da La Forma detenuta
Ti tengo
nell’entroterra dell’anima
in un respiro di due sillabe
nel silenzio che fanno gli occhi
quando spalancati sentono
quel perdersi bello
nel nulla del passo
***
Piano sequenza
Quel mio ritornare a te
da tutte le strade
per sottrarci da tanta morte
e ricucire i luoghi
feriti
di una vita che qui
è stata vita
per un poco
***
Dove grido
Dove il tuo odore semplice dura
dove ti trattenevo
dove nessuno adesso
attendo e non accade
duro il desiderio
del respiro
nella sosta del viso
dove il colpo di frusta del sangue
brucia
rivedo antica e senza più mistero
la ruga a dividere la tua fronte
ostinata nella sua durata abissale
dove il tuo pensiero veleggia
gonfio e immemore
in questo viluppo di scogli
come l’onda mi rompo
e schiumo
***
Cade anche l’ultimo vento
ogni cosa è sola
nel risveglio che trema
come il cespuglio arruffato
dalla fuga di un uccello
non so più nominarti
se non nel pugno stretto
e indolenzito
ricomincia il giorno
a consumare lento
le suole
e noi
con aria da passanti
moriamo a strattoni nel rumore
secco del desiderio in ceppi
Nella voce di una campana lenta
passa la vita
e chiude ogni frase
in un tormento di ultime volte
sapute sempre
dopo
qualcosa cerchiamo
su cui posare lo sguardo
senza tremare
fra un rintocco e l’altro
un sentiero piccolo di arbusti
promette giorni di fiori a venire
e noi
un dettaglio
in questo panorama che basta
a se stesso
ma ancora
sorveglio le tue foglie
e mi attardo a guardare
il modo che ha il sole
di far colare la luce
sui muri
***
Sei salita
che mi vede a bocca aperta
in un giorno di finestre chiuse
mi dico parole
nell’idea di quella virgola
che dava fiato al silenzio
quando
avevamo piedi e mani
a fare il paio
***
Cadono cose e restano
cadute
in questa vita a orario fisso
tuttavia io
nell’assenza che mi porta
dove tu
arreso hai sorriso
vado
e imparo
la figura paziente dello zero
***
Un’indolenza da sala d’attesa
ci piega la schiena
e i passi
sempre legati
nella lunghezza obbligata
di questo giorno ancora
fragile
rivedo in una trasparenza da inizio
quella volta che era estate
e la vita
è passata su una piazza
e ha preso fiato
***
Soprattutto quando
a tentoni cerchiamo il fondo
del mattino
ma è ancora la porta
soprattutto quando
solo fino a un certo punto
si spiega lo strappo
fra il non domandare
e il non importa
ora che passa a brandelli
il giorno
e da una finestra
in affitto
il vuoto largo del cielo trascorre
come cosa non nostra
gli occhi sono arresi
nel silenzio levato
che moltiplica se stesso
sempre per uno
***
Fermi sui cardini
come un cancello chiuso
si va
con l’anima in contumacia
tutto è solo quel che è
intermittente
l’illusione di esserci perché
qualcuno dice il nostro nome
incidentalmente
a ogni passo
si perde vita
non c’è riparo
nel bilico di ogni cosa
noi restiamo
stretti in una fotografia
da “Di tu in noi“, La Nave di Teseo, 2021
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Cettina Caliò è nata a Catania nel 1973. Scrive poesia e prosa. Cura libri. Traduce dal francese. Ha pubblicato: Poesie (1995), L’affanno dei verbi servili (2005), Tra il condizionale e l’indicativo (2007), Sulla cruda pelle (2012), La forma detenuta (2018).
Sentite profondamente le emozioni espresse di nostalgia di momenti perduti e desiderio del loro ritorno
Stile fluido e leggero,ma sempre palpabile