Il dolore esistenziale nell’Onégin di Puskin

Premessa
di Luigia Sorrentino

Con questa recensione di Alberto Fraccacreta, rilanciamo una delle opere principali studiate a scuola in Russia: il romanzo in versi di Aleksander Puskin: Evgenij Onégin. E’ considerato il massimo della produzione letteraria di Puškin, “un’enciclopedia della vita russa e un’opera veramente popolare” che molte generazioni di scrittori e di poeti leggono.

Il romanzo, recentemente ristampato in Italia da Mondadori negli Oscar nella traduzione dello slavista Giuseppe Ghini, ci mette di fronte a un capolavoro assoluto perché come conferma il traduttore con “l’Onégin Puškin ha pronunciato una parola universale, capace di superare e fondere i particolarismi nazionali”. Avvicinarsi alla poesia dell’Onégin vuol dire avvicinarsi al dolore esistenziale e profondo del protagonista, avvertire lo spaesamento di un’epoca, l’insanabile male di vivere (più che mai attuale) che porterà Onégin a rifiutare l’Armonia che Amore e Amicizia potrebbero dargli.

“Amicizia” e “Amore” sono le parole che ricorrono anche in questa bellissima lirica molto conosciuta in Russia di Puškin scritta dal poeta proprio nel periodo dell’Onégin, tra la fine del 1826 e l’inizio del 1827, a sostegno dei decabristi, esiliati in Siberia tra i quali c’erano vari amici e conoscenti del poeta.

La lirica non poté esser pubblicata durante la vita di Puškin, per il contenuto del testo, ma ebbe larga diffusione in Russia circolando di mano in mano.

Ve la proponiamo nello “schizzo di traduzione” di Paolo Galvagni. A seguire la recensione di Alberto Fraccacreta.

1] Во глубине сибирских руд
Храните гордое терпенье,
Не пропадет ваш скорбный труд
И дум высокое стремленье.
Несчастью верная сестра,
Надежда в мрачном подземелье
Разбудит бодрость и веселье,
Придет желанная пора:
Любовь и дружество до вас
Дойдут сквозь мрачные затворы,
Как в ваши каторжные норы
Доходит мой свободный глас.
Оковы тяжкие падут,
Темницы рухнут — и свобода
Вас примет радостно у входа,

И братья меч вам отдадут.

1] Riferimento alla insurrezione, svoltasi a San Pietroburgo nel dicembre 1825 (decabristi – dicembristi).

(Schizzo di traduzione)
di Paolo Galvagni

Nelle profondità dei minerali siberiani
Mantenete la fiera pazienza,
Non svanirà il vostro mesto lavoro
E l’alta aspirazione dei pensieri.

Sorella fedele alla sventura,
La speranza nel tetro sotterraneo
Desterà il vigore e l’allegria,
Giungerà il tempo desiderato:

Amore e amicizia a voi
Arriveranno per le porte tenebrose,
Quando nei vostri covi di lavori forzati
Giunge la mia voce libera.

Pesanti cadranno le catene,
Le prigioni crolleranno — e la libertà
Vi accoglierà gioiosa all’ingresso,
E i fratelli vi daranno la spada.

 

Aleksàndr S. Puškin, Evgenij Onégin, a cura di Giuseppe Ghini  (Mondadori, 2021)

Recensione di Alberto Fraccacreta

 

Il romanzo fondativo della letteratura russa è in versi: l’Evgenij Onegin di Aleksàndr Puškin, composto tra il 1823 e il 1831, in due momenti distinti della vita del poeta. Suddivise in otto capitoli con i Frammenti di viaggio di Onegin, le 389 strofe sono formate ognuna da quattordici tetrametri giambici che hanno recato non pochi grattacapi ai traduttori italiani.

Nel 1923 Ettore Lo Gatto propose una versione in endecasillabi; celebre fu la scelta di Giovanni Giudici di mantenere intatta la serie rimica delle stanze orientando il metro in direzione di un novenario aperto e fluttuante.

