A cura di Bernardino Nera
Liz Lochhead nasce a Motherwell, Lanarkshire, Scozia, verso la fine del 1947, entrambi i suoi genitori, sposati nel 1944, avevano prestato servizio durante la Seconda Guerra mondiale, la madre come ausiliaria nelle file dell’A.T.S. (Auxiliary Territorial Service) e il padre militare. Da ragazza era stata un’avida lettrice di romanzi e di poesia e nel corso degli anni scolastici nella scuola superiore, aveva mostrato una spiccata propensione per le materie letterarie e per l’arte.
Nel 1965, dopo gli studi secondari non seguì il consiglio del preside e dei suoi insegnanti che le avevano consigliato di immatricolarsi all’università, ma si trasferì a Glasgow per iscriversi alla locale School of Art. Il suo stile figurativo di disegno e pittura, si rivelò però, controcorrente rispetto alla tendenza più in voga in quel periodo: l’astrattismo, a suo parere privo di una dimensione narrativa, così Liz visse l’esperienza accademica con forte disagio personale e un senso di inadeguatezza. Di qui, il passaggio alla scrittura poetica attraverso il tirocinio nell’ambito di un corso di scrittura creativa organizzato da un docente dell’Art School e alla frequenza dei laboratori “extra mural writers” organizzati dal poeta e critico Philip Hobsbaum, che le servirono da corsi di formazione e le permisero di perfezionare il suo stile.
Nel 1971, vinse il premio ad un concorso di poesia indetto da Radio Scotland con due poesie: Revelation (Rivelazione) e Poem for Other Poor Fools (Poesia per altri poveracci) e l’anno successivo pubblicò la sua prima antologia Memo for Spring.
In seguito a questa pubblicazione, la poetessa iniziò un’intensa attività di letture di poesia in molte località della Scozia, compreso il prestigioso Edinburgh Festival, di fama internazionale, che le procurò una certa popolarità e le valse il riconoscimento dello Scottish Arts Council Book Award.
Nel corso degli Anni Ottanta, iniziò la scrittura anche di testi per il teatro, fra cui in particolare: un adattamento del Tartuffe di Molière, rappresentato nel 1986, il rifacimento di Dracula di Bram Stoker nel 1985, e Mary Queen of Scots Got Her Head Chopped Off, nel 1987. Nel 1981, pubblicò l’antologia di poesie The Grimm Sisters e nel 1984, la raccolta Dreaming Frankenstein & Collected Poems.
Tra le sue opere poetiche successive, si segnalano la raccolta The Colour of Black & White: poems 1984-2003, pubblicata nel 2003 e la più recente Fugitive Colours del 2016.
Nel 1986, sposò l’architetto Tom Logan con il quale ha condiviso la sua esistenza fino al 2010, anno della sua scomparsa.
Nel 2011, la poetessa viene insignita del titolo di ‘Makar’, poeta nazionale della Scozia, succedendo al suo amico e mentore Edwin Morgan che era stato il primo a fregiarsi di tale titolo dalla durata in carica di cinque anni. Nel corso dello stesso anno pubblicò A Choosing (proposta da Argolibri in traduzione italiana con il titolo: Una scelta), che raccoglie testi composti in un arco temporale di quasi quarant’anni a partire dalla pubblicazione dell’antologia del 1972.
Nella prefazione all’opera, Carol Ann Duffy, ex ‘Poet Laureate’ del Regno Unito, evidenziava il fatto che a quel tempo la voce poetica femminile della Lochhead costituì un’assoluta novità nel panorama e nel canone letterario scozzese dominato da voci poetiche maschili. Riprendendo un termine del titolo, la Duffy, anche lei di origine scozzese, infatti dichiarava: “La primavera (Spring) della Lochhead sbocciò nell’ambito prevalentemente maschile della poesia scozzese e tuttavia riuscì a renderlo femminile.”
Nel contesto delle poesie contenute nell’antologia A Choosing è possibile rinvenire le tematiche più tipiche che caratterizzano la scrittura poetica e la cifra stilistica distintiva della Lochhead. Innanzitutto spicca il suo tentativo di creare e rievocare immagini sedimentate nella sua memoria, situazioni, suggestioni e rappresentazioni del passato legate alla sua sfera familiare e alle esperienze vissute, percezioni e ricordi della sua infanzia. A cui si aggiunge l’evocazione di momenti del vivere quotidiano nella dimensione personale, o in quella scaturita dai racconti di altri che spesso, però, vengono rielaborati poeticamente in chiave ironica e con una sensibilità femminile/femminista, per rimarcare soprattutto il divario socio-culturale all’interno dei ruoli stereotipati e nei rapporti non paritari tra uomini e donne sullo sfondo della società scozzese fortemente patriarcale.
