Dall’introduzione
di
Stefano Duranti Poccetti
Avvinarsi a queste poesie non è stato sempre semplice, intrise come sono di riferimenti storici e anche mitici. È stato perlopiù impossibile, purtroppo, mantenere i giochi di rima dell’Autore.
Mi sono concentrato piuttosto – più da poeta che da traduttore – sulla fedeltà all’aspetto concettuale e mistico di Hugo, entrando con lui in rapporto empatico, cercando di dare alle liriche l’aspetto più piacevole possibile e in questo, nella maggioranza dei casi, è stata la stessa lingua francese, di norma non così divergente dalla nostra, a dettarmi l’andamento, i tempi giusti, la parola appropriata; ma, quando questo non è stato possibile, è normale avere trovato degli escamotage che spero saranno accettati dai lettori e soprattutto dallo stesso Hugo, che, chissà, magari ci starà osservando da qualche parte mentre ci accingiamo a ripristinare con lui un legame nel ricordo della sua poetica, troppo spesso dimenticata.
Nel mio piccolo, offro questa raccolta, dopo che con la casa editrice Nulla Die avevo pubblicato la traduzione de Les Chevaliers errants.
Mazeppa
(A M. Louis Boulanger)
Away! – Away! –
En avant! En avant!
Byron, Mazeppa
Allora Mazeppa, stridente e piangente,
vede braccia, piedi, fianchi dalla sciabola lambiti
e tutte le sue membra legate
a un arroventato cavallo nutrito d’erbe marine,
irrequieto, emanante fuoco dalle narici
e fuoco dai piedi.
Quando è attorcigliato nei nodi come un rettile,
ha ben da rallegrarsi della sua rabbia inutile
il carnefice, tutto esultante
di vederlo infine cadere sulla feroce groppa,
sudore sulla fronte, saliva alla bocca,
sangue negli occhi.
Si sente un grido e subito ecco per la pianura
l’uomo e il cavallo in fuga senza respiro
sulle mobili sabbie,
soli, riempendo di rumore il vortice di polvere.
Simili alla nera nuvola in cui serpeggia il fulmine
volano insieme ai venti!
Vanno. Nelle valli passano quali tempesta,
come quegli uragani raccolti nei monti,
quale globo infuocato.
Poi, già non sono altro che un punto nero nella bruma,
sfacendosi nell’aria quale fiocco schiumante
nel vasto oceano blu.
Vanno. Lo spazio è esteso. Nel deserto immenso,
nell’orizzonte senza fine che ricomincia
entrambi s’immergono.
La loro corsa li trasporta come in volo: grandi querce,
città e torri, neri monti legati da lunghe catene…
tutto vacilla intorno a loro.
E se allo sfortunato la testa si stronca
e si dibatte, il cavallo, attraversando la brina,
con temibile salto
affonda nel deserto vasto, arido, impervio,
che davanti a loro s’estende coi suoi cumuli di sabbia,
quale radiante mantello.
Tutto vacilla e si dipinge di sconosciute cromie.
Vede correre boschi, larghe nubi,
vecchi e distrutti dongioni,
monti il cui raggio bagna gli stacchi,
squadre d’inferocite giumente,
che inseguendoli fanno gazzarra!
Poi vede il cielo in cui già i passi alla sera si prolungano,
coi suoi oceani di nuvole dove s’immergono
ancora nuvole
e il sole che a prua fende le onde, il quale
sulla fronte abbagliata si gira, quale ruota
di marmo dalle vene dorate.
Il cavallo, non sentendo né fitta né sella,
sempre fugge, mentre il sangue gocciola e cola
e la carne cade a brandelli.
Ah! Ecco che alle giumente furiose
che l’inseguivano, drizzanti le pendenti criniere,
succedono i corvi!
I corvi, il gufo reale dal tondo e spaventevole occhio,
l’aquila sbigottita dai campi di battaglia, il falco pescatore:
mostro sconosciuto al giorno,
gli obliqui gufi e il grande grifo,
che fruga sul fianco dei morti col collo rosso e calvo,
immergendosi parendo un nudo braccio.
Tutti vengono a elargire la funebre volata,
tutti escono per seguirlo, dal leccio isolato,
dal nido del maniero.
Lui, sanguinante, perso, sordo alle gaie strida,
domanda, vedendoli, chi sia dunque, là in alto, che spieghi
quel grande ventaglio nero.
La notte discende lugubre e senza stellata veste.
Lo sciame s’aizza e segue a mo’ di branco alato
l’adirato viaggiatore.
Tra il cielo e sé, in oscuro turbinio,
li scorge, li perde, l’intende nell’ombra
volare alla rinfusa
Infine, dopo tre giorni d’insensata corsa
e aver attraversato fiumi dall’acqua gelata,
steppe, foreste, deserti,
il cavallo cade tra le voci di mille rapaci
e il suo ferro sulla pietra si spezza,
estinguendo i quattro lampi.
Ecco lo sfortunato, bugiardo, miserabile, nudo,
tutto macchiato di sangue, più rosso dell’acero
nella stagione dei fiori.
La nuvola d’uccelli su lui ruota e s’arresta,
molti ardenti becchi aspirano a rodere nel volto
gli occhi bruciati dalle lacrime.
Ebbene! Questo condannato che urla e striscia,
questo cadavere vivente, le tribù dell’Ucraina,
un giorno, faranno principe.
Un giorno, seminando i campi dei morti insepolti,
ricompenserà con larghi pasti
il falco e l’avvoltoio.
La sua selvaggia grandezza dominò il suo supplizio.
Un giorno indosserà la pelliccia dei vecchi atamani,
sarà grande tra occhi abbagliati,
e, quando passerà, questi popoli zingari,
prosternati, vedranno l’eclatante fanfara
giubilante intorno a lui.
(Traduzione di Stefano Duranti Poccetti)
Mazeppa
(A M. Louis Boulanger)
Away! – Away! –
En avant! En avant!
Byron, Mazeppa
Ainsi, quand Mazeppa, qui rugit et qui pleure,
A vu ses bras, ses pieds, ses flancs qu’un sabre effleure,
Tous ses membres liés
Sur un fougueux cheval, nourri d’herbes marines,
Qui fume, et fait jaillir le feu de ses narines
Et le feu de ses pieds;
Quand il s’est dans ses nœuds roulé comme un reptile,
Qu’il a bien réjoui de sa rage inutile
Ses bourreaux tout joyeux,
Et qu’il retombe enfin sur la croupe farouche,
La sueur sur le front, l’écume dans la bouche,
Et du sang dans les yeux,
Un cri part, et soudain voilà que par la plaine
Et l’homme et le cheval, emporté, hors d’haleine,
Sur les sables mouvans,
Seuls, emplissant de bruit un tourbillon de poudre,
Pareil au noir nuage où serpente la foudre
Volent avec les vents!
Ils vont. Dans les vallons comme un orage ils passent,
Comme ces ouragans qui dans les monts s’entassent,
Comme un globe de feu;
Puis déjà ne sont plus qu’un point noir dans la brume,
Puis s’effacent dans l’air comme un flocon d’écume
Au vaste océan bleu.
Ils vont. L’espace est grand. Dans le désert immense,
Dans l’horizon sans fin qui toujours recommence,
Ils se plongent tous deux.
Leur course comme un vol les emporte, et grands chênes,
Villes et tours, monts noirs liés en longues chaînes,
Tout chancelle autour d’eux.
Et si l’infortuné, dont la tête se brise,
Se débat, le cheval, qui devance la brise,
D’un bond plus effrayé,
S’enfonce au désert vaste, aride, infranchissable,
Qui devant eux s’étend, avec ses plis de sable,
Comme un manteau rayé.
Tout vacille et se peint de couleurs inconnues:
Il voit courir les bois, courir les larges nues,
Le vieux donjon détruit,
Les monts dont un rayon baigne les intervalles;
Il voit: et des troupeaux de fumantes cavales
Le suivent à grand bruit!
Et le ciel, où déjà les pas du soir s’allongent,
Avec ses océans de nuages où plongent
Des nuages encor
Et son soleil qui fend leurs vagues de sa proue,
Sur son front ébloui tourne comme une roue
De marbre aux veines d’or.
Le cheval, qui ne sent ni le mors ni la selle,
Toujours fuit, et toujours son sang coule et ruisselle,
Sa chair tombe en lambeaux.
Hélas! voici déjà qu’aux cavales ardentes
Qui le suivaient, dressant leurs crinières pendantes,
Succèdent les corbeaux!
Les corbeaux, le grand-duc à l’œil rond, qui s’effraie,
L’aigle effaré des champs de bataille, et l’orfraie,
Monstre au jour inconnu,
Les obliques hiboux, et le grand vautour fauve,
Qui fouille au flanc des morts où son col rouge et chauve
Plonge comme un bras nu!
Tous viennent élargir la funèbre volée;
Tous quittent pour le suivre et l’yeuse isolée,
Et les nids du manoir.
Lui, sanglant, éperdu, sourd à leurs cris de joie,
Demande en les voyant qui donc là-haut déploie
Ce grand éventail noir.
La nuit descend lugubre, et sans robe étoilée.
L’essaim s’acharne et suit, tel qu’une meute ailée,
Le voyageur fumant.
Entre le ciel et lui, comme un tourbillon sombre
Il les voit, puis les perd, et les entend dans l’ombre
Voler confusément.
Enfin, après trois jours d’une course insensée,
Après avoir franchi fleuves à l’eau glacée,
Steppes, forêts, déserts,
Le cheval tombe aux cris des mille oiseaux de proie,
Et son ongle de fer sur la pierre qu’il broie
Éteint ses quatre éclairs.
Voilà l’infortuné, gisant, nu, misérable,
Tout tacheté de sang, plus rouge que l’érable
Dans la saison des fleurs.
Le nuage d’oiseaux sur lui tourne et s’arrête;
Maint bec ardent aspire à ronger dans sa tête
Ses yeux brûlés de pleurs.
Eh bien! ce condamné qui hurle et qui se traîne,
Ce cadavre vivant, les tribus de l’Ukraine
Le feront prince un jour.
Un jour, semant les champs de morts sans sépultures,
Il dédommagera par de larges pâtures
L’orfraie et le vautour.
Sa sauvage grandeur maîtra de son supplice.
Un jour, des vieux hetmans il ceindra la pelisse,
Grand à l’œil ébloui;
Et quand il passera, ces peuples de la tente,
Prosternés, en verront la fanfare éclatante
Bondir autour de lui!