Percorre un itinerario alquanto innovativo la traduzione approntata da Giuseppe Ghini negli “Oscar Classici Cult” Mondadori, aderente a un principio di massima molto chiaro: ricreare la melodia dell’originale. Beninteso: è preservata l’opzione del novenario, ma senza concessioni e compromessi (esclusa la rima).

Come evidenzia Ghini nella documentata premessa, “la strategia traduttiva” è stata suggerita “dall’ascolto dell’Onegin letto da russi, dalla scoperta di quel ritmo fascinoso e incalzante che tutto lega e tutto sospinge”, e che “secondo alcuni grandi studiosi costituisce il fattore organizzante del linguaggio poetico”.

A metà tra critica stilistica ed esaltazione nominale à la Robert Walser (“ormai sono solo un orecchio indicibilmente commosso”), esperto di accentazioni, Ghini punta alla musica interiore dell’opera, cioè a una delle componenti decisive della poesia russa (si veda Osip Mandel’štam), rimossa la quale smarriremmo un tratto connotativo imprescindibile dal punto di vista estetico.

Veniamo ai contenuti. Evgenij Onegin è un giovanotto infingardo, malato di spleen (“la vita sua si spense”), che riceve in eredità una tenuta dallo zio moribondo e deve partire per la campagna. Stringe amicizia con Vladimir Lenskij, fidanzato a una fanciulla di nome Ol’ga, la cui sorella, Tat’jana si invaghisce imprudentemente di Evgenij, fino al punto di scrivergli una lettera ardente. Il ragazzo la rifiuta e, dopo aver sedotto per noia e per scherno Ol’ga a un ballo, è sfidato a duello dall’amico tradito, che avrà la peggio nel combattimento (ironia della sorte, Puškin morì trentasettenne proprio a causa di un duello).

Onégin lascia la cittadina e, trascorsi alcuni anni, incontra di nuovo Tat’jana sposata a un principe, al quale – pur amando ancora Evgenij – decide di restare fedele. Il romanzo è riassumibile nella lettera che il protagonista, adesso specularmente innamorato e respinto, invia alla ragazza: “Da tutto ciò che al cuore è caro/ allora il cuore mio strappai;/ estraneo ai più, senza legami,/ pensai: la libertà e la pace/ sostituiscono la gioia./ Dio mio, che errore, e fui punito”. Tat’jana era la gioia che Onegin ha gettato al vento: e come un eroe greco trafitto da tedio pascaliano, solo ora se ne rende conto.

(Questa recensione è stata pubblicata sul Foglio il 21 novembre 2021)

Giuseppe Ghini è Professore Ordinario di Lingua e Letteratura Russa all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Ha al suo attivo alcune monografie – tra cui La Scrittura e la steppa. Esegesi figurale e cultura russa, 1999; Tradurre l’Onegin, 2003; Anime russe. Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij. L’uomo nell’uomo, 2014 – e un centinaio di articoli e saggi scientifici sui principali autori della letteratura russa dell’Ottocento e del Novecento (Čechov, Dostoevskij, Gogol’, Gončarov, Vasilij Grossman, Solženicyn, Tolstoj ecc.). Traduttore dal russo di opere di poesia, ma anche di prosa e di saggistica, si è occupato del lavoro traduttivo anche a livello teorico e ha dedicato alcuni studi a eminenti figure di traduttori italiani dal russo, come Clemente Rebora e Pietro Zveteremich.

2 pensieri su “Il dolore esistenziale nell’Onégin di Puskin

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  2. Da slavista devo affernare che la traduzione del Ghini è più accettabile di quella del Lo Gatto, e di certo di quella del Giudici (che non conosceva affatto la lingua russa, e che fu di Giovanna Spendel l’interlineare).
    La traduzione del Ghini è più fluente di quella del Lo Gatto per la scelta metrica usata – credo l’unica che si poetsse adottare e scegliere -.
    Difficile da superare questa traduzione del Ghini per cui si aprresta a divenire un classico traduttivo.
    Grazie
    Antonio Sagredo

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