In ultima analisi, la poetessa si propone, soprattutto il fine di destrutturare la rappresentazione/narrazione e il ruolo sociale costruiti per le donne secondo parametri maschili/maschilisti di oppressione ideologica.
Un altro tratto tematico, trasversale ai contenuti di molte delle poesie e strettamente collegato ai precedenti, emerge dalla visione e rappresentazione della Scozia elaborate dalla poetessa in un’ottica critica postcoloniale, in relazione alla dialettica tra cultura subalterna (scozzese) e dominante (inglese). All’interno di tale dicotomia, si possono cogliere altre contrapposizioni, quali ad esempio, tra l’uso della lingua inglese e dell’idioma scozzese, tra le diverse identità culturali soltanto in coabitazione istituzionale sotto la bandiera britannica e l’identità scozzese resa “altra” dalla narrazione “anglocentrica” dominante.
Un esempio significativo in tal senso, è rappresentato dalla poesia Kidspoem/Bairnsang (Poesia per bambini/Bairnsang), nel cui testo la poetessa rievoca il primo giorno di scuola (≪verso il posto dove avrei imparato a dire≫, che poi nella versione standardizzata, diventa: ≪verso il posto dove avrei imparato a dimenticare di dire≫), narrato inizialmente dall’io lirico, una bambina, in Scots, sua prima lingua, e poi ripetuto in lingua inglese standard. Nei versi finali, si può percepire il paradigma simbolico del conflitto identitario indotto in coloro che hanno subito un processo di colonizzazione culturale: “Oh a dirlo è stato semplice/ma quando si è trattato di scriverlo/nero su bianco/come si doveva dire/è stato come essere snob, adulta, maschio, inglese e morta.”
In un saggio dedicato alla Lochhead, Sara Marinelli evidenzia, tra l’altro, “l’esigenza della poetessa di ri-raccontare, parodiare e reinventare storie, miti, favole, leggende che hanno fatto del femminile l’oggetto favorito di raffigurazione. Nella sua vasta produzione poetica e drammatica si risvegliano figure femminili fittizie come belle addormentate, fate, donne selvagge, streghe, gorgoni, furie e vampire: insomma le protagoniste più note del patrimonio fiabesco occidentale, stravolto e capovolto attraverso la lingua biforcuta e tagliente delle Grimm Sisters. […] Il mostruoso diviene il linguaggio non solo da interpretare, ma idioma di cui le donne devono riappropriarsi per rispondere ‘orrore con orrore’.
Proprio nell’opera, citata da Sara Marinelli (The Grimm Sisters), la poetessa celebra un mondo e una storia con voce femminile cercando di sovvertire la storia, i miti e le fantasie maschili, senza la pretesa di offrire la versione ‘vera’ della storia stessa ma soprattutto con l’obiettivo di smascherare e demistificare gli stereotipi maschili attraverso un’operazione di destrutturazione del linguaggio, dei contenuti con i quali gli uomini l’hanno da sempre narrata, rappresentando la donna come oggetto e non come soggetto culturale, impostando ed esercitando l’interazione col mondo femminile da una posizione dominante.
Uno dei tratti stilistico-linguistici che, inoltre, caratterizzano la scrittura lirica della poetessa, è rinvenibile, attraverso numerosi esempi, nell’uso di puns, giochi di parole, basati sia sull’omofonia, sia sull’omonimia o polisemia dei termini usati e delle espressioni coniate.
Questo tratto, oltre a caratterizzare la sua poetica sotto l’aspetto morfosintattico e fonoprosodico, con vitalità e originalità espressive, è riconducibile alla sua scelta primaria di privilegiare la dimensione demotica, idiomatica, orale e comunicativa, del linguaggio poetico che ha elaborato: “La poesia ha molto a che fare con il saper cogliere esattamente la propria voce e il proprio tono. […] Sono interessata alla voce, sia per quanto riguarda il teatro, sia la poesia o la narrativa.”
