. Un gioco di specchi dalle mille folgorazioni, in cui le zone d’ombra non si rivelano meno importanti di quelle in piena luce: in questi termini, la notte e l’alba diventano, in Bonsante, i poli tra cui tutto si sviluppa nel bene e nel male e da cui scaturisce il rinnovamento definitivo di chi, finalmente, giunge sulle nuove vette del creato.

Un poema, quindi, ‘del qui e dell’altrove’ che ci consegna, con le sue immagini e con gli accostamenti arditi di una narrazione sempre originale e irrequieta, un poeta ‘del qui e dell’altrove’, metafisico ma anche uomo del suo tempo che vede nella letteratura un momento decisivo di analisi e critica socio-culturale. È stato, questo, uno dei motivi che hanno ispirato il presente lavoro: dimostrare, cioè, che si può essere impegnati e storicamente presenti anche con una poesia che, a un occhio superficiale, potrebbe apparire lontana anni luce dalla realtà quotidiana. In quest’ottica, la poesia bonsantiana non resta totalmente avulsa dal tempo che l’ha prodotta, mostrandosi invece, soprattutto nelle raccolte più mature, vicina all’esperienza quotidiana intesa anche come esperienza collettiva: il dettato poetico si fa, così, più netto e più ardito nel riferirsi esplicitamente a determinati fatti storici e a ben riconoscibili questioni socio-culturali.

Su questa scia, anche la prosa bonsantiana non si allontana dal percorso e dalle ragioni della poesia; e pure qui, come per le composizioni in versi, a primeggiare è un certo approccio estetico-esistenziale di tipo frammentario e frastagliato espresso da una tecnica narrativa che predilige il momento – una tecnica che contribuisce a creare una successione a catena di determinati spaccati narrativi che consentono all’autore di riferirsi, anche nella prosa, a un’esperienza che vada oltre il mero dato fenomenico.

Insomma, l’analisi condotta sull’opera di Matteo Bonsante ci fornisce dei nuovi criteri interpretativi su cui basare un’oculata esegesi di testi che, a loro volta, ci rivelano un mondo oltre la nostra sensibilità; un mondo che occorre ricercare quanto meno se ne avverte il bisogno; un mondo che solo una poesia diretta, genuina nel suo essere priva di artifici retorici può scorgere.

A Bonsante, probabilmente, bisogna riconoscere questo: aver aperto uno spiraglio lì dove tutto sembrava avere fine.

 

Filippo Casanova, La parola metafisica di Matteo Bonsante, Mario Adda Editore, 2021

Matteo Bonsante nasce a Polignano a Mare (Bari) il 1° settembre 1935 e vive, dal 1976, a Bari, dove ha insegnato nella scuola secondaria superiore. È autore di otto sillogi poetiche – tra le quali si segnalano Bilico (1986), Ziqqurat (1996), Sigizie (1998), Poesie 1954-2004 (2004) –, quattro drammi teatrali, Caldarroste (1981), Dietro la porta(1984), Per solo donna (2004), Le talpe sono in volo (2014) e due novelle, Una linea di fuga (2001) e Sperduto(2003). Nel 2020 viene insignito dall’Associazione Euterpe di Jesi del “Premio alla carriera”.

 

Filippo Casanova nasce ad Altamura (Bari) il 23/01/1996. Dopo aver conseguito la maturità classica, si laurea, presso l’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari, in Lettere Moderne con una tesi sul Vangelo gnostico di Giuda in correlazione con la poetica di Dostoevskij, specializzandosi, poi, presso la medesima università, in Sociologia della Letteratura con una tesi sperimentale sull’opera del poeta pugliese Matteo Bonsante. Ha pubblicato, inoltre, articoli scientifici su diverse riviste letterarie, concentrando i suoi studi sull’analisi di autori del XX e del XXI secolo.

 

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