IL NOSTRO ANTENATO PIU’ ANTICO
Sì è la presenza della bocca
E dell’intestino
Ad essenzialmente definirci
Come organismi bilaterali,
E’ l’Ikaria wariootia il nosto
Antenato più antico.
Ritrovato tra i fossili australiani
cinquecento milioni d’anni fa già presentava
Due aperture connesse da un tratto digerente
Il fronte e un retro.
Sono venuti pesci anfibi
Rettili e mammiferi.
Dunque anche noi.
L’Ikaria è un verme.
Noi, forse, un glitch.
ANTIMATERIA IN EXCELSIS
Uno dei misteri della fisica
È capire perché dopo il Big Bang
Sia caduta l’originale simmetria
Tra materia e antimateria,https://www.luigiasorrentino.it/wp-admin/media-upload.php?post_id=75313&type=image&TB_iframe=1
Perché abbia prevalso la materia
E dove l’antimateria sia finita,
Perché non vediamo le anti-stelle
E le anti-galassie.
Un’esigenza manifesta
Già nel Dante delle simmetrie
E della regolarità,
Neutrini e antineutrini
Come i beati del cielo della Luna
Rispetto a quelli del cielo di Saturno.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
AI si sa è una sigla
E quando lessi che prossimamente
Si procederà al primo esperimento
D’inserimento nel cervello umano
Di un dispositivo atto a consentire
Una forma di simbiosi,
Restai perplesso.
L’obiettivo, lessi ancora,
È di creare un’interfaccia cerebrale
Facendo in modo che i nostri neuroni
Siano collegati a un’estensione.
Questa volta condanno e con forza,
Pensai, finché non lessi che potrebbe
Compensare lesioni cerebrali
Consentendo ai paraplegici
Di tornare a camminare.
SPILLOVER
Traducendo spillover con ripercussioni
Usciamo dal significato economico del termine –
Per cui un’attività trabocca
Producendo effetti anche in altri ambiti –
Ed entriamo in quello sfigurato del presagio.
Per cui ci chiediamo: è solo coincidenza
Se ogni volta che muta il clima
Avviene uno spillover, un salto di specie
Che permette trasmissioni virali
Dagli animali all’uomo?
Lo scioglimento del permafrost in Jakuzia
Sta liberando in atmosfera
Spore e batteri vecchi di migliaia d’anni
Come il Bacillus anthracis, la peste siberiana
Che si stacca dalle carcasse delle renne.
E dagli uomini morti nella neve
Tornano in vita il virus del vaiolo
E della Spagnola. Dai resti di un mammut
È riapparso un batterio di ventimila anni fa
E altri più sotto se ne stanno da milioni d’anni.
Che il nostro organismo non sa riconoscere,
Pronti a lasciare i ghiacci per colpirci.
da “Betelgdeuse e altre poesie scientifiche”, Mondadori, 2020
NOTA DI FRANCO BUFFONI
Il desiderio di coniugare istanze provenienti dal mondo dell’astrofisica con istanze provenienti dal mondo della microbiologia mi accompagna dall’adolescenza, quando ebbi modo di seguire gli studi di mia sorella, laureata in fisica nucleare, e di mio cognato biologo. (I quali in seguito, riproducendosi, hanno dato vita ai miei nipoti Stefano e Paolo: dedicatario – il primo – del libro di poesia Theios; e interlocutore – il secondo –
nel libro in prosa Più luce, padre.)
In questa silloge numerosi sono i passi afferenti all’uno e all’altro ambito, permeati tutti dall’ansia di comprendere metodi di studio lontani dai miei di specializzazione. Un’ansia che cerco quotidianamente di appagare leggendo articoli di divulgazione scientifica. In una di queste incursioni – che un tempo avvenivano in biblioteca, e che oggi posso effettuare comodamente a schermo – mi sono imbattuto in una dichiarazione del 2020 di Lewis Mosby, ricercatore presso il Dipartimento di Fisica della Warwick University, pubblicata sul «Biophysical Journal»: «Abbiamo usato un algoritmo sviluppato per rilevare galassie e altri corpi celesti: è stato emozionante applicarlo all’estremità opposta della scala di grandezza.
La nostra ricerca ha fornito importanti informazioni sul funzionamento delle cellule muscolari dei mammiferi, e inoltre ha posto l’accento sulla possibilità di studiare un modello per nuove tecnologie intelligenti, basate proprio sulle interazioni tra le proteine. Sarebbe possibile assumere forme diverse in base al consumo di energia richiesto».
La ricerca di cui parla Mosby concerne i movimenti dei muscoli delle cellule e dei filamenti di proteine che le compongono; ma in questa nota non è tanto la sostanza di quella ricerca che mi interessa esporre, bensì l’entusiasmo del ricercatore, che a cinquant’anni di distanza dalle mie emozioni giovanili ricorre proprio alla categoria dell’emozione con riferimento alla possibilità di applicare alla microbiologia lo stesso algoritmo usato in astrofisica. Non guardando alla scienza come a una costruzione essenzialmente teorica – come scelta cioè di una ipotesi esplicativa della realtà, ogni volta stravolgente il senso delle proposizioni precedenti – ma come empiria: come l’aggiungersi di conoscenza a conoscenza, nella convinzione che il raggiungimento del Sapere sia al tempo stesso il raggiungimento della perfezione umana e quindi della felicità.
“Ofelè, fa’ el to mesté!”, Pasticciere, fa’ il tuo mestiere, si diceva un tempo nel dialetto dei miei nonni a chi pretendeva di dire la sua in ambiti lontani da quelli di appartenenza e specializzazione. E io sono sostanzialmente d’accordo. Sono un povero poeta, che solo con le parole e la ritmologia dovrebbe trattare.
Lo accetto, ma all’interno della trasmissione di una emozione e di una raggiunta consapevolezza: ponendoci – nei confronti della nostra quotidianità – nell’ottica microbiologica dell’infinitamente piccolo e astrofisica dell’infinitamente grande, riusciamo a rendere maggiormente meditativo e degno il nostro vivere, all’interno di quella che Paolo Virno in tempi recenti ha definito la consistenza al contempo ontologica e impersonale della natura umana, l’intersezione di logica e antropologia, ovvero delle abilità, degli affetti, dei requisiti biologici e delle situazioni storiche che ci definiscono come animali loquaci.
«My business is circumference» scriveva Emily Dickinson con riferimento ai dardi (le poesie) che quotidianamente dalla circonferenza lanciava per cercare di illuminare il centro. Un’immagine che può esemplificare la genesi dei testi qui inclusi.
Originariamente come titolo per questo libro avevo pensato a Poesie scientifiche e altre poesie. Poi scartato perché giudicato editorialmente troppo algido. Pensai allora a Noi forse un glitch per trasmettere un senso di ineluttabile casualità. Infine scelsi di allontanare il libro in uno spazio siderale con Betelgeuse e altre poesie scientifiche, per quell’essenza di solare crudele materno (e leopardiano) che l’omonimo componimento contiene.