L’impasto linguistico dei suoi componimenti, è anche personalizzato dalla frequente creazione di termini composti, ideati dalla poetessa attraverso le tecnica definita compounding dalla linguistica, ossia di apposizione e fusione di due sostantivi, o aggettivi, o ancora di aggettivi e sostantivi e/o participi passati, accorpati per formare un’unica parola.
L’intento della poetessa, qui, non è soltanto quello di coniare neologismi oppure rinforzare il significato di una parola in combinazione con altre e condensare in una parola diversi significati, ma è soprattutto rivitalizzare il linguaggio poetico smontando e sovvertendo i cliché convenzionali fissati dai registri e dalle varietà linguistiche standardizzati.
Nel corso di quasi tutta la sua carriera artistica, Liz Lochhead ha costantemente comunicato le sue poesie ad un pubblico di spettatori, emotivamente reattivi e a volte dialoganti, attraverso le sue performances teatrali e i poetry readings messi in scena soprattutto in numerose località del Regno Unito. Tutto ciò grazie alla sua molteplice natura, identità e versatilità artistiche che si sono estrinsecate nel contesto della sua produzione drammaturgica, poetica e pittorica in un processo di continua osmosi e simbiosi tra il linguaggio del teatro e della poesia, spesso arricchiti di riflesso dagli effetti della sua sensibilità per la pittura.
E’ di nuovo Carol Ann Duffy ad evidenziare e confermare queste caratteristiche: “Fin dalle sue prime opere negli anni Settanta, [Liz Lochhead] è stata una presenza ispiratrice nel perimetro della poesia britannica: divertente, esuberante, femminile, carica di sentimento; una performer fantastica del suo lavoro e una scrittrice che con costante energia ha trasferito e mutuato la poesia col teatro e il teatro con la poesia.”
Fin dagli inizi degli anni Sessanta, la comunicazione orale della poesia acquisì una notevole diffusione nei circuiti artistici alternativi al mondo accademico, fortemente influenzata dall’esplosione delle subculture giovanili underground e pop negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Tale fenomeno culturale esercitò, in generale, un influsso significativo, sia sulla poesia americana, basti pensare ai poeti della Beat Generation, sia sulla poesia inglese. In particolare a Liverpool favorì la nascita, sempre in quel periodo, di una poetry scene locale, animata soprattutto dai poeti nativi della città: Adrian Henri, Roger McGough e Brian Patten, che sperimentarono e realizzarono una forte commistione tra le letture di poesia e l’entertainment.
In un’intervista alla rivista letteraria Scottish Review of Books , la poetessa scozzese evidenzia l’influenza esercitata dai tre poeti di Liverpool, e lo stimolo a farle adottare tale modalità comunicativa della poesia. Altro influsso in tal senso, lo ricevette dai poeti locali, Tom Leonard, Ian Hamilton Finlay e soprattutto Hugh MacDiarmid che a loro volta furono ispirati decisamente dalla lettura del saggio Projective Verse (1950), del poeta americano Charles Olson. Manifesto poetico che, in estrema sintesi, esortava i poeti a comporre poesia basando la metrica sul proprio respiro e voce e sui caratteri prosodici del proprio linguaggio parlato.
Di qui, l’uso prevalente ma non esclusivo del free verse da parte della poetessa nella sua produzione poetica e, tutt’al più, dello Scots in alcuni componimenti, oppure l’inserimento di termini dialettali nei versi di alcune sue poesie.
Da “Una scelta” a cura di Bernardino Nera (Argo libri, 2022)
View of Scotland/Love poem
Down on her hands and knees
at ten at night on Hogmanay,*
my mother still giving it elbowgrease
jiffywaxing the linolay. (This is too
ordinary to be nostalgia.) On the kitchen table
a newly opened tin of sockeye salmon.
Though we do not expect anyone,
the slab of black bun,
petticoat-tails fanned out
on bone china.
‘Last year it was very quiet…’
Mum’s got her rollers in with waveset
and her well pressed good dress
slack across the candlewick upstairs.
Nearly half-ten already and her not shifted!
If we’re to even hope to prosper
this midnight must find us
how we would like to be.
A new view of Scotland
with a dangling calendar
is propped under last year’s,
ready to take its place.
Darling, it’s a thirty years since
anybody was able to trick me,
December thirty-first, into
‘looking into a mirror to see a lassie
wi as minny heids as days in the year’ –
and two already since,
familiar strangers at a party,
we did not know that we were
the happiness we wished each other
when the Bells went, did we?
All over the city
off-licences pull down their shutters,
people make for where they want to be
to bring the new year in.
In highrises and tenements
sunburst clocks tick
on dusted mantelshelves.
Everyone puts on their best spread of plenty
(for to even hope to prosper
this midnight must find us
how we would like to be).
So there’s a bottle of sickly liqueur
among the booze in the alcove,
golden crusts on steak pies
like quilts on a double bed.
And this is where we live.
There is no time like the
present for a kiss.
___
* Termine scozzese per indicare la viglia di capodanno, Le sue origini forse risalgono alle celebrazioni del solstizio d’inverno tra i vichinghi, che si svolgevano alla fine di dicembre. Si festeggia all’aperto per le strade cittadine. La tradizione vuole che si facciano grandi pulizie domestiche per accogliere in casa il giorno dopo, il primo ospite, First-Foot: l’ingresso di questo ospite speciale è in grado di assicurare fortuna e prosperità per l’anno appena iniziato. La superstizione vuole anche che iniziare il nuovo anno con la casa non pulita e non in ordine, porti sfortuna.
Vista della Scozia/ Poesia d’amore
Accovacciata carponi
alle dieci di sera dell’ultimo dell’anno
mia madre sta ancora usando olio di gomito
per passare la cera sul linoleum. (Troppo
banale per far venire nostalgia.) Sul tavolo in cucina
una scatola di salmone rosso appena aperta.
Anche se non abbiamo visite,
una bella fetta di black bun, *
petticoat-tails ** disposti a ventaglio
sulla porcellana.
‘L’anno passato è stato molto tranquillo…’
Mamma porta i bigodini ondulati
e il suo vestito buono ben stirato
steso sulla coperta di ciniglia di sopra.
Quasi già le dieci e mezza e lei non si è ancora mossa!
Se vogliamo anche solo sperare nella fortuna
questa mezzanotte deve coglierci
come vorremmo essere.
Una nuova vista della Scozia
con un calendario penzolante
appeso sotto quello dell’anno passato,
pronto a prenderne il posto.
Caro, sono passati trent’anni da quando
qualcuno è riuscito a ingannarmi,
il trentuno dicembre, dicendo:
‘guarda nello specchio e vedrai una ragazza
con tante teste quanti giorni ha un anno’ ***
e già due da quando,
sconosciuti familiari ad una festa,
non sapevamo, no?, che eravamo noi
quella felicità che ci augurammo
quando le Campane suonarono.
In tutta la città
i negozi di alcolici tirano giù le serrande,
la gente si dirige verso dove vuole stare
per dare inizio al nuovo anno.
Nei grattacieli e nei caseggiati
il ticchettio degli orologi da camino
sulle mensole spolverate.
Tutti sfoggiano il loro benessere
(se vogliamo anche solo sperare nella fortuna
questa mezzanotte deve coglierci
come vorremmo essere).
Perciò c’è una bottiglia di liquore dolciastro
tra gli alcolici in camera da letto,
scaglie dorate sul pasticcio di manzo
come trapunte su un letto matrimoniale.
E’ qui dove viviamo.
Nessun tempo come
quello presente per darsi un bacio.
* Tipico dolce scozzese che si prepara per la festa di Capodanno (Hogmanay), simile al panpepato.
** Biscotti a forma di spicchi, di ventaglio.
*** L’inganno a cui si fa riferimento è un’altra superstizione/tradizione legata a Hogmanay: ai bambini veniva detto che guardandosi allo specchio il 31 dicembre, avrebbero visto il loro volto riflesso altrettante volte quanti i giorni dell’anno. L’ambiguità è che il 31 dicembre è l’ultimo e unico giorno dell’anno, pertanto il volto riflesso è soltanto uno.
After the War
for Susanne Ehrhardt
After the war
was the dull country I was born in.
The night of Stafford Cripp’s budget. *
My dad inhaled the blue haze of one last Capstan
then packed it in.
‘You were just months old…’
The Berlin airlift.
ATS and REME ** badges
rattled in our button box.
Were they surprised that everything was different now?
Did it cheese them off that it was just the same,
stuck in one room upstairs at my grandma’s
jammed against the bars of my cot
with one mended featherstitch jumper drying
among the nappies on the winterdykes,
the puffed and married maroon counterpane
reflected in the swinging mirror of the wardrobe?
Radio plays. Them loving one another
biting pillows
in the dark while I was sleeping.
All the unmarried uncles were restless,
champing at the bit
for New Zealand, The Black Country, Corby.
My aunties saved up for the New Look.
By International Refugee Year
we had a square green lawn and twelve-inch telly.
*Sir Richard Stafford Cripps (1889-1952), Ministro delTesoro dal 1947 al 1950.
** Acronimo: Royal Electrical and Mechanical Engineers e di Auxiliary Territorial Service.
Dopo la guerra
per Susanne Ehrhardt
Dopo la guerra
era lo squallido paese dove sono nata.
La notte dello Stafford Cripp’s budget.
Mio padre aspirò un tiro blu di un’ultima Capstan
poi decise di piantarla.
‘Avevi appena pochi mesi…’
Il ponte aereo per Berlino. *
I distintivi REME e ATS
tintinnavano dentro la scatola dei bottoni.
Erano sorpresi di trovare ormai tutto diverso?
Erano seccati che fosse proprio lo stesso,
ammassati in una stanza al piano di sopra da mia nonna
stipati contro le sponde del mio lettino
con un maglione a punto spiga rammendato ad asciugare
tra i pannolini sullo stendino,
la trapunta matrimoniale imbottita rosso scuro
riflessa nello specchio girevole dell’armadio?
Radiodrammi. Loro che si amavano
mordendo i cuscini
al buio mentre io dormivo.
Tutti gli zii non sposati erano inquieti,
scalpitavano
per la Nuova Zelanda, le Midland occidentali, Corby.
Le mie ziette mettevano soldi da parte per il Nuovo Look.
Nell’Anno Internazionale per i Rifugiati
ricevemmo un lotto di prato verde e una tele da dodici pollici.
* Nel 1948 i russi bloccarono tutti gli accessi stradali e ferroviari a Berlino Ovest. Il blocco della città si concluse dopo undici mesi, l’11 maggio 1949, nel momento in cui l’Unione Sovietica smise di ostacolare i voli umanitari statunitensi, britannici e francesi che trasportavano razioni alimentari per la popolazione berlinese.
1953
All the Dads, like you, that spring
had put the effort in.
Stepped on it with brand new spades
to slice and turn
clay.heavy wet yellow earth
to clods that stank of clay
and were well marbled
with worms and rubble.
You set paths straight
with slabs it took two men to lift.
Tipped barrowloads of topsoil. Riddled.
Sowed grass seed from illustrated packets
that showed tall flowers, long English lawns
striped green like marrows. Then
stretched over paper bowties on strings
to frighten birds.
So garden happened
where the earth had been one raw wound.
And behind whitened windows
the Mums were stippling walls
or treading Singers as they
ran rivers of curtain material
through the eye of a needle and out again,
fit to hang by Coronation Day.
This was in rooms
that had emptinesses, possibilities,
still smelled of shaved wood
and drying plaster.
In no time at all
in a neat estate a long time later
I will watch in a dawn
through a crack in drawn curtains
the lawn, the late September borders,
mature roses
and the undertaker coming up the path
carrying a pint of milk.
1953
Tutti i Papà, come te, quella primavera
si erano dati tanto da fare.
Dandoci dentro con vanghe nuove di zecca
a tagliare e tramutare
terra umida argillosa gialla
in zolle nauseanti di creta
ben cosparse
di vermi e ghiaia.
Tracciando le vie
con lastroni che per alzarli ci volevano due uomini.
Scaricando carriole colme di terriccio. Trivellando.
Piantando semi d’erba da sacchetti illustrati
che mostravano fiori alti, prati inglesi estesi
striati di verde come zucchine. Poi
stendendo farfalle di carta sui fili
per spaventare gli uccelli.
Così spuntarono dei giardini
dove la terra era stata una ferita aperta.
Dietro finestre imbiancate
le Mamme picchiettavano le pareti
o pigiavano i pedali delle Singer
per far scorrere fiumi di tessuti per tende
attraverso la cruna dell’ago dentro e fuori,
buone da appendere nel Coronation Day.
Tutto succedeva nelle stanze
che avevano spazi vuoti, potenzialità,
che odoravano ancora di legno piallato
e intonaco fresco.
In men che non si dica
in una tenuta ben curata, molto tempo dopo
all’alba avrei visto
attraverso uno spiraglio tra le tende tirate
il prato, i bordi delle aiole di fine settembre,
le rose mature
e il becchino che risale il vialetto
con una bottiglia di latte.
Sorting Through
The moment she died, my mother’s dance dresses
turned from the colours they really were
to the colours I imagined them to be.
I can feel the weight of bumptoed silver shoes
swinging from their anklestraps as she swaggers
up the path towards her dad, light-headed
from airman’s kisses. Here, at what I’ll have to learn
to call my father’s house, yes every
ragbag scrap of duster prints her even more vivid
than an Ilford snapshot on some seafront
in a white cardigan and that exact frock.
Old lipsticks. Liquid stockings.
Labels like Harella, Gor-ray, Berketex..
As I manhandle whole outfits into binbags for Oxfam
every mote in my eye is a utility mark
and this is useful:
the sadness of dispossessed dresses,
the decency of good coats roundshouldered
in the darkness of wardrobes,
the gravitas of lapels,
the invisible danders of skin fizzing off from them
like all that life that will not neatly end.
La cernita
Quando morì mia madre, i suoi vestiti da ballo
mutarono il loro colore reale
nel colore che immaginavo avessero.
Riesco a sentire il peso delle scarpette argentate a punta
oscillare dalle stringhe alle caviglie mentre ancheggia
camminando verso suo papà, stordita
dai baci di un aviatore. E’ qui che dovrò imparare
a chiamarla la casa di mio padre, sì ogni
straccio vecchio me la raffigura in modo più vivido
di un’istantanea Ilford su un lungomare
con un cardigan bianco e proprio quel vestito.
Vecchi rossetti. Calze trasparenti.
Etichette come Harella, Gor-ray, Berketex..
Mentre stipo interi completi dentro sacchi della spazzatura per beneficenza
ogni orpello ai miei occhi è un marchio di utilità
e questo è utile:
la tristezza dei vestiti senza più proprietario,
la decenza dei soprabiti buoni con le spalle imbottite
nel buio degli armadi,
la sobrietà dei risvolti,
da cui invisibili lamelle di pelle sfuggono
come quella vita che non vorrà finire in modo ordinato.
Kidspoem/Bairnsang
it was January
and a grey dreich day
the first day Ah went to the school
so my Mum happed me up in ma
good navy-blue napp coat wi the rid tartan hood
birled a scarf aroon my neck
pu’ed oan ma pixie an my pawkies
it wis that bitter
said noo ye’ll no starve
gie’d me a wee kiss and a kid-oan skelp oan the bum
and sent me aff across the playground
tae the place Ah’d learn to say
it was January
and a really dismal day
the first day I went to school
so my mother wrapped me up in my
best navy-blue top coat with the red tartan hood
twirled a scarf around my neck
pulled on my bobble-hat and mittens
it was so bitterly cold
said now you won’t freeze to death
gave me a little kiss and a pretend slap on the bottom
and sent me off across the playground
to the place I’d learn to forget to say
it was January
and a grey dreich day
the first day Ah went to the school
so my Mum happed me up in ma
good navy-blue napp coat wi the rid tartan hood
birled a scarf aroon my neck
pu’ed oan ma pixie an my pawkies
it wis that bitter.
Oh saying it was one thing
but when it came to writing it
in black and white
the way it had to be said
was as if you were posh, grown-up, male, English and dead.
Poesia per bambini/Bairnsang
era gennaio
un giorno grigio e palloso
il primo giorno di scuola
perciò mia mamma m’imbacuccò nel mio
cappotto buono blumare col cappuccio rosso a quadri
m’arrotolò una sciarpa al collo
mi ficcò in testa il berretto col pompon e m’infilò le muffole
faceva un freddo cane
disse noo, così non morirai di fame
mi diede un bacetto e una pacca per finta sul culo
e mi spedì per il cortile
verso il posto dove avrei imparato a dire
era gennaio
un giorno davvero cupo e uggioso
il primo giorno di scuola
perciò mia madre mi avvolse nel mio
cappotto buono blu scuro con il cappuccio rosso in tartan
mi arrotolò una sciarpa al collo
mi mise il berretto col pompon e le muffole
faceva un freddo pungente
disse ora non morirai di freddo
mi diede un bacetto e una pacca per finta sul sedere
e mi fece attraversare il cortile
verso il posto dove avrei imparato a dimenticare di dire
era gennaio
un giorno grigio e palloso
il primo giorno di scuola
perciò mia mamma m’imbacuccò nel mio
cappotto buono blumare col cappuccio rosso a quadri
m’arrotolò una sciarpa al collo
mi ficcò in testa il berretto col pompon e m’infilò le muffole
faceva un freddo cane
Oh a dirlo è stato semplice
ma quando si è trattato di scriverlo
nero su bianco
come si doveva dire
è stato come essere snob, adulta, maschio, inglese e morta.
Poets Need Not
Poets need not be garlanded;
the poet’s head
should be innocent of the leaves of the sweet bay tree,
twisted. All honour goes to poetry.
And poets need no laurels. Why be lauded
for the love of trying to nail the disembodied
image with that one plain word to make it palpable,
for listening in to silence for the rhythm capable
of carrying the thought that’s not thought yet?
The pursuit’s its own reward. So you have to let
the poem come to voice by footering
late in the dark at home, by muttering
syllables of scribbled lines -. or what might
be lines, eventually, if you can get it right.
And this, perhaps, in public? The daytime train,
the biro, the back of an envelope, and again
the fun of the wild goose chase
that goes beyond all this fuss.
Inspiration? Bell rings, penny drops,
the light-bulb goes on and tops
the not-good-enough idea that went before?
No, that’s not how it goes. You write, you score
it out, you write it in again the same
but somehow with a different stress. This is a game
you very seldom win
and most of your efforts end up in the bin.
There’s one hunched and gloomy heron
haunts the nearby stretch of the River Kelvin
and it wouldn’t if there were no fish.
If it never in all that greyness passing caught a flash,
a gleam of something, made that quick stab.
That’s how a poem is after a long nothingness, you grab
at that anything and this is food to you.
It comes through, as leaves do.
All praise to poetry, the way it has
of attaching itself to a familiar phrase
in a new way, insisting it be heard and seen.
Poets need no laurels, surely?
Their poems, when they can make them happen – even rarely –
crown them with green.
I poeti non hanno bisogno
I poeti non hanno bisogno di esser cinti con ghirlande;
la testa del poeta
dovrebbe essere spoglia delle foglie del dolce alloro,
intrecciate a corona. Tutto l’onore va alla poesia.
I poeti non hanno bisogno di allori. Perché esser lodati
per il desiderio di provare a fissare l’immagine
incorporea con quell’unica semplice parola per renderla palpabile,
di ascoltare nel silenzio il ritmo in grado di
indurre il pensiero che ancora non è?
La ricerca è la sua stessa ricompensa. Perciò dovete far sì
che la poesia prenda voce prodigandosi
a casa tardi nel buio, mormorando
sillabe di versi scribacchiati – o quelli
che potrebbero essere, infine, versi, se si sapesse come farli.
E tutto ciò, forse, in pubblico? L’esercizio giornaliero,
la biro, il retro di una busta, e ancora
il gusto per l’impresa impossibile
che va oltre tutto questo scompiglio.
Ispirazione? Qualcosa affiora alla mente, illuminazione,
la lampadina si accende e sovrasta
l’idea non troppo buona che era venuta prima?
No, non è così che funziona. Scrivete, cancellate
scrivete e riscrivete la stessa cosa
ma in qualche modo con un’enfasi diversa. E’ un gioco
in cui raramente si vince
e la maggior parte dei vostri sforzi finisce nel cestino.
Un airone ricurvo e mesto
si aggira lungo un tratto del fiume Kevin
e non lo farebbe se non ci fosse del pesce.
Non farebbe quello sforzo,
se in tutto quel grigiore non avesse colto
un luccichio di sfuggita, un bagliore di qualcosa.
Ecco cos’è una poesia dopo un vuoto assoluto,
vi aggrappate a quel qualcosa che diventa cibo per voi.
Spunta, come le foglie.
Ogni lode alla poesia, alla sua maniera
di legarsi ad una frase familiare
in un modo nuovo, insistendo a voler esser vista e sentita.
Sicuro che i poeti non hanno bisogno di allori?
Le loro poesie, quando riescono a realizzarle– persino di rado –
li incoronano di verde.
Il 23 giugno 2022 a Roma al Keats & Shelley Museum (dalle ore 18), Valerio Ciuccaroni, Presidente della casa editrice ArgoLibri, presenterà con Bernardino Nera l’antologia Una scelta di Liz Lochhead.