Ma noi non ci cadiamo
La bora come lingua svernicia i nostri visi non più certo
sbarazzini ma ancora lì giovinetti a trastullarsi col tappeto
del mare che vibra, si allunga e intanto tra un passo e l’altro
di rimando ci diciamo frasi agghindate d’eterno
che se guardi bene però hanno fondamenta liquide
come questa risacca dove barattoli si rincorrono
al ritmo della schiuma che intanto ci tocca e indietro
se ne torna, già, tutto non va per il meglio.
Ma puliamo almeno lo spazio interno dagli isterismi
di questo tempo dal suo tanto pianto senza compassione
e mentre il libeccio ci spintona la prendo per mano
per il fine passeggiata
che è pura interiorità, pareti essenziali dove le stanze
di memoria e futuro si specchiano perché prive di cianfrusaglie
che il nostro contemporaneo buon venditore vorrebbe proporci
ma noi non ci cadiamo, noi e le nostre stanze deserte e di luce
che osservano di fuori il nailon e l’amo ticchettare, osservano
e per poco ospitano questa vita tutta che fuori si rinnova e piano
se ne va.
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Il marinaio di Ulisse
per Giuseppe
Oggi la risacca con le sue alghe verdine parla in faccia
ai bambini che per gioco son lì con l’esca, le canne
eccolo mi dico, l’apice della vita e intanto la lenza
fa l’arco, per poi picchiar giù e li incrocio
più in là vedo alcune manine piantar bandierine, ruotar nel vento,
col cenno ci salutiamo, ticchetta l’esca, ammutoliscono,
va su col luccichio della branchia, uno, pupille di sale mi tira
per il braccio, mi ride, dice orgoglioso d’essere il marinaio
d’Ulisse, dice, come col tono ellenico.
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Vasel
Beccheggia a fil di cielo un trireme alle sei del mattino
oggi che sono fuori per insonnia sembra sogno, io a bordo
mare con la vela gonfia ad occhieggiarmi sul viso pesto
marinai al largo remano sulla superficie agitata che a scaloni
risucchia lo scafo che appare e scompare
vasel mi permetto di nominarti, che fili a tribordo tra memoria
e storia, vasel della cultura voglio pensarti e dell’amicizia ma chi
chiamare a quest’ora? e se volassi via?
No resto per l’abbordaggio definitivo, scivolo sul margine
dello scafo, lo spazio della vela, aperta sulla voga dei rematori
che a ritmo va col teso maestrale
eccoli, mi sorridono di un sorriso dove brillano in egual gloria
vinti e i vincitori, vasel che stai uscendo alle 6.15 dal quadrante
di ogni carta, proprio all’ultima tua virata ridondola dall’albero
un occhietto lacrimoso di spuma, è forse quello cieco di Omero
che ancora cerca approdo in questo tempo violento come tanti
ma senza più immaginazione.
Guido Monti, Le stanze, PeQuod 2022
Guido Monti (San Benedetto del Tronto, 1971) vive a Reggio Emilia. Recensore culturale per diverse testate tra le quali il «Manifesto», il settimanale svizzero «Azione» e la rivista culturale in rete «doppiozero», ha pubblicato il libro Accademico di nessuna accademia, conversazioni con Gianni Scalia (2010) e le seguenti raccolte di poesia: Millenario inverno (Book, 2007), Fa freddo nella storia (Stampa 2014), finalista al premio Pascoli. Suoi versi sono presenti anche in «Almanacco dello specchio», «Paragone», «Nuovi Argomenti». Ha curato per l’editore Demetra (Giunti 2020), la prefazione alla nuova edizione de Il rosso e il nero di Stendhal.