Amanda Gorman e il “Libro di Michea”

Amanda Gorman è la ragazza afroamericana che a soli 22 anni è salita sul palco per leggere una sua poesia nel giorno dell’insediamento del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Photo © Kelia Anne


Nota di Alberto Fraccacreta

È il Libro di Michea il possibile intertesto di The Hill We Climb, l’opera che Amanda Gorman ha recitato durante la cerimonia di insediamento del presidente Biden (traduzione di Francesca Spinelli, Garzanti, 2021).

Be’, innanzitutto c’è una citazione esplicita: «Le Scritture questo ci dicono di immaginare: / “Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico / E più nessuno li spaventerà”». Siamo a metà del poemetto – che consta di centodieci versi – e la Gorman menziona Michea 4,4 (ma suggeriscono qualcosa di simile anche Zaccaria 3,10 e 1Re 5,5).

Sembra che la ventiquattrenne poetessa di Los Angeles abbia ricavato l’idea dal musical Hamilton di Lin-Manuel Miranda, vincitore del Premio Pulitzer e di un Grammy Award nel 2016.

All’interno della pièce l’espressione risuona nel discorso di addio di George Washington, il quale amava l’immagine della vite e del fico al punto da utilizzarla una cinquantina di volte nella corrispondenza privata.

Il riferimento scritturale indica pace e prosperità: il significato è concreto e allegorico, letterale ed escatologico. È lo stesso Michea che ci invita a questo duplice livello di lettura.

Il profeta, al pari di Amanda, intende combattere l’ingiustizia sociale entro una prospettiva messianica. La «collina che scaliamo», rimando mascherato a Michea 4,2 («Venite, saliamo sul monte del Signore»), è quella dei diritti e, allo stesso tempo, quella della vittoria decisiva del popolo di Dio: la «radura promessa», il monte di Sion, la Gerusalemme celeste.

Finiscono qui i legami tra The Hill We Climb e la Bibbia? Certo che no. Se strizziamo i versi, notiamo che gocciolano di sintagmi, parole-tenda, elementi morfologici i cui detergenti e additivi sono Vecchio e Nuovo Testamento. Ecco una rapida carrellata: «Nasce il giorno» (nell’originale «When day comes») corrisponde a Giovanni 14,20 «When that day comes», secondo la Bibbia di Re Giacomo fruibile in USA; nella formula idiomatica «il ventre della bestia» allignano Giona 2,1 «Giona restò nel ventre del pesce» e Apocalisse 13,1 «vidi salire dal mare una bestia»; l’«unione perfetta» richiama 1Corinzi 1,10 «siate in perfetta unione di pensiero e di intenti»; «alziamo i nostri sguardi non / su ciò che si frappone tra noi» è parallelo a 2Corinzi 4,18 «perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili»; in «un’ora di così grande terrore» riecheggia Luca 22,53 «ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre». Si va avanti a lungo smerigliando la Genesi, Geremia, la Lettera ai Romani. Ma facciamo soltanto due esempi che riguardano la chiusa.

Arrivati all’ultima pagina ci accorgiamo che il brano segue una struttura ad anello. La strofa conclusiva infatti ripete il verso iniziale: «Nasce il giorno». L’immagine della «nuova aurora», archetipica – si pensi all’«alba» della Primavera hitleriana di Montale e a New Morning di Bob Dylan –, può essere accostata a Luca 1,78: «Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge» (ma occhio a Isaia 60,3). Il cenno al «coraggio di essere / Luce» è invece intessuto di Matteo 5,14-16: «Voi siete la luce del mondo […]. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone». D’altra parte, è l’assetto retorico imposto al testo dalla Gorman a darci l’impressione di un’aura salmodiante: il plesso anaforico («Ci leveremo… / Ci leveremo… / Ci leveremo…», «Se pur avremo… / Se pur avremo…») ed epiforico («…tra noi, / …davanti a noi»); le continue e intelligenti paronomasie, cioè i bisticci verbali («Che pur provati, abbiamo provato», e nell’originale: «That even as we tired, we tried / That we’ll forever be tied»); gli ossimori («un paese leso ma intero»), i chiasmi («se noi abbiamo gli occhi puntati sul futuro, / la storia ha gli occhi puntati su di noi»), le allitterazioni («Per tutte le culture, i colori, i caratteri / le condizioni»). E via dicendo.

In definitiva, la Gorman ha voluto iniettare con coscienza una robusta dose biblica nel suo libro?

Cattolica afroamericana, strenua attivista che combatte l’emarginazione e il razzismo valendosi di Martin Luther King, della grande tradizione blues, del rap e della lirica di Maya Angelou, Amanda non può che essere imbevuta di Scritture: sono la sua vera lingua, l’humus da cui germoglia la sua poesia.

Ha ragione Christine Hand Jones – alla quale riconosciamo cavallerescamente la “maternità” dell’interpretazione evangelica nello scampolo finale del poemetto – quando sostiene che, tra inserzioni da Hamilton e infarinate di vecchi spiritual, emerge in The Hill We Climb tutto «il potere della poesia di comunicare su diversi livelli contemporaneamente».

Notizia

Amanda Gorman
è la più giovane poetessa nella storia degli Stati Uniti ad aver recitato una sua poesia alla cerimonia d’insediamento presidenziale. Sostiene con impegno e dedizione la lotta per la difesa dell’ambiente, per l’uguaglianza razziale e la giustizia di genere. Il suo attivismo e la sua produzione poetica hanno trovato visibilità in programmi televisivi come il Today Show, PBS Kids e CBS This Morning, e in giornali e riviste, dal «New York Times», a «Vogue», «Essence» e «O Magazine». Si è laureata con lode ad Harvard e ora vive a Los Angeles, la sua città natale.

L’edizione speciale della sua poesia inaugurale, The Hill We Climb, sarà pubblicata a marzo 2021. In autunno, seguiranno la sua prima raccolta poetica, The Hill We Climb and Other Poems, e il suo primo libro illustrato, Change Sings. Tutte le informazioni sono sul sito: www.theamandagorman.com

Nel 2017 è stata la prima poetessa a essere insignita del titolo di National Youth Poet Laureate da Urban World, un programma che sostiene giovani poeti in più di 60 città, regioni e stati americani